Meno braccia meno terra




Raimondo Ruju



Le ultime indagini statistiche sulle forze del lavoro e sulle aziende agricole in Italia offrono la possibilità di interessanti considerazioni sullo stato presente e sulle prospettive della nostra agricoltura. L'Istat ha accertato che gli occupati in agricoltura ammontano a 3.160.000 unità. Ma in questa cifra sono comprese " le persone che non hanno dichiarato di essere occupate, ma hanno affermato di aver svolto ore di lavoro nella settimana di riferimento dell'indagine " (settimana intermedia del mese di luglio '77). Il numero di queste persone è pari a 460.000 unità.
C'è da ritenere con maggiore approssimazione alla realtà che gli occupati effettivamente siano quindi 2.708.000. In ogni caso, prendendo il dato più ottimistico, si afferma che gli occupati in agricoltura costituiscano il 15,7 per cento degli occupati totali, nelle diverse attività. C'è chi dice che questo dato finirà con l'essere corretto in difetto, nelle prossime indagini, poiché le campagne continuano a spopolarsi. In un certo qual modo, il tipo stesso della nostra agricoltura (ad esempio, la grande diffusione delle colture orticole, frutticole, vitivinicole ed olivicole) fa da freno all'esodo, in quanto nelle aziende c'è bisogno di manodopera e quindi sono le stesse famiglie a trattenere o ritardare il più possibile l'espulsione, dei giovani. Sono però le condizioni economiche esterne ad influire maggiormente sul fenomeno. In periodo di recessione, come quello che stiamo attraversando, è probabile che la ipotesi di un peggioramento dell'occupazione in agricoltura sia da prendere con le pinze. Ma non ci si può illudere del contrario, cioè del riassorbimento da parte dell'agricoltura di forze di lavoro di ritorno dalle industrie.
Accanto al fenomeno dell'esodo, che praticamente indebolisce l'economia agricola in quanto determina l'orientamento delle imprese a favore di colture che occupano meno lavoro e che siano maggiormente meccanizzabili, c'è l'altro fenomeno della restrizione della superficie utilizzata. L'indagine Istat sulle aziende ha accertato che la superficie agricola totale è diminuita tra il 1970 (censimento agricolo) e il 1975 (data dell'indagine) di 1.250.000 ettari, cioè del 5,3%. Il fenomeno della contrazione ha interessato tutte le zone altimetriche, vale a dire anche la pianura, sebbene in minor misura (175.367 ettari). Così l'agricoltura non ha soltanto meno braccia occupate nei suoi lavori, ma ha anche disponibili meno terre, ed in misura cospicua. La lotta tra l'agricoltura e le altre attività è più che manifesta e si risolve in un generale indebolimento delle risorse umane e fisiche. A questa constatazione si può osservare solo che le moderne tecniche agricole spingono verso un maggiore rendimento delle risorse.
Tutto ciò vuoi dire che la politica agricola deve tener debito conto di queste situazioni, di questi fenomeni, perché alle minori risorse occorre contrapporre miglioramenti tecnici che si potranno attuare con un'adeguata preparazione degli addetti al settore primario e con maggiori investimenti da parte degli imprenditori; con la creazione di aziende autosufficienti e con le riconversioni colturali; con la disponibilità di servizi e il miglioramento della commercializzazione; e, infine, con una moderna politica di indirizzo nei consumi.

Frumento

E' la coltura che più ha risentito dell'annata negativa, con una minor produzione del 33 per cento Ciò, a causa soprattutto della contrazione (20 per cento) della superficie coltivata, dovuta all'impossibilità degli agricoltori, nell'autunno del '76, di coltivare i terreni e di seminare, a causa delle grandi piogge che hanno vietato, in molti casi, anche le semine primaverili. Quella che si può definire la peggiore annata agraria degli ultimi trent'anni non ha però risentito solo delle mancate semine. Anche il frutto ha patito, per infestazioni di afidi, attacchi di ruggine e " mal del piede ". Così le rese sono state molto basse, anche come peso specifico. I dati negativi riguardano sia il grano tenero che quello duro, con indici più negativi per il primo.

Frutta

Le gelate primaverili hanno danneggiato soprattutto meli, peri e peschi, mentre albicocche e susine hanno sofferto per le intense piogge che hanno infierito da aprile a giugno, provocando danni e favorendo l'insorgere di malattie (bolla del pesco e " mal del piombo "). In alcune zone l'albicocco non ha quasi dato frutti per la bassa temperatura durante il periodo di fioritura e per le piogge durante la maturazione. Perfino il rustico nocciolo ha patito per attacchi di " Gleosporium " che ha fatto seccare germogli e gemme.

Uva

Diminuzione, non eccessiva, né pari a quella inizialmente temuta. Tuttavia, specie per l'uva da tavola, è stata di non buona qualità per gli attacchi parassitari provocati dalle incessanti piogge di fine estate. Ottime invece le gradazioni delle uve meridionali (Puglia e Calabria in particolare), dove però i cali di produzione sono stati più pesanti che nel resto del Mezzogiorno. E' opinione diffusa che le vinificazioni daranno vini di qualità superiore a quella degli anni '74-'75 e '76. Il mercato ha registrato, sia per il raccolto fresco che per i mosti, prezzi in salita.

Barbabietole da zucchero, mais, ortaggi, agrumi, olive

Per le barbabietole notevole diminuzione per la contrazione della superficie dovuta, come per il frumento, alle piogge durante le semine. La produzione nei rimanenti settori è stata buona, e in parte ha compensato il cattivo andamento generale. In complesso, quindi, la produzione vegetale ha subito una diminuzione del 4-5 per cento in media, una media ottenuta dal calo del dieci per cento delle colture erbacee e dall'aumento di poco superiore al quattro per cento delle coltivazioni arboree.

Zootecnia

E' andata bene, malgrado la forte concorrenza francese e tedesca e l'effetto negativo degli importi compensativi. La produzione degli allevamenti ha segnato un incremento di circa il quattro per cento: +2,5-3 per cento il latte, +5 per cento la produzione di carne, soprattutto per merito della suinicoltura. Questo miglioramento della zootecnia italiana ha fatto rallentare le importazioni di animali vivi (ma non di carne, che è aumentata), attenuando anche i deficit delle importazioni nel settore lattiero-caseario.


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