§ Santa Caterina di Narḍ

In "Mondonuovo"




Enrico Surdo



Passeggiare lungo questo lembo di terra bagnata da un mare purissimo significa scoprire storia, arte militare, tradizioni popolari, elementi originali di protostoria salentina.

A vederla dall'alto, quasi immersa nel verde smeraldo del mare, e, sulla terraferma, nel verde degli alberi che circondano le ville e i casolari, sembra un "unicuum", abbagliante di bianco sotto il sole, affiorante da un bosco che non conosce autunni. A starci tra le vie, il cuore si divide. Di qua, la collina rocciosa, sovrastata da altre colline, quasi tutte coronate di torri di avvistamento, le più celebri delle quali dovute a Carlo quinto; di là, le casette dei pescatori, la piccola cala con una fettuccia di arenile, e il mare di fronte, punteggiato dalle barche alla fonda. Domina il verde, abbiamo detto. E Canale Verde è quel braccio di acqua salata che si incunea nella roccia assai varia e frastagliata che, per via del fondo e dei riflessi solari, in netto contrasto con l'azzurro del cielo e del mare aperto, assume un tono diffuso di smeraldo profondo. Di sera, pesci fosforescenti; e fosforescenti sembrano anche le case che sorgono poco distanti, in un gioco che non ha mai fine.
La "Grotta di Capelvenere" ricorda una leggenda. Era, in tempi non remoti, più semplicemente (e più suggestivamente, perché anche qui è Magna Grecia) "Grotta di Venere".
Narrano le antiche fonti locali che Artemide qui giunse da Cipro, isola prediletta, Per dare alla luce Cupido. Divenne "di Capelvenere" per via dei ciuffi di quell'erba che spontaneamente crebbero fra le pareti.
E' una stazione preistorica che pare risalga alla rispettabile età di undicimila anni. Vi si accede attraverso una scala scavata nella roccia. Quando vi penetrò il professor Edoardo Borzatti Von Lowenstern, a condurvi i primi scavi, trovò materiale litico preistorico di enorme interesse: "Ho esplorato la Grotta di Capelvenere, la Grotta di Torre dell'Alto, quella di Uluzzo ed altre. Gli strumenti litici in esse trovati non presentano una grande varietà ed appartengono al paleolitico superiore. Ma la tecnica con cui tali strumenti sono realizzati e le loro caratteristiche morfologiche sono essenziali per lo studioso. Ho osservato delle caratteristiche locali, tra cui il tipo di pietra usato, cioè il calcare siliceo in prevalenza sulla selce classica, data la rarità di quest'ultima nella zona".
Che significa? Innanzitutto che gli antichi abitatori di quest'area non avevano a disposizione una pietra adatta a costruirsi armi ed utensili. Pertanto, o dovevano adattare la pietra locale alle loro necessità, o erano costretti a spostarsi verso l'interno, a reperire la pietra utile, e ad "importarla" a Santa Caterina. Si tenga conto che siamo nello stesso periodo vissuto dall'uomo che abitò la Grotta Romanelli: il Salento era interamente coperto di foreste, e gli spostamenti, di conseguenza, erano estremamente difficili, e soprattutto pericolosi. Si ritiene, inoltre, che in quell'epoca quella che attualmente è l'intera provincia di Lecce fosse abitata, poco più, poco meno, da duecento esseri umani!
Rispondendo alle domande di un cronista, il professor De Borzatti ha avuto modo di precisare che i vari ambienti in cui vissero i paleolitici durante la loro evoluzione, in diretto rapporto alla variazione dei climi, alle glaciazioni che crearono ambienti vegetali e faune tipiche, condizionarono senza dubbio, e profondamente, la vita dei primitivi. "Fra i resti di pasto dei paleolitici di Santa Caterina - ha aggiunto - si notano spesso animali che rivela la presenza ora di un ambiente ora di un altro, come in una oscillazione continua di ambienti, umidi temperati caldi, poi freddi-secchi. E' quindi un alternarsi di foreste con cervi, daini, cinghiali di praterie miste a macchie, con rinoceronti, elefanti, ippopotami; di prati-pascoli con volpi, lepri, conigli, tartarughe; di steppe, con asini e cavalli".
Una diramazione della scala che porta alla Grotta di Capelvenere conduce alla torre dell'Alto, del sedicesimo secolo, alzata ad avvistamento, e, nel caso di necessità, a difesa dalle incursioni piratesche. Dalla Torre precipitò, trovando la morte, il duca Giovan Bernardino Acquaviva, figlio di Belisario. Narra il Castrignano, nella sua storia neretina: "Costui trovavasi a villeggiare alla Masseria Alto, quando, una notte, fu avvertito che i turchi, sbarcati alla vicina spiaggia, si approntavano ad assalirlo; ed egli corse a rifugiarsi alla Torre poco discosta dalla masseria.
Ma per la fretta che aveva e per l'oscurità, e poiché il ponte non era abbassato, precipitò dall'ultimo pianerottolo nel sottostante terreno e vi rimase ucciso". Dalla parte occidentale della Torre la scogliera scende a picco sul mare: lo specchio d'acqua sottostante è dunque chiamato "dannato": è fama, fra l'altro, che i condannati a morte venissero precipitati giù dalla Torre nelle acque sottostanti.
Poco più in là, quasi segreta, è la baia di Porto Selvaggio, dalla costa ricamata di scogliere, di microscopiche penisole, di orti di schiuma Cristalline le acque, per il fondo arenoso: in mezzo al mare affiorano polle d'acqua dolce. provenienti da segreti cammini carsici dell'entroterra. Alla mano sinistra dell'insenatura, affioramenti di tali acque, secondo il folclore locale, consentono il "bagno della longevità".
La Grotta del Cavallo è in cima alla Baia dell'Uluzzo; la più grande stazione abitativa del sistema dell'Uluzzo risalirebbe a trentamila anni la: i reperti litici rinvenuti (a un metro e mezzo, a quattro metri, e più in profondità, in una serie di scavi sistematici) hanno gettato un fascio di luce nuova nella preistoria salentina e italiana. Non a caso, si può parlare di un'opera "Uluzziana", come momento caratterizzante dell'alba della vita nella penisola italiana.


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