Cavallinese,
di antica e nobile famiglia, fu uno dei grandi eroi dell'epopea risorgimentale
nel Salento. Fu in carcere e in esilio, prima di vedere coronato il suo
ideale unitario.
Di antica e nobile
famiglia, Sigismondo Castromediano ebbe natali in Cavallino nel gennaio
1811. Da giovane, fu ardente mazziniano, poi aderì agli ideali
della monarchia costituzionalista. E la Costituzione promulgata dai
Borboni di Napoli salutò, il 2 febbraio 1848, con l'entusiasmo
che fu di molti, e che era destinato ben presto a trasformarsi in delusione,
nel momento in cui la carta liberale venne abrogata. Furono i giorni
dei moti e dei sollevamenti, subito repressi dalla polizia. Ricorda
Nicola Cavallo che "In Lecce si era, nel frattempo, costituito
un Circolo patriottico, con diramazioni in tutto il Salento, per la
difesa delle libertà costituzionali". Presidente del Circolo
era stato eletto Bonaventura Mazzarella, uomo dottissimo e di grande
spirito e coraggio civile. Segretario del Circolo fu Sigismondo Castromediano,
"che stilò il fermo e dignitoso proclama alle genti del
Salento, col quale si protestava contro il vile sopruso e si invitava
il popolo a difendere la conquistata libertà. Ma i tempi erano
ancora immaturi, e gli eroici sforzi del Castromediano e dei suoi compagni
non valsero che a procurare loro esilii e galera".
Castromediano, infatti, insieme con Nicola Schiavoni, con Michelangelo
Verri, con il matematico Domenico Buia, con il Donadio e con altri,
venne arrestato: era il 30 ottobre 1848. L'attesa per il processo fu
lunga. La sentenza arrivò dopo oltre due anni, il 2 dicembre
1850. Il tribunale borbonico lo condannò a trent'anni di ferri,
commutandogli la pena di morte che gli era stata precedentemente comminata
con l'accusa, gravissima per quei tempi e per quel regime, di voler
rovesciare il legittimo governo di Napoli.
A tutti gli italiani, per intere generazioni, scrive ancora Cavallo,
è noto il calvario di Silvio Pellico e dei suoi compagni dai
Piombi di Venezia allo Spielberg. "Ma non tutti sanno, come sarebbe
doveroso - aggiunge - quello non meno dolente del Nostro Castromediano
e dei suoi amici patrioti nelle esecrate carceri borboniche di Procida,
Montefusco, Montesarchio, Nisida e Ischia, nelle quali i prigionieri
politici, accomunati a feroci delinquenti comuni, furono ridotti a larve
di uomini, tanto che Gladstone bollò il governo borbonico, definendolo
"negazione di Dio", per il trattamento disumano usato verso
i preclusi."
E in realtà, Procida, Montesarchio e Ischia, assai più
che Montefusco e Nisida (ma queste solo in misura minore), furono le
più terribili case penali dell'epoca. Ancora oggi, chi percorre
la Statale che dalla Puglia penetra in Campania attraverso tutta la
serie di valli e gobbe appenniniche che quasi fanno da spartiacque tra
le due regioni, può scorgere il fosco Castello di Montesarchio,
che domina questa piccola, antica città, nelle cui celle, ricavate
dai sotterranei, dai vecchi depositi, dalle gigantesche cantine, ebbero,
tortura e morte centinaia di patrioti incarcerati per delazione, per
tradimento, o in seguito alle accanite persecuzioni poliziesche. Altrettanto
noto fu il bagno penale di Ischia, dal quale sembrava impossibile ogni
tentativo di evasione. In questo carcere, come in quello dell'altra
isola, Procida, venivano trasferiti tutti coloro che erano ritenuti
particolarmente pericolosi per lo Stato borbonico. Vi passò,
infatti, il fior fiore dei mazziniani, dei costituzionalisti e dei liberali
risorgimentali dell'intero Regno di Napoli.
Tra questi, Sigismondo Castromediano, che ebbe a sopportare inenarrabili
sofferenze, sia fisiche che morali: le catene che portò sono
tuttora custodite nel Museo Provinciale di Lecce, e sono di per se stesse
la più eloquente testimonianza della terribile vita quotidiana
dei detenuti. Tuttavia, Castromediano sopportò quegli anni della
sua vita "con cristiana rassegnazione, ma con indomabile fierezza,
respingendo ricatti indegni e la stessa grazia, che gli si voleva concedere
a condizioni ritenute indecorose".
Nel gennaio del 1859, proprio a Montesarchio, avvenne la liberazione:
novantuno prigionieri, tutti politici, (e fra questi gli scrittori Poerio
e Settembrini) si videro commutata la pena del carcere duro nell'esilio
a vita a New York. In realtà nessuno di loro aveva intenzione
di varcare l'oceano e di attendere, inerte, che si realizzasse l'ideale
unitario italiano. Grazie alla complicità, di un ufficiale della
marina britannica, figlio di Luigi Settembrini, durante il viaggio i
prigionieri vennero sbarcati sulla costa irlandese. "Dopo un viaggio
trionfale - sostiene Cavallo - per le attestazioni di affettuosa stima
da parte degli irlandesi e degli inglesi, i patrioti potettero raggiungere,
via terra, il Piemonte. E' inutile dire che la notizia gettò
lo sgomento nella corte borbonica!"
Sigismondo Castromediano e tutti i suoi compagni fecero in tempo a votare
per la caduta del Regno e per l'annessione delle province meridionali
al Piemonte. Il loro sogno, per la quale avevano patito e pagato duramente
nella giovinezza, si era realizzato. L'Unità non era più
una meta lontana, astratta. Occorreva dunque lavorare per "rifare
gli italiani". Castromediano fu deputato al primo Parlamento italiano
per il Collegio di Campi Salentina. Successivamente, fu deputato provinciale.
Non trascurò le attività culturali: fondò il Museo
che porta il suo nome, fu socio di numerose accademie, dalla celebre
Pontaniana, di Napoli, alla Società Archeologica di Firenze,
a quelle di Berlino e di Mosca.
Ricorda Cavallo che Castromediano "trascorse gli ultimi anni nel
religioso ricordo del recente passato, ed auspicando sempre migliori
fortune per la sua Patria, alla quale aveva fatto olocausto della sua
giovinezza e del suo amore. Non chiese ricompense e non accettò
incarichi, che pure il nuovo governo voleva affidargli. Per le reiterate
insistenze di una elettissima amica, che fu sempre confortatrice del
Manco Duca, la nobildonna piemontese Adele Savio, nonché di amici
leccesi, quali l'illustre medico e patriota Giovacchino Stampacchia,
si decise a scrivere le sue memorie, che, insieme alle nobilissime lettere
dal carcere, costituirono il testamento spirituale di un uomo, la cui
vita rimane modello di virtù morali e civili alle future generazioni".
Castromediano, si colloca così tra le figure di maggiore spicco
nella vicenda risorgimentale salentina; una vicenda che ancora è
in gran parte da ripercorrere, attraverso una lettura critica dell'attivà
di tanti patrioti, da Antonietta De Pace ad Epaminonda Valentinio, a
Giuseppe Libertini, a Liborio Romano, a Nicola Mignogna, a Giuseppe
Pisanelli, al Carbonelli, allo Schiavoni, al Buia, al Mazzarella, al
Verri, al Donadio, a tanti altri, che diedero un senso all'epopea salentina,
all'adesione di una terra tanto "periferica" ai moti liberali
che venivano da lontano, e che dovevano portare l'Italia alle soglie
del futuro.
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