§ IL CORSIVO

Pagare per nove. Pagare per dodici




Tonino Caputo



Tra i problemi della nostra politica economica, credo che il record della complessità riguardi l'atteggiamento da tenere sull'ingresso di Grecia, Spagna e Portogallo nella Cee. C'è infatti nel problema un'evidente contraddizione fra esigenze politiche e interessi" economici. Nessuno può sottovalutare l'importanza di più stretti legami dei Nove con tre giovani democrazie. Ma, dal punto di vista economico, il peso di quest'allargamento lo pagherebbe solo la parte più debole della Comunità. Il Nord Europa esporterebbe non solo una maggiore quantità di prodotti industriali, ma anche di derrate agricole di cui ha grosse eccedenze (carne, grano, latte e derivati), perché ora Grecia, Spagna e Portogallo acquistano al di fuori dell'Europa. E gli stessi Paesi del Nord riceverebbero prodotti agricoli mediterranei (vino, olio, ortofrutticoli) che ora sono il principale sbocco del Sud della Francia e dell'Italia.
Ma le cose, per noi, non si fermano qui. In un rapporto redatto da poco a Parigi si legge che si riorganizzerà l'agricoltura del Sud-Ovest, fino ad abbattere oltre 100 mila ettari di vigneto entro il 1985. Le importazioni in Francia di vino italiano - si legge chiaramente nel rapporto - tenderanno a lasciare spazio all'importazione di vini spagnoli. Questi infatti costano il 40 per certo in meno dei nostri. E si deve ammettere che mentre l'Italia ha acquistato dagli altri membri Cee quasi la totalità dei prodotti di cui è deficitaria (80% della carne importata, 88% dei latticini), ha progressivamente perduto quote di mercato riguardo alle produzioni meridionali, fino a giungere all'assurdo che meno del 5% degli agrumi e solo il 17% degli ortaggi importati dal Nord Europa è acquistato presso di noi. Tutto ciò deriva forse da accordi troppo generosi firmati dalla Cee a favore di paesi terzi, ma soprattutto da una politica agricola italiana che si è rifiutata in passato di capire le moderne esigenze della produzione e della commercializzazione. In molti casi non solo gli israeliani, ma anche gli spagnoli e i nordafricani sono stati più innovativi di noi. Così, ora i maggiori vantaggi andranno a premiare agricolture europee più ricche delle nostre. Basti pensare che i prodotti mediterranei costituiscono il 18,2% della produzione agricola comunitaria, ma ricevono solo il 14,7% dei fondi per il sostegno dei prezzi.
Eppure, l'agricoltura nel Sud assorbe oltre il 25% di tutti gli addetti, (contro meno dell'8% del Nord Europa), e i nostri redditi pro-capite sono enormemente più bassi, come più deboli e piccole sono le dimensioni aziendali. Non crediamo che difendere milioni di agricoltori meridionali sia un peccato di egoismo, ma una doverosa strategia di politica economica. E' bene non scordare che, per quanto grandi saranno le risorse investite in agricoltura (e dovranno essere necessariamente grandi), non saranno in alcun modo sufficienti ad aumentare gli occupati in questo settore nel Mezzogiorno. Altro che sfogo per l'occupazione giovanile. I dati quantitativi della popolazione e della disoccupazione dimostrano purtroppo che non vi può essere un Mezzogiorno moderno senza un diffuso sviluppo dell'industria. Chi dice il contrario sa di servirsi della demagogia. E sa di ripetere, a livello di Comunità economica europea, allargata o no, il discorso sulla "necessità dell'arretratezza delle regioni meridionali" che è stato portato avanti, per oltre un secolo, a livello nazionale.
Dimenticando che le nuove generazioni non sono più disposte a pagare per uno, né per nove. Figuriamoci per dodici.

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