Passeggiare lungo
questo lembo di terra bagnata da un mare purissimo significa scoprire
storia, arte militare, tradizioni popolari, elementi originali di protostoria
salentina.
A vederla dall'alto,
quasi immersa nel verde smeraldo del mare, e, sulla terraferma, nel
verde degli alberi che circondano le ville e i casolari, sembra un "unicuum",
abbagliante di bianco sotto il sole, affiorante da un bosco che non
conosce autunni. A starci tra le vie, il cuore si divide. Di qua, la
collina rocciosa, sovrastata da altre colline, quasi tutte coronate
di torri di avvistamento, le più celebri delle quali dovute a
Carlo quinto; di là, le casette dei pescatori, la piccola cala
con una fettuccia di arenile, e il mare di fronte, punteggiato dalle
barche alla fonda. Domina il verde, abbiamo detto. E Canale Verde è
quel braccio di acqua salata che si incunea nella roccia assai varia
e frastagliata che, per via del fondo e dei riflessi solari, in netto
contrasto con l'azzurro del cielo e del mare aperto, assume un tono
diffuso di smeraldo profondo. Di sera, pesci fosforescenti; e fosforescenti
sembrano anche le case che sorgono poco distanti, in un gioco che non
ha mai fine.
La "Grotta di Capelvenere" ricorda una leggenda. Era, in tempi
non remoti, più semplicemente (e più suggestivamente,
perché anche qui è Magna Grecia) "Grotta di Venere".
Narrano le antiche fonti locali che Artemide qui giunse da Cipro, isola
prediletta, Per dare alla luce Cupido. Divenne "di Capelvenere"
per via dei ciuffi di quell'erba che spontaneamente crebbero fra le
pareti.
E' una stazione preistorica che pare risalga alla rispettabile età
di undicimila anni. Vi si accede attraverso una scala scavata nella
roccia. Quando vi penetrò il professor Edoardo Borzatti Von Lowenstern,
a condurvi i primi scavi, trovò materiale litico preistorico
di enorme interesse: "Ho esplorato la Grotta di Capelvenere, la
Grotta di Torre dell'Alto, quella di Uluzzo ed altre. Gli strumenti
litici in esse trovati non presentano una grande varietà ed appartengono
al paleolitico superiore. Ma la tecnica con cui tali strumenti sono
realizzati e le loro caratteristiche morfologiche sono essenziali per
lo studioso. Ho osservato delle caratteristiche locali, tra cui il tipo
di pietra usato, cioè il calcare siliceo in prevalenza sulla
selce classica, data la rarità di quest'ultima nella zona".
Che significa? Innanzitutto che gli antichi abitatori di quest'area
non avevano a disposizione una pietra adatta a costruirsi armi ed utensili.
Pertanto, o dovevano adattare la pietra locale alle loro necessità,
o erano costretti a spostarsi verso l'interno, a reperire la pietra
utile, e ad "importarla" a Santa Caterina. Si tenga conto
che siamo nello stesso periodo vissuto dall'uomo che abitò la
Grotta Romanelli: il Salento era interamente coperto di foreste, e gli
spostamenti, di conseguenza, erano estremamente difficili, e soprattutto
pericolosi. Si ritiene, inoltre, che in quell'epoca quella che attualmente
è l'intera provincia di Lecce fosse abitata, poco più,
poco meno, da duecento esseri umani!
Rispondendo alle domande di un cronista, il professor De Borzatti ha
avuto modo di precisare che i vari ambienti in cui vissero i paleolitici
durante la loro evoluzione, in diretto rapporto alla variazione dei
climi, alle glaciazioni che crearono ambienti vegetali e faune tipiche,
condizionarono senza dubbio, e profondamente, la vita dei primitivi.
"Fra i resti di pasto dei paleolitici di Santa Caterina - ha aggiunto
- si notano spesso animali che rivela la presenza ora di un ambiente
ora di un altro, come in una oscillazione continua di ambienti, umidi
temperati caldi, poi freddi-secchi. E' quindi un alternarsi di foreste
con cervi, daini, cinghiali di praterie miste a macchie, con rinoceronti,
elefanti, ippopotami; di prati-pascoli con volpi, lepri, conigli, tartarughe;
di steppe, con asini e cavalli".
Una diramazione della scala che porta alla Grotta di Capelvenere conduce
alla torre dell'Alto, del sedicesimo secolo, alzata ad avvistamento,
e, nel caso di necessità, a difesa dalle incursioni piratesche.
Dalla Torre precipitò, trovando la morte, il duca Giovan Bernardino
Acquaviva, figlio di Belisario. Narra il Castrignano, nella sua storia
neretina: "Costui trovavasi a villeggiare alla Masseria Alto, quando,
una notte, fu avvertito che i turchi, sbarcati alla vicina spiaggia,
si approntavano ad assalirlo; ed egli corse a rifugiarsi alla Torre
poco discosta dalla masseria.
Ma per la fretta che aveva e per l'oscurità, e poiché
il ponte non era abbassato, precipitò dall'ultimo pianerottolo
nel sottostante terreno e vi rimase ucciso". Dalla parte occidentale
della Torre la scogliera scende a picco sul mare: lo specchio d'acqua
sottostante è dunque chiamato "dannato": è fama,
fra l'altro, che i condannati a morte venissero precipitati giù
dalla Torre nelle acque sottostanti.
Poco più in là, quasi segreta, è la baia di Porto
Selvaggio, dalla costa ricamata di scogliere, di microscopiche penisole,
di orti di schiuma Cristalline le acque, per il fondo arenoso: in mezzo
al mare affiorano polle d'acqua dolce. provenienti da segreti cammini
carsici dell'entroterra. Alla mano sinistra dell'insenatura, affioramenti
di tali acque, secondo il folclore locale, consentono il "bagno
della longevità".
La Grotta del Cavallo è in cima alla Baia dell'Uluzzo; la più
grande stazione abitativa del sistema dell'Uluzzo risalirebbe a trentamila
anni la: i reperti litici rinvenuti (a un metro e mezzo, a quattro metri,
e più in profondità, in una serie di scavi sistematici)
hanno gettato un fascio di luce nuova nella preistoria salentina e italiana.
Non a caso, si può parlare di un'opera "Uluzziana",
come momento caratterizzante dell'alba della vita nella penisola italiana.
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