Sul versante
jonico ricche polle d'acqua, anche affioranti in mare aperto, rivelano
i segreti del drenaggio carsico e del lungo lavorio delle acque nelle
fasce interne e costiere.
Oltrepassato il
promontorio di Leuca, dopo lo spartiacque di Punta Melis, si incontrano
la Porta del Diavolo e la grotta delle Tre Porte: qui la costa si abbassa
in lievissima pendenza. Un chilometro dopo Santa Maria di Leuca è
possibile assistere a un miracolo tutto salentino: i pescatori calano
i boccali in mare, tirano sù l'acqua, e bevono, dissetandosi.
Il primo "fiume" ionico, infatti, sgorga in pieno mare: è
una sorgente subacquea, che la gente del luogo chiama così, "il
fiume": sgorga in corrispondenza di un grosso canale, alveo di
un antico corso d'acqua, con l'aspetto di un torrente sconvolto dal
disordine idrogeologico e da accumuli di massi erratici. Alcuni ne tramandano
il nome più complesso: Fiume Fano. La polla d'acqua, assai vistosa,
sgorga con tale forza dalla roccia sottostante la costa, e con tale
vigore si innalza dal fondo marino, da neutralizzare l'influenza delle
acque salate. Si calcola che il Fano riversi mille litri al secondo.
Certo, nell'azzurro cobalto del mare di Leuca si fonde il verde smeraldo
di queste acque limpide, cristalline, dissetanti, come un'improvvisa
oasi nella distesa infinita di un mare che - non più Adriatico,
forse non ancora Jonio - è certamente Mediterraneo.
La polla che fuoriesce nel porto di San Gregorio vale assai poco; una
ventina di litri di acqua al secondo, al lato sud della piccola baia,
sede un giorno di alcune case di pescatori, poi semidivorata dallo sviluppo
del turismo residenziale. Ma grandissima è la sua importanza
per quel che potrebbe venir fuori, se si andasse a scavare dentro e
sotto le acque. San, Gregorio è di fronte a Patù, e sotto
le acque della baia è possibile scorgere ancora, nelle giornate
di bonaccia, i resti di un molo sommerso, di anfore e di cocci, di primordiale
fattura, e di massi artificiali monolitici, tutti semi-interrati, alla
profondità di due-quattro metri, di analoga consistenza e di
identica dimensione del megalitico "Centopietre". Quali segreti,
presso questa polla? Cosa c'è tra le acque salate e quelle dolci?
Che civiltà si sviluppò, di cui ancora non conosciamo
le origini e gli svolgimenti?
Sette polle a Posto Cantoro, nel territorio di Salve, lungo la litoranea
Gallipoli-Leuca. Per la presenza di alghe, la roccia assume una colorazione
verde cupo, quasi metallico. Le sette sorgenti sgorgano a breve distanza
una dall'altra, lungo una lascia che Raffaele Congedo calcolò
in complessivi centocinquanta metri: le sorgenti - scrisse - hanno fama
di possedere facoltà curative per le malattie del ricambio, e
alla degustazione è possibile rilevare il diverso sapore delle
acque attinte dalle varie scaturigini.
C'è una polla, chiamata "Marini", nel territorio di
Ugento, che si calcola capace di tirar fuori trecento litri di acqua
al secondo: sfocia per via subacquea, sotto la scogliera, ed è
influenzata dal mare. Ma più importante è una sua diramazione,
quella "dei Marini'', a cinquanta metri dal mare, con laghetto
in una depressione del terreno: in passato sgorgava in una grotta, in
seguito crollata o demolita. Poi è il deserto. Si deve salire
a nord, fino all'area del "Pizzo", che dà il nome a
una torre di vedetta, per incontrare, dopo tre polle sgorganti a occidente
di una masseria, una quarta sorgente, quella della "Masseria Bianca";
dista dal mare oltre un chilometro, è uno specchio d'acqua dolce,
in buona parte utilizzata per gli usi irrigui, rarissimo esempio di
affioramento così distante dal mare nel versante ionico.
Dal "Pizzo" a Gallipoli il passo non è lungo. Chi non
è più (molto) giovane, ricorderà una tradizione
andata ormai in disuso, un rito tra il religioso e il pagano, in onore
di Sant'Agata, che si celebrava al Pozzello - appunto - di Sant'Agata,
ubicato in corrispondenza di un caseggiato in abbandono: vi sgorgavano
una quindicina di litri di acqua al secondo. Presso il caseggiato sorgeva
un'antica industria per la cottura dei mattoni. Vicinissimo alla costa.
Le acque del pozzo-sorgente, purissime, filtravano attraverso le sabbie.
Troppo note a tutti le sorgenti di Santa Maria al Bagno, alle Quattro
Colonne; drenano acque provenienti dalle vicine colline rocciose, sboccano
tra gli scogli contigui al mare, a pochi metri dalla più tipica
fortezza di avvistamento dell'intera penisola salentina.
Da qui, a Porto Cesareo. Straordinarie le sorgenti di acque in questa
fascia costiera ricca di dune in parte imbrigliate da ciuffi di canne
e da vegetazione a macchia. Le prime acque si incontrano alla Carcara,
da cui prendono il nome (ma sono dette anche "Corrente dei lupini"),
alla penisola della Strea, dove anticamente esisteva un'officina per
vasi e anfore. Sette polle sgorgano dal mare, a circa tre metri dalla
costa. La gente raccoglieva le acque per addolcire i lupini: .da qui,
il secondo nome. Cento metri più in là, si incontrano
altre tre sorgenti, note con i nomi "Li Correnti", o "Cibuia",
influenzate dal mare: emergendo sulla spiaggia, conferiscono al mare
prospiciente l'aspetto dell'ebollizione (da cui "ci buia"
che dovrebbe significare "che bolle"). Altra sorgente, "La
Sciuncazza", poco più a nord; e un'altra ancora, "La
Spundurata" dolce, in vicinanza della località "La
Lanterna": si apre in una grotta (La Spundurata appunto, che significherebbe
"lo sprofondamento"). Una leggenda vuole che i cunicoli della
grotta portino direttamente a Leverano. Ancora Porto Cesareo, sul mare
di ponente è la sorgente "Corrente piccola", o "della
peschiera", perché fino all'800 esisteva un grosso vivaio
ittico: di sapore salmastro, è nota per le sue doti curative.
La "Corrente grande", o delle "citeddhre", è
influenzata dal mare, dal quale sgorga prepotentemente, conferendo alle
acque salate un colore verde smeraldo.
Numerose polle secondarie e una di grosse dimensioni formano il bacino
"della Chianca"; sul lato orientale si fondono acque dolci
e salate con un sistema di superstiti canali a marea. 200 litri al secondo
formano uno dei complessi maggiori dell'area: vi si è praticata
con un certo successo la piscicoltura. Mezzo chilometro più ad
ovest, in corrispondenza di Torre Lapillo, è ubicata la sorgente
"La Rivolia", che nel linguaggio locale vuol significare il
rivolo, il rigagnolo. Una grotta orientata verso est, alta circa un
metro, larga cinque metri, lascia uscire dall'interno 250 litri di acqua
al secondo, di ottima qualità, potabilissima.
Sulla litoranea per Torre Lapillo, la sorgente "Retroaurgueto",
affiorante da uno sprofondamento in un podere roccioso; un laghetto
di dodici metri di diametro, Profondo poco più di un metro e
mezzo, dista una cinquantina di metri dal mare, che leggermente la influenza.
Caso rarissimo, vi si scorgono avannotti delle specie "bosega",
"lotregano", "mecciato", che vi trovano un ottimo
habitat per la stabulazione invernale. Da qui a occidente, altre polle:
"Lu mamminu", "Sei pezze", "Castiglione",
quest'ultima già vicina a Torre Columena (o Presuti), piccolo
fiume lungo una cinquantina di metri.
Infine, in pieno territorio di Nardò, in una vasta area in cui
sopravvivono remote ceppaie, le "Risorgenze Serra degli Angeli",
affioranti in superficie in più punti. Su un'estensione di alcune
centinaia di ettari, coperte da una coltre di terreno torboso, scorrono
nel sottosuolo le acque che poi, con straordinaria vigoria, irrompono
a pelo libero al piano di campagna ad ogni opera di scavo. Questi affioramenti,
che si possono notare anche in sprofondamenti naturali, cui il linguaggio
locale dà il nome di "aisi", convogliano le acque in
canali e collettori principali e secondari, utilizzati Per bonifica,
fino allo sbocco in mare. Si calcola che queste "risorgenze"
rendano disponibili 1.500 litri di acqua al minuto secondo: una simile
incredibile ricchezza fece balenare, qualche tempo fa, l'idea non del
tutto peregrina di realizzare in questa ampia plaga, dall'aspetto di
una inospitale, torbosa palude costiera, una coltura insolita per la
penisola salentina e per l'intero Mezzogiorno: quella del riso. Non
peregrina l'idea, abbiamo detto: perché occorre considerare che
quei terreni, a causa dell'abbondante disponibilità di acque
e della loro disposizione topografica, possono essere inondati e prosciugati
con estrema facilità.
Ancora più sù, ed è già provincia di Taranto,
Salento anche qui, ma ormai non più Salento leccese; superata
la capitale dell'acciaio, dopo il complesso Tara-Stornara, una volta
(e non parliamo di tempi remoti) area stanziale di grandi e piccoli
migratori, particolarmente i storni, da cui il secondo nome, si entra
nella Basilicata dai fiumi a dente di pettine. Ed è già
un altro mondo, quello delle arzille compatte, contiguo al nostro mondo,
del tufo, delle arenarie, del carsismo fantasioso. L'itinerario, alla
scoperta delle acque dolci del Salento sui due versanti, ionico e adriatico,
finisce qui. Delle acque torneremo a parlare: acque amiche dell'uomo,
simbolo della fatica dell'uomo. Le ritroveremo nei "pozzi"
costieri e interni, rurali, cittadini, comuni, storici.
La storia dell'acqua, come civiltà del Salento, continua.
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