Centri di ricerca
e di analisi economica di tutto il mondo passano al vaglio il "caso
italiano". Diverse valutazioni per le cifre del nostro prodotto nazionale
lordo 1978. Le soluzioni e gli orienta menti consigliati per superare
nel medio periodo la crisi socioeconomica.
"De profundis,
or back from the depths": morte, o ritorno alla vita. Così
una rivista straniera (la "Euromoney") ha intitolato qualche
settimana la In articolo sulla situazione economica e finanziaria dell'Italia.
Si tratta di un giudizio apodittico, probabilmente esagerato, che però
dà la misura di quanto critico e delicato sia l'attuale momento
economico per il nostro Paese. Come dire: con molta fatica siamo riusciti
a risalire dal baratro in cui stavamo sprofondando; ma ora siamo di
nuovo con un piede e mezzo oltre l'orlo del precipizio.
Fuori di metafora, ci troviamo di fronte al consueto dilemma "ripresa
o inflazione", (questa volta reso più drammatico del solito
per l'elevatissimo numero di disoccupati e per la disastrosa condizione
di numerose imprese che non hanno potuto realizzare ammortamenti, investimenti,
riconversioni o ristrutturazioni, o che non possono più contare
su mercati interni o su remunerativi sbocchi esteri), con margini di
manovra molto ridotti. C'è il rischio, se si sbaglia anche di
poco o di pochissimo nelle scelte di politica economica che dovremo
tra breve compiere, di rompere il precario equilibrio, pregiudicando,
forse per molto tempo, le possibilità di risanare l'economia
italiana.
Le analisi e le previsioni dei maggiori centri di ricerca economica
del mondo non aggiungono nulla di nuovo al quadro su evi si stanno arrovellando
da qualche settimana i responsabili politici, economici e sindacali
italiani, né forniscono elementi o indicazioni precise per agevolare
le loro decisioni.
Dai dati riportati nella tabella, tratta da "Euromoney". risulta
evidente la contraddittorietà delle diagnosi e quindi delle prognosi
fatte dagli illustri specialisti di alcune delle maggiori "cliniche
per malattie economiche" del mondo.
Per il prodotto nazionale lordo, ad esempio, le divergenze sono assai
rilevanti: la Bank of America prevede un aumento a prezzi costanti pari
all'1,4 per cento quest'anno e un aumento pari al 3,8 per cento nel
1978, mentre la Chase Econometrics va dal 3,5 per cento nel 1977 al
2.7 per cento dell'anno prossimo; l'Ocse l'organizzazione europea per
la cooperazione e lo sviluppo economico) passa dal 2,25 per cento di
quest'anno allo 0,75 per cento dell'anno prossimo; e la Comunità
Economica Europea si limita a indicare per quest'anno un aumento pari
al tre per cento.
Meno accentuate (tranne qualche eccezione), ma sempre superiori al grado
medio di approssimazione tipico di queste rilevazioni, le differenze
tra le valutazioni sull'andamento fino al 1978 della disoccupazione,
dei prezzi al consumo e della bilancia dei pagamenti di parte corrente.
Pur riconoscendo il "beneficio" dei diversi sistemi di calcolo
adottati dai vari istituti di ricerca, dal confronto di questi dati
si deve dedurre che il "caso Italia" rappresenta un enigma
anche per gli esperti stranieri, almeno per quanto riguarda le cause
meno appariscenti, e quindi più intricate, della malattia italiana.
Gli elementi non "quantificabili", infatti, (malcostume, inefficienze,
interessi politici e di parte, eccetera), hanno da noi un peso preponderante.
Passando dalle cifre alle opinioni, invece, è più facile
ricavare delle diagnosi probabilmente più aderenti alla realtà.
I buoni risultati finora ottenuti sul piano monetario dalla politica
di stabilizzazione adottata dal governo indicano chiaramente, secondo
la maggior parte degli esperti stranieri, quale sia la strada che il
nostro Paese deve percorrere. Contrastare la spirale inflazione-svalutazione
è il problema più impellente; la contropartita in termini
di occupazione, di rallentamento dei ritmi produttivi e di deterioramento
dei conti economici delle imprese è, entro certi limiti, una
dolorosa necessità.
I "clinici" stranieri, pertanto, suggeriscono abbastanza apertamente
il mantenimento del clima di austerità, con qualche accorta correzione
di rotta, senza lasciarsi prendere la mano, però, dalla tentazione
di un rilancio prematuro e incontrollato della domanda a fini recessivi.
Ulteriori sacrifici sono invece necessari per consolidare tutti i successi
ottenuti nella lotta all'inflazione, per risanare la posizione finanziaria,
in modo da rallentare i vincoli esterni, che oggi condizionano pesantemente
le possibilità di creare nuovi posti di lavoro.
Dopo anni di corsa all'indebitamento con l'estero, l'Italia ha ora l'opportunità
di migliorare notevolmente la sua posizione finanziaria internazionale,
e, insieme con questa, la competitività sui mercati esteri. E'
questa la via giusta per rilanciare l'attività economica e provvedere
senza assilli o condizionamenti alla soluzione dei problemi strutturali
di fondo.
Alcuni esperti stranieri notano con piacere, a questo proposito, che
il governo e i sindacati sembrano essersi riconciliati sulla prospettiva
di una crescita frenata del prodotto nazionale lordo di circa il tre
per cento l'anno fino al 1980, guidata in modo particolare dalle esportazioni
e sostenuta dagli investimenti dei grossi, gruppi.
Altri, però, più realisticamente rilevano che, almeno
fino al 1979, la politica economica italiana sarà quella che
le circostanze permetteranno: e ciò soprattutto per quanto riguarda
il controllo della domanda interna e la riqualificazione della spesa
pubblica: insomma, austerità, con una notevole dose di accorto
empirismo, tenendo gli occhi puntati verso quelle economie trainanti
che sono la statunitense, la tedesco-occidentale e la giapponese, e
cercando di invogliare i capitali esteri a investire in Italia. Remunerazioni,
pace sociale e ritmo della produttività italiani permettendolo.
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