Noi e le tasse




Sergio Zavoli



Chi le paga, cioè il cittadino che non vuole o non può eludere le tasse, si è fatto di questo dovere, accettato o subìto che sia, un'idea tutto sommato moralistica: è indotto più a invocare l'" uguaglianza in andata " (dobbiamo pagare tutti) che verificare la " giustizia di ritorno " (se tutti pagassero, pagheremmo ciascuno di meno). E' l'antica richiesta dei poveri di partire dal medesimo punto, senza gli handicap che la vita, in ogni caso, riproporrà, pensando da sé a ritmare la corsa dei concorrenti. Insomma, a chi paga basterebbe sapere, un bel giorno, che nessuno è più in grado di gabbare il fisco; raggiunta questa consolazione, allora si comincerebbe a chiedersi, come si fa nei paesi dove la parità dei poveri è garantita, se non sia possibile rivendicare anche qualche diritto. La polemica con il fisco, nelle nazioni socialmente più evolute, riguarda infatti non l'evasione, come da noi, ma il pagamento. Avreste mai pensato, d'altronde, che nel rapporto " reddito fiscale-fornitura di servizi sociali ", gli Stati Uniti sono di gran lunga lontani non soltanto dalle nazioni scandinave, le più fiscali del mondo, ma anche da altri dodici paesi, fra cui, nell'ordine, Francia, Inghilterra, Germania, Canada e Italia? Si può obiettare che questi dati statistici riguardano realtà sociali così diverse che non si possono trarre conclusioni né incoraggianti né deludenti: come prescindere dalla constatazione che se pagassimo tutti le tasse lo Stato assicurerebbe più giustizia che assistenza? E che la prima, a conti fatti, ci costerebbe molto meno della seconda? In un Paese come il nostro - dove l'evasione fiscale ha assunto proporzioni tanto vistose, ed altrettanto vistoso è il fenomeno dell'impunità - ogni confronto con gli altri è in perdita. Come non trovare il bandolo, per esempio, di quel groviglio di omissioni, di reticenze, di omertà che hanno reso possibile, e tuttora nascondono, la lista dei " cinquecento "? Il cittadino, oggi, dà al potere non più un generico mandato da esercitare in nome di quella distante, onnipotente e misteriosa entità che è l'amministrazione statale: al contrario, dà una " delega a fare ", e a far bene, secondo criteri garantiti dall'alto ma controllati dal basso, sulla base di quella coscienza civile alla quale, come diceva De Toqueville, " ci si può legittimamente appellare solo a patto di chiedere al popolo non ubbidienza, ma condivisione, non omaggio ma rispetto, non affidamento ma sorveglianza ".

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