ARCHITECTONICA (De Simone)








Della pur troppo poco conosciuta storia della Terra d'Otranto, la parte più trascurata è quella che riguarda l'Arte; ed in essa poi, quanto ad Architettura siamo a bujo pesto. E' perciò che rivolgo, agli studiosi delle patrie memorie, la preghiera di applicare, viribus unitis, gli sforzi, loro alla ricerca di tali notizie. Anch'io sin'ora ho trascurato tali ricerche; ed è appena se ho fatto tornare alla luce i nomi di 11 Architetti nostrani, quali sono:
MAGISTER JACOBUS TRIRGIANO DE ANGELO, e
MAGISTER ANGELUS eius nepos,
MAGISTER DOMINICUS DE MARTINA, (1)
P. NICOLAI SCANCI,
MAGISTER ANTONIUS SCHENDONE Prothomagister Sancti Petri Galatinae,
GIAN GIACOMO dell'ACAYA,
GABRIELE RICCARDI (Beli Licciardo),
MASTRO FRANCESCO ZIMBALO,
MASTRO GIUSEPPE ZIMBALO,
GIUSEPPE CINO,
ACHILLE CARDUCCI
de' quali i due primi costruirono il castello dì Laterza,
il terzo (1389) la Chiesa Madre di Grottaglie;
il quarto (1482) l'antico Palazzo del Pubblico Governo, ed una macchina idraulica, a Lecce;
il quinto (sec. XV), una finestra, in Lecce;
il sesto (1535) l'Oppidum Acayae; (1548) lo spedale dello Spirito Santo di Lec-ce; e lavorò alle fortificazioni dei Castelli di Lecce, di Napoli, di Cotrone e di Capua;
il settimo e l'ottavo (sec. XVI) lavorarono a Santa Croce dì Lecce;
il nono (1661-82) costruì il Campanile del Duomo, (1678) la fontana della Piazza, e (1691) la Chiesa del Rosario di Lecce;
il decimo (1683) la Chiesa e il Monastero delle Alcantarine, (1694) il Seminario di Lecce;
l'undecimo (1700) la Chiesa di S. Matteo di Lecce.
Di cotesti (dei quali io ho favellato nell'Ateneo Italiano, che il Chiarini pubblicava (1866) a Firenze, e nella mia Lecce e i suoi, monumenti descritti ed illustrati, il solo mentovato da altro scrittore è l'Acaya: ché il compianto mio amico Generale Mariano d'Ayala, sopra notizie da me dategli, lo ricordava nella Memoria sugl'ingegneri militari italiani dal sec. XIII al XVIII, nell'Archivio storico Italiano (T.S.T.IX.P.II.).

In questa Memoria, anche dietro notizie da me fornitegli il d'Ayala ricorda EVANGELISTA MENGA tra gli Architetti militari. Nacque costui a Copertino, sul principio del secolo XVI: " fece la pianta, ed il disegno de' Castelli di Barletta (1531), di Mola di Bari, di Copertino (1540); fortificò la Goletta, d'ordine di Carlo V, che lo fece passare al servizio del Gran Maestro di Malta, per lavorare alla difesa dell'Isola minacciata dal Solimano. Venuti i Turchi ad assediarla (1565), un colpo tratto da un parco d'artiglieria, che il Menga avea postato sopra uno scoglio, uccise il famigerato corsaro Torghud ". Tutto ciò è narrato dal testo a penna dell'opera di Girolamo Marciano, che indicheremo più avanti; testo mutilato nella stampa (1855) di essa. Il Marciano, più o meno esatta ed incompletamente, seguono nel parlare del Menga, il Tasselli (Leuca sacra, 519), ed il P. Bonaventura de lama (Cron. de' Minori Osserv. Riform. II,19).

Ai quali architetti sopraricordati posso aggiungerne, ora, altri cinque.
Il primo è SICCOFRIDO da LECCE. Costui (1140) fabbricò il Castello di Ostuni, come sappiamo dalla seguente iscrizione, conservataci dagli scrittori dì quella città,

Regis honor veri tibi sit (Rex) magne Rogeri
Temporibus cuius fabricae labor extitit huius:
Quam Siccofridus litii statuit tibi fidus.
Anno milleno centumque quatuor deno.

Quarant'anni dopo (1180), AGNUS nomine NICOLAI, d'ordine di Tancredi Conte di Lecce, e Gran Contestabile del Regno (2), costruiva la Chiesa e il Monastero (3) di San Nicola di Lecce, come appare dalla seguente dimostrazione. Sulle due bellissime porte di questa Chiesa esistono, fortunatamente ancor oggi, due iscrizioni lapidarie scritte in versi leonini latini, che saran ricordate come una curiosità filologica. Mai furono stampate correttamente, neanco nella classica opera del chiar. Demetrio Salazzaro (Studii sui Monumenti dell'Italia Meridionale dal IV al XIII secolo. Parte II, pag. 33, Napoli 1878). Eccole:

1° Iscrizione sulla facciata della Chiesa:
Hac ìn carne sita qa labitur irrita vita:
Consule dives ita ne sit p carne sopita:
Vite Tancredus comes eternum sibi fedus:
Firmat in hiis donis, ditans heo templa colonìs.

2° Iscrizione sulla porta laterale della Chiesa:
Anno milleno centeno bis quadrageno
Ouo patuit mundo XPS sub rege secudo
Guillelmo, magnus comito Tancred' et agn'.
Nomine quem legit Nicolai templa pegit.

Negli Studii i due ultimi versi di questa leggonsi così trasformati: Guillelmo magnus Tancredus Comes et Agnus Domine quem legit Nicoiai templa fecit.


Riterrete meco, che non è facile tradurle "stans pede in uno" le due iscrizioni; e principalmente gli ultimi due versi della seconda. E se vorrete aver altra opinione abbiatevela: a me basta che Atto Vannucci me l'abbia definite "per un imbroglio di parole, delle quali non apparisce il legame, e che quindi è difficile uscirne salvando capra e cavoli"; che Luigi Volpicella l'abbia giudicate "specie d'indovinello", che "ti fa trovare imbarazzato a spiegarle"; che Camillo Minieri Riccio, pur di spiegarle, vorrebbe, apportar correzioni al testo. Per dir la verità tutta, questi giudizi di uomini dottissimi, tra l'altro, in fatto di storia, d'arte, e latino della fine del Medio Evo e de' primordi del Rinascimento (da' libri, e dalla parola de' quali ho appreso gran parte di quel poco che conosco sulla materia) in luogo dì scoraggiarmi, mi determinarono a "trovare" cosa si nascondesse sotto il velame di quelli versi strani. E così, dopo 699 anni da che furono scritte e scolpite, ho l'onore di stamparvele bene, e spiegarvele... - Come? - Lo direte tra breve: salvo che ci possiate aggiungere un risolino che sottolinei le parole, - oh! che uovo di Colombo! - Adunque bene o male, facile o difficilmente che io abbia studiato su quei versi, io credo di avere scoperto in essi il nome dello Architetto adoperato da Tancredi pella costruzione della Chiesa e del Monastero - Breve: le due iscrizioni, per me, formano un tuttinsieme.
Nella prima i Monaci Benedettini Neri, pe' quali Tancredi avea fabbricato Chiesa e Monastero, ed ai quali avea donato feudi con vassalli, i Monaci dico da dietro le quinte, volgono il discorso agli abbienti, ai signori, e dicono loro "provedete (facendo donazioni alla Chiesa), che la vostra vita, la quale sita in hac carne labitur irrita, non divenga per voi sopita pro carne; vedete come fa il Conte (di Lecce) Tancredi; egli ditans colonis Templa Nicolai (di Lecce), ha segnato sibi aeternum foedus vítae, ossia s'ha comperato il Paradiso a buon mercato. Egli quel Gran Contestabile (Magnus Comito) scelse (legit) Agnello figliuolo di Nicola (nomine Nicolai (4)) per architetto della Chiesa e Monastero (templa); ed Agnello fece e compì (peregit) l'opera, nel 1180, regnante (in Puglia e Sicilia) Guglielmo II, il Buono.
Intanto quest'"opera" deperisce a vista di occhio; la prima delle lapidi in esame è rotta: e perciò volgo preghiera caldissima al R. Ispettore ed alla Commissione conservatrice de' patrii monumenti di Terra d'Otranto, per chiedere che trovino modo di riparare a tanto deperimento; e spero che sarò esaudito.

Non ho potuto venire a capo di rintracciare il nome del terzo. Nel 1866, ne ho scritto (Rivista Europea, anno VII, vol. IV, 256) così: "Il Campanile di Soleto è celebrato per bellezza architettonica. Vedesene una cattiva figura nel Voyage pittoresq. a Naples et en Sicilie, par J.C. Richard de Saint Non. Nouvelle edition. Paris, Houdaille libr. edit. 1836.II.327: tra giorni ne saran messe in vendita due fotografie, molto bene eseguite dal Sig. Pietro Barbieri, in Lecce. D'ordine di Ramondello del Balzo Orsini, Principe di Taranto e Conte di Soleto, fu costruito nel 1397 da N.N. Architetto di Surbo, come appariva dall'iscrizione della Chiesa Soletana.
Del quarto poi non ho mai avuto occasione di scrivere. Egli è SCIPIONE FANZELI "celebre nell'Architettura e nelle opere meccaniche, siccome gliene chiara testimonianza il disegno della Chiesa Madrice (pare che fu costruita circa il 1668. Cnf. G.C. Frezza Cenno top. di Gatatone. Lecce, 1859) della sua pa-tria; il lavoro e l'opera manoscritta, e i disegni de' più nobili edifizi dell'antica Roma; e di Italia, con tutte le misure e regole d'Architettura, secondo i vari ordini, riducendole anche in piccolo" come scrive Saverio Caputi, a pag. 98 delle "Annotazioni" alle sue Anacreontiche, Napoli MDCCC. Ai quali elogi bisogna applicare il precetto del " Tara per uso".

Tra tutti poi i nostri Architetti, ultimo per tempo, e maggiore per fama, quantum lenta solent inter viburna cupressi, è FRANCESCO MILIZIA (1726-1799), di Oria. Intorno alla vita, ed alle opere del quale, vogliamo domandare: "Quando ne avremo una monografia?" come pochi anni indietro domandava il Settembrini, pel Vanini. E come per costui è venuta l'ora, in cui un leccese, Luigi Moschettini, nella Rivista Europea di quest'anno, ha scritto ampia e seriamente (per modo che possiamo in lui salutare un nostro comprovinciale, che sebbene molto giovane, pure cerca di divenire capace a distrigare, al lume non della critica ciarlatana alla moda, ma dell'ermeneutica seria, spassionata, senza falsariga, le tante questioni della storia did'Italia, questo estremo angolo d'Italia, storia non ancora uscita completamente dall'età mitica) (5); così ci auguriamo che venga presto quella, in cui, qualcuno altro ci narri della mente e delle opere del Milizia.

Ero nell'aprile del 1876, a Roma; e qualche giorno prima di rimpatriare ritornai al Gesù per accomiatarmi dal P. Secchi. Conversando con lui, lo pregai m'avesse fatto capire la "questione del Tevere". Ed egli, compiacente, me la ammanì a via di profili, di tipi, di disegni e di dimostrazioni pianissime, per modo che io, profano a tutte le scienze esatte, potetti comprenderla. Tra quei discorsi, fu un momento in cui sì fermò; e poiché sapevami leccese, ed impegnato alla ricerca di notizie storiche riguardanti questa Provincia, sorridendo mi disse:
- Vo' farvi un regalo, signor mio leccese... una notizia che sarà utile per le vostre collezioni storiche... E, tratto da una cartella un fogliolino, porgendomelo, proseguì: "Eccovi un architetto nativo di Lecce, il quale ha lavorato intorno alla sistemazione del Tevere; ne ha stampato un libro: egli si chiama Antonio Trevisi...
- E da lui (risposi) fu denominata Fonte Trevisana la Fontana di Trevi ... ! come recita Girolamo Marciano da Leverano nella Descrizione, origini e successi della Provincia di Terra d'Otranto: lo dice lui, non lo garantisco io!! Il Trevisi è leccese, ma non di Lecce, ché nacque...
-Dove nacque?
-A Campi Salentina, ricca terra, lontana 14 kil. a N-E di Lecce... Permettete che copii il titolo dell'opera del Trevìsí? e copiai: " Fondamento del edifitio, nel quale si tratta con S. Santità di N.S. Pio Papa IV sopra l'inondatione del Fiume. In Roma. Appresso Antonio Blado. 1560".
Chiesi una sua fotografia allo illustre uomo; me la donò; mi licenziai da lui, dopo avergli fatto perdere quattr'ore di tempo a favellare con me: e di lì a parecchi giorni tornai a Lecce, e questa peregrina notizia aggiunsi al mio Dizionario biobibliografico Salentino, nel quale erano trascritte con un (sic) le seguenti parole del Marciano (IV,XVI,471): "Fu di Campie Antonio Trivisi architettore nell'età sua eccellentissimo, come ne fanno testimonianza, le acque da lui portate da Tivoli in Roma; e la Fontana detta dal suo nome Trivisana, in Monte cavallo".

Scorsero quasi tre anni, quando mi giunse una lettera, datata da Roma li 20 marzo 1879, direttami dal ch. G.B. Beltrani, con la quale mi si chiedevano notizie del Trevisi. Niuna ho potuto ottenerne, per quante ricerche ho fatte praticare a Campi Salentina: ma ho saputo che colà tuttavia il cognome Trevisi, non è spento, come non l'è a Brindisi.
Però non dispero di poterne rintracciare qualcuna, recandomici di persona, come ne avrò comodità. Intanto ecco la lettera del Beltrani, intera, con tutte le cerimonie e le deferenze che' s'usano tra gente per bene, e massime da chi comanda ad altri un favore.


"Roma, via Condotti n. 42 20 marzo 1878
Ch. Signore
La difficoltà nelle ricerche di erudizione rende spesso necessario ricorrere a coloro che coltivano le medesime discipline. E' poi d'altro indispensabile il far capo in quei luoghi dove fu la sede propria degli uomini e degli avvenimenti, che si vogliono illustrare.
Per commissione del Commendatore Fiorelli, io lavoro da qualche tempo su dì una famosa Pianta della città di Roma, Pianta stampata bel 1551. E' rimasto presso che ignorato l'autore di cotesta opera, veramente insigne, né le infinite ricerche fatte in molte Biblioteche ed Archivi del Regno han dato il frutto copioso, che se ne sperava. Si va tuttavia a tentoni per accapare notizie, e si cercano in tutti quei luoghi nei quali traspare dalle notizie che si hanno, una qualche probabilità di ritrovamento. Si sa, dunque, che una certa parte nella fabbricazione della Pianta famosa la ebbe Antonio Trevisi da Lecce.
Questi scrisse un'opera così intitolata: Fondamento del edifitio etc. (il titolo è lo stesso di quello, che copiai dal fogliolino del P. Secchi). Ed in tale libro l'A. dà qualche notizia di sé; dice di aver servito il Duca d'Andria, dall'anno 1545 per fino al 1558; soggiunge di essere rinvenuto a Roma dall'ottobre 1559. Dice che ottenne dal Governo Pontificio di eseguire il suo disegno per introdurre a Roma con un grande acquedotto l'acqua di Trevi; opera che egli, il Trevisi, cominciò, ma che, dopo aver costato molti quattrini al Governo, non riuscì. Ma oltre queste magre notizie della persona e della famiglia, del Trevisi non si conosce altro.
Ouesto solo è noto, ch'egli fu di Lecce.
Or ella, che ha tanto studiato e rinvangato nella storia di cotesta illustre città; potrebbe darmi altri particolari editi od inediti che siano sul Trevisi medesimo, e sulla sua famiglia?
Sicuro della sua cortesia, e dell'amore che porta a codesti studii, massimo per quanto concerne la città di Lecce, non dubito ch'Ella sarà per darmi presto una risposta alla mia presente lettera.
Ed io colgo questa occasione per farle tenere due miei lavoretti, ed intanto me le dichiaro.
Devt.mo
Giovanni Beltrani

E qui fo punto, per ora; rivolgendo agli abitanti di Campi Salentina pubblica preghiera, acciò procurino dì rintracciare per comunicarmele, notizie precise ed esatte intorno al Trevisi, e ciò tanto pìù quantocché il nome di lui ormai rivendicato dall'oblio, renderà illustre la sua terra nativa.
Un'ultima parola. La seconda delle Petagne, nel mare di Brindisi, si chiamava sino al cadere del decorso secolo (oggi non so come si chiama) GIORGIO TREVISI: chi fu questo Giorgio? Fosse stato parente del nostro Antonio? un Architetto che quella o altra delle Petagne avesse "fortificato"? - Nel "mare di Brindisi" ho detto? ebbene giro la cambiale a breve scadenza, all'uomo più competente in materia di storia Brindisina, all'egregio Arcidiacono Giovanni Tarantini.

Così io scrivevo a 28 aprile decorso, ed il ch. Arcidiacono Giovanni Tarantini, sotto la data degli 8 maggio corrente, rispondeva: "Ben volentieri accetto la cambiale; e perché non vada in protesto, sborso subito la poca moneta di cui posso disporre".
La famiglia Trevisi esisteva anche in Brindisi, ed il suo nome resta tuttora legato ad una contrada dell'agro Brindisino. Una corta estensione di terre da me conosciute, perché confinante con due masserie della mia famiglia, sono comunemente appellate Le terre dei Trevisi. Non so quali relazioni fossero passate fra i Trevisi di Brindisi e quelli di Campi Salentina. Suppongo però che la famiglia fosse stata di origine Veneta, giacché nel secolo precedente a quello in cui visse l'Architetto Antonio Trevisi, i Veneziani occuparono Brindisi, e la tennero in pegno con alcune altre città di Puglia, per garantia dei crediti che avevano contro del secondo Re Ferdinando d'Aragona. Una delle Pe-dagne, ossia degli isolotti messi all'ingresso dell'avamporto di Brindisi, e che lo difendono dai marosi, é tuttavia appellata Giorgio Trevisi, e questo nome è comunissimo tra i marinari Brindisini. Questo Giorgio Trevisi fu valoroso Uffiziale Brindisino, che militò per Re Filippo II di Spagna. Giovambattista Casimiro di Brindisi, che visse nella seconda metà del secolo XVI e primi anni del XVII, lasciò manoscritta una sua operetta, Intitolata: Epistola Panegyrica ad Quintum Marium Corradum; della quale non fu permessa, a Roma, la stampa per la critica un po' troppo caustica, usata contro del detto uomo, a cui l'Epi-stola fu diretta. L'autografo si conserva nella pubblica Biblioteca di Brindisi. Il Casimiro in quest'opera, parlando dei Brindisini illustri in lettere, in armi, ecc., enumerava il Giorgio Trevisi tra i Turmarum Primipili, cognomento Sur-dus Brundusinus, qui pro Rege nostro fortiter dimicando mortem occubuit, et defunctus repetita clarissimarum rerum ab eo gestarum memoria, centenos aureos a Serenissimo Rege Philippo suis nepotibus dum vivant exoravit. Vivus quid putas exprasset? La seconda delle Pedagne dunque sembra che abbia avuto il nome di Giorgio Trevisi, perché l'omonimo prode militare presso della stessa combattendo, incontrò la morte".

Finalmente a' 12 di questo Maggio istesso, dopo di aver fatte inutili ricerche negli Archivi Provinciale e Notarile di Lecce, mi sono recato a farne altre in Campi Salentina. Rovistai nell'Archivio del Capitolo della Chiesa Madre, in quelli dell'Ufficio del Registro e dell'Agenzia delle Tasse: " esaminai" alcuni vegliardi di cognome Trevisi; in tutto ciò, coadiuvato dal Sindaco signor Saverio Bari, dai Canonici Carlo Rosati e Raffaele Ingrosso, dal Ricevitore signor Sollecito Gelli, dallo Agente delle Tasse, dal Pretore sig. Francesco Vigneri, e dallo egregio mio amico sig. Giuseppe Ingrosso. Ed ecco cosa ho osservato e raccolto. Nello Archivio Capitolare i Registri battesimali non risalgono più oltre del 1542; i mortuali più antichi sono del secolo XVII. Nello Inventario seu Platea dei beni del Rndo Capitolo e Chiesa di Campi, fatta dal Sacerdote Don Francesco Perrone di detta Terra di Campi, eletto dal Capitolo nel 1727-28, si trova segnata una "chesura detta la Trevisa". Nel catasto del 1806 sono allibrati come proprietari 53 individui di cognome Trevisi: 5 in quello del 1747, e 13 in quello del 1778. I Trevisi sono tutti e sempre artigiani, contadini, industrianti e "vaticali" (6): oggi sono molto numerosi, e non sono usciti dalla classe sociale dei loro vecchi. Seppi inoltre come presso l'Avvocato sig. Giacinto Bari già si conservava una "Notizia" intorno Antonio Trevisi, scritta dal signor Pietro Parlangeri da qualche anno defunto, e che oggi credesi smarrita.
La tradizione orale recita - che il Principe Enriquez, Marchese di Campi, condusse seco a Napoli un povero giovinetto de' Trevisi, e lo fece allevare agli studi: costui divenne buon architetto, si recò a Roma e ad Andria; a Roma costruì la colonna della Piazza di S. Pietro e la Fontana Trevisana e gridò "acqua alle funi" quando si sollevava la colonna per metterla in sito. Poi si ritirò, ricco, a Napoli, e vi fabbricò un palazzo, sul quale pose per arme "un otre da olio" che la sua era razza di "vaticali". Si chiamava Antonio. Non si sa dove morisse, e quando.
Di questa tradizione, criticata non quanto alla storia generale, perché può farlo ognun che voglia; ma quanto alla locale, il che troppo pochi possono fare, si può ritenere per ora come vero, che l'Antonio Trevisi, Architetto di opere celebrate a Roma, nascesse, in povero stato, nei primi anni del primo decennio del secolo XVI a Campi Salentino; che il Signore di quella Terra lo facesse allevare agli studi in Napoli; che operò anche ad Andria. Il Signore di Campi dovette essere o Bellisario Maramonte, o Ferrante I Paladini, suo successore (7).

Tra le mie schede rifrugando, ho trovato questo Notamento. "A' 2 maggio 1869 in Brindisi - Ho copiato dalla pietra, la quale chiude una delle volte del chiostro dell'ex-monastero di S. Benedetto, la seguente iscrizione:

IO M° ORONT° / TREVISI l'ho / Fatto l'AN 97 (sic)

probabilmente sarà stato il 1697, almeno così "dice l'opera", o ch'io m'inganno: le Cronache locali tacciono.

E con ciò, in materia di Architettura Salentina, io vi ho detto non solo quanto ho potuto raccogliere da carte, e da libri vecchi e molto rari, e da pubblici documenti; ma anche ea quibus interfui, atque his auribus ausi, quaeque e gravissimis testibus audivi(8), senza garentire se altre notizie architettoniche nostrane avessi dimenticato di raccogliere nel mare magno de' miei scartabelli, giunti ormai al XXXVI volume.
Lecce 8 giugno 1879
DE SIMONE

x
Mentre pubblicavi nel Propugnatore di Lecce (Anno XIX, numeri 16, 19, 20, 22 del 26 Aprile, 19, 26 Maggio, 9 Giugno 1879) queste notizie architettoniche, il ch. Cav. Luigi Maggiulli si è compiaciuto scrivermi (27 Maggio) che avrebbe visto con piacere ricordato l'Architetto Neritino GIO. MARIA TARENTINO. Ed io di buon grado aggiungo alla mia lista degli Architetti Salentini quel nome, pubblicando la iscrizione che lo ricorda. MAG. JOANNES TARENTINUS NERDONIENSIS FACIEBAT ANNO DOMINI 1583, il Convento de' PP. Predicatori in Muro Leccese, riportata alla pag. 145 Monografia di Muro Leccese del sullodato Cav. Maggiulli.
Durante tale pubblicazione mia, spronato dalle prime parole di essa, il Dottor Cosimo De Giorgi, ha voluto da una opera alla quale lavora alacremente, che porterà il titolo di Bozzetti della T. d'O., togliere, e stampare nel Gazzettino Letterario di Lecce (anno I, vol. II pagg. 147-152, fascicolo de' 30 maggio) un paragrafo intorno agli Architetti e Scultori in pietra leccese; è un lavoro sintetico, ricco di memorie, in parte, messe in luce la prima volta.


Edizione di 30 Copie, LECCE, Stab. tip. Scipione Ammirato, prop. L. Cisaria, MDCCCLXXIX


NOTE
1) Nella Mia Lecce, e i suoi monum. I, 382, l'ho chiamato erroneamente, sur una notizia Mss., Donatus
De Mutina: il mio egr. amico Dott. Cosimo De Giorgi, il quale ha letto cogli occhi propri la lapide che lo ricorda, me ne ha dato la correzione.
2) Giovanni Antonio Summonte, nella Historia della Città e Regno di Napoli, cita il "Libro de' Notamenti antichi del Dott. Jacopo Antonio Ferrari di Lecce, manoscritti". Parte de' Notamenti esistono, originalmente, nella Biblioteca Brancacciana di Napoli (4,E,2) di recente pubblicati dal Com. C. Padiglione. In questa copia leggo la seguente intestazione di un Diploma Brindisino dell'1185: Regnante rogo Guglielmo anno ejus Brundusij idem rex confirmavit donationem factam dicto monisterio per Tancredum Comitem litij, Comestabilem et magistrum justiciarium apuliae et terrae laboris, consanguineus ipsius regis; e ritengo che avanti il Comestabilem manchi la parola magnum; Perché il Summonte (op. cit., II, 66) citando l'originale Mss, del Libro del Notam. antichi, dice " che Tancredi rientrato nel Regno fu da Guglielmo il Buono investito del Contado di Lecce, e creato Gran Contestabile, come notano il Ferrari suddetto e il Maurolico ".
3) Templum - aedes - casa e chiesa: le Temple a Parigi era il Templum, cioè l'aedes Templariorum.
4) Nomen Ledae, Elena, in C.S. Italico, XII, 44.
5) Al Moschettini, ed anche al Prof. Francesco Fiorentino, farà piacere il sapere che la cosiddetta "Vita del Vanini, Mss.", la quale ebbe in mano, Antonio Casetti, mio caro amico non ha guari defunto, è un "Articolo" del Dizionario degli illustri Salentini opera Mss. di G.B. Lezzi da Casarano, come noi sappiamo di certa e personale scienza. Il Dizionario, esiste, ed è pregevole lavoro, ma non vale la pena di consultarne l'"Articolo", chè nulla di nuovo vi si legge intorno al Vanini. Sappia pure l'egr. Moschettini, che la protome del Vanini, la quale oggi, insieme a quelle di Scipione Ammirato, di Antonio Galateo e del Milizia han collocato, senza pompa e senza discorsi occasionali, nella Biblioteca Provinciale di Lecce, non è il "ritratto" del Vanini; come le altre tre non lo sono di quelli illustri, i nomi dei quali sono arbitrariamente scolpiti sulle loro basi.
6) Vaticale, Viaticale è il Viaticarius, che però ha bisogno di miglior definizione, che non è quella del Du Cange.
7) Bellisario Maremonte, Barone di Campi, morto, nel 1518 (v. Lecce e i suoi Monum., ecc., I, 299) lasciò lo Stato all'unica sua figliuola Giovanna, che nata eragli dalla moglie Giulia Paladini. Per la morte di costei, Campi ricadde alla R. Corte. Giulia era figliuola di Loyse Paladini (Dottore in Leggi, Il dei Conti di Lizzanello nella famiglia, Barone di Salice, di Guagnano e di Melendugno, ecc., Ambasciatore per Ferrante ed Alfonso II d'Aragona ad Innocenzo VIII, ad Alessandro VI ed alla Repubblica di Venezia, Viceré di Terra d'Otranto e di Bari, protettore ed amico di S. Francesco di Paola) e di Caterina Morisini, patrizia Tarantina (Lecce e i suoi Monum., ecc., I, 50); e quindi, sorella di Ferrante I Paladini. Il quale a' 14 agosto 1522, dal Viceré Raimondo di Cardona, comperò il feudo di Campi, ed al 14 ottobre dello stesso anno ne ottenne la conferma da Carlo V. A Ferrante I, che dovette morire poco dopo il 1530, successe il figlio Aloysio Maria. Ad Aloysio Maria, premorto il primogenito Ferrante II (1572), successe il figliuolo di costui a nome Carlo. Morto Carlo, senza figli, Campi passò a suo fratello, Ferrante III. Questi, morendo senza discendenza mascolina, lasciò Campi alla sua figliuola Maria, che ottenne di mutare il titolo di Barone in quel di Marchese sopra quella terra. Maria sposò, in prime nozze. Emilio Guarini; in seconde (1625) Giovanni Enriquez, Grande di Spagna, Reggente del Collaterale di Napoli. Da costoro nacque Gabriele-Agostino, padre di Arrigo (Cardinale) e di Teresa, che sposò Giovanni Filomarino Duca
di Cutrofiano, portando in casa il marito il titolo di Marchese di Campi (Cnf. Libro de' Notamenti antichi, cit.; TRINCHERA, Codice Aragonese; Della Fameglia Paladini di Lecce, Mss. autografo, anonimo, del secolo XVII, presso di me; Accademia degli, Spioni di Lecce. In Lecce, MDCCXXIII; Raccolta di composizioni in lode di Sua Eminenza il Cardinale D. Arrigo Enriquez, Lecce MDCCLIV; Cronache Mss di Lecce).
8) Lettere del Panormita, nel Regis Ferdinandi et alior. epist., pag. 378. E qui sarebbero terminate le Note; ma non dispiaceranno al lettore le altre notizie seguenti: "Giovan Iacopo, figlio di Alfonso de l'Acaya e di Maria figlia di Urbano, secondo Barone di S. Donato, fu molto dedito alle matematiche, in cui fe' tal riuscita che la maestà di Carlo V, Imperatore di eterna memoria, se ne servì per Ingegnere generale del Regno di Napoli: e già in Napoli stessa si vedono le sue fortificazioni, e per tutte le marine di questo Regno... quel secolo di ammiratione e di lode. Hebbe animo regio et da principe, il Castello Scisciano (?), dalli suoi autori ricevuto, dalle sue fondamenta edificò, e redusse in modo de fortezza, che chiamano forma prima gli architetti, con baluardi bellissimi, et con bellissimo principio di castello, che quasi in Terra d'Otranto non si vede meglio, il quale non poté condurre a fine, impedito dalla fatale necessità di morire. Al quale Castello diede il suo nome della Caja; e chiamerassi eternamente, ma corrottamente oggi chiamato dell'Acaja; come nella casa de l'Antoglié si vede che Antoglietta dicono, e nella casa della Barliera si osserva che Barrera si viene a chiamare" (Libro dei Notam. ant., cit.).
Nell'assedio di Malta (1565), già ricordato, morì gloriosamente combattendo un Leccese, Carlo Paladini, figlio di Loyse Maria, del quale abbiam fatto menzione nella Nota 7), e di Antonia Delli Noi. Costui "preso l'habito di Gerosolimitano Cavaliere si ritirò nell'assedio di Malta fatto dall'armata di So-limano Ottomano, duodecimo Gran Turco nel 1565, e stando al posto nella fortezza di S. Ermo, combattendo ivi valorosamente fu ferito da un colpo di moschettone, con diversi e molti altri Cavalieri, e non ben guarito ritornando collo stesso valore a combattere nel borgo, di nuovo colpito da Nemici con molta sua lode dié fine all'anni, ed altro si vede dall'Istoria di detta famiglia. Lo riferisce Antonio Francesco Cirni Corso nella sua Istoria dell'assedio di Malta, in 4°, foglio 124" (Della Fameglía de' Paladini di Lecce).


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