§ Nella giungla pensionistica

L'armata invalidi




Cosimo Prete



Leggiamo su "Moneta e credito" che "nei tredici anni dal 1964 al 1976 gli interessi reali percepiti dalle famiglie ed espressi in lire con potere d'acquisto 1976, sono risultati negativi per un importo complessivo pari a oltre 54 mila miliardi. Tale sottrazione di ricchezza è stata subìta, dalle famiglie totalmente a partire 1969". Comunque, questa stima è sicuramente sottovalutata. "Occorrerebbe infatti aggiungervi le perdite in linea capitale - circa 2.600 miliardi - subìte dal portafoglio obbligazionario e derivanti dalla valutazione dei titoli ai prezzi di mercato di fine 1976.
Qualora poi si volessero includere le partecipazioni azionarie, il deficit aumenterebbe ulteriormente di almeno diecimila miliardi".
Una spoliazione di ricchezza di queste dimensioni, avvenuta in così breve volgere di tempo, solleva immediatamente l'interrogativo: dove sono finiti questi circa 67 mila miliardi di lire? La risposta è fin troppo semplice: nel pozzo senza fondo della spesa pubblica.
E' sullo sfondo di questa spoliazione che ci pare debba essere visto il problema delle pensioni, cioé di quel gigantesco meccanismo di trasferimento, fra i molti del nostro Paese, attraverso il quale lo Stato trasforma in consumi l'accumulazione delle famiglie. Si rifletta infatti a queste poche cifre: la spesa per le pensioni dovrebbe sfiorare quest'anno i 19.000 miliardi e salire a 24.000 miliardi nel prossimo anno; siamo più o meno nell'ordine di un 11% della spesa pubblica totale; solo due anni la la spesa a questo titolo era all'incirca di 12.000 miliardi. Ci si renderà conto che le dimensioni e la dinamica di questa componente della spesa pubblica giustificano l'attenzione che da qualche tempo essa va raccogliendo. Ciò è tanto più vero se si considerano alcune passate improvvisazioni, prima fra tutte quella di aver ripetutamente trascurato qualsiasi pur grossolana previsione di quella che poteva divenire, in un arco di tempo di alcuni anni, la dimensione della spesa in questione per effetto dell'invecchiamento della popolazione italiana e dell'allungamento del periodo di vita post-pensionamento.
Il problema delle pensioni deve essere affrontato contestualmente dal lato dell'entrata e da quello dell'erogazione, con l'avvertenza che non è in discussione la parte di pensioni che corrisponde a un salario differito, ma quella che, configurando una qualche forma di solidarietá sociale, incide sul pubblico bilancio.
Dal lato dell'entrata i provvedimenti non più procrastinabili sono sostanzialmente due.
Il primo è quello dell'unificazione della riscossione dei contributi, grazie alla quale sembra possibile non soltanto realizzare notevoli economie gestionali, ma anche eliminare una gran parte delle evasioni contributive oggi più frequenti nel settore della previdenza che non in quello dell'assistenza sanitaria. Il secondo provvedimento riguarda l'adeguamento delle contribuzioni dei lavoratori autonomi, che pagano oggi contributi fissi che oscillano dalle 5 alle 8 mila lire mensili, contro una media press'a poco decupla delle contribuzioni dei lavoratori dipendenti; e che tuttavia beneficiano di prestazioni analoghe a quelle di cui godono questi ultimi. Ciò, fa si che, per esempio, nel 1977 i coltivatori diretti abbiano versato contributi per 123 miliardi e ricevuto prestazioni per 2.228 miliardi. Esiste inoltre in questo ambito una chiara e crescente sproporzione fra pensioni di invalidità e di vecchiaia. Le disgiunzioni vengono moltiplicate dallo stesso meccanismo di indicizzazione delle pensioni, di cui godono tutti indistintamente i pensionati, ma che solo per i lavoratori dipendenti trova contropartita in un parallelo aumento dei contributi. Il risultato di questa situazione è un deficit delle gestioni autonome, che dovrebbe aggirarsi quest'anno sui 4.000 miliardi.
Dal lato della spesa, almeno due cose risultano urgenti: una radicale revisione delle pensioni di invalidità attualmente in essere e dei criteri per la loro concessione la riconsiderazione del meccanismo di indicizzazione delle pensioni. Sul primo punto sono ben documentabili gli abusi cui ha dato luogo in questi anni la sistematica permissività della classe medica e lo zelo dei vari patronati che curano queste pratiche e che - per inciso beneficiano del contributo dello Stato. Lo scorso anno. com'è noto, il numero degli "invalidi" ha per la prima volta superato in questo Paese il numero dei pensionati per vecchiaia.
L'indicizzazione delle pensioni sui salari minimi contrattuali fu considerata a suo tempo dai sindacati e in genere dalle forze politiche di sinistra "una vittoria"; pare sia oggi ritenuta uno dei tanti meccanismi di questo Paese che "non si toccano". Sta di fatto che, secondo quarto è oggi ragionevolmente calcolabile e prevedibile nel triennio 1976-1978, si dovrebbero registrare le seguenti variazioni medie annue: +17,3 per cento per il costo della vita, +21 per cento per i salari minimi contrattuali, +25,26 per cento per le pensioni L'indicizzazione, così come è oggi congegnata, attiva dunque un meccanismo ancor più perverso della scala mobile, che amplifica le variazioni del costo della vita e appare completa. mente sganciato dalla dinamica della produttività. Sembrerebbe ragionevole, quantomeno, accogliere la proposta di indicizzare le pensioni non sui salari minimi contrattuali dell'industria, ma sul valore corrente del prodotto lordo interno.
Resta da considerare, come ultimo fra i provvedimenti minimi che sembrano indispensabili, quello riguardante la non cumulabilità delle pensioni con i redditi da lavoro. Non ci addentriamo in questa materia, perché essa è divenuta particolarmente fluida. Vorremmo tuttavia concludere con una notazione. Proprio in materia previdenziale, questo Paese ha introdotto negli ultimi anni non pochi "elementi di socialismo". Esso sembra arrivato ora al punto in cui questi "elementi" risultano ancora insufficienti per una società completamente socialista, e tuttavia già eccessivi per un'economia di mercato aperto. Forse bisognerà decidere, ancor prima di affrontare i problemi che abbiamo posti, quale tipo di società e quale tipo di economia risultano reciprocamente compatibili.
Fino a quel momento, continuare a parlare di sviluppo, di investimenti e di occupazione giovanile può anche risultare una grossa ipocrisia.

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