§ Le inchieste della Rassegna

MOLISE come un emblema




Realizzazione
ALDO BELLO
Testi e statistiche
GUGLIELMO TAGLIACARNE
Hanno collaborato
Ricerche letterarie
Ada Provenzano
Ricerche storiche
Pino Orefice
Ricerche economiche
Claudio Alemanno
Sezione grafica
Sandro Gattei
Sezione fotografica
Folco Quilici
Giuliana Calabrese




Più povera della Calabria e della Basilicata, con un saldo migratorio che ha annientato l'incremento naturale della popolazione, abbandonata - dopo un primo, interessante esperimento - dall'intervento pubblico straordinario, questa regione è all'ultimo posto di tutte le graduatorie sul Mezzogiorno, terra tipica della depressione socio-economica, profondo Sud da manuale, area priva di una minima forza autopropulsiva, capace di svincolarla dalla sua remota arretratezza.

Costituito in massima parte dal Preappennino, con agricoltura diffusa e industria episodica, il Molise gravita su tre delle quattro regioni confinanti: la Campania, il Lazio e l'area pugliese della Capitanata. Quasi dissolti i vincoli con l'Abruzzo, cui fu legata fino al 1963, quando, addirittura in contrasto con le norme costituzionali, divenne regione autonoma.

Ghiaku sprishur

Aldo Bello

Nel 1963 il Molise divenne regione autonoma. La Costituzione della Repubblica prevedeva che potesse richiedere l'autonomia un'area comprendente almeno due province, con una popolazione residente non inferiore a un milione di unità. Il Molise aveva una sola provincia, Campobasso, e non raggiungeva neanche la metà degli abitanti richiesti dal dettato costituzionale. Eppure, con un referendum, si staccò dall'Abruzzo, e cominciò a ricostruire la sua identità. Come regione "costituzionale" si mise in regola al cinquanta per cento, creando la seconda provincia, Isernia. Per quel che riguardava la popolazione, niente da fare. L'emigrazione non aveva consentito nemmeno l'ordinata crescita demografica naturale. Caso unico tra tutte le regioni meridionali, seguita forse dalla sola Basilicata, il Molise presenta un saldo migratorio totalmente negativo: le fughe non sono compensate dalle nuove nascite.
Ci sono paesi come mucchi di pietre: si sa che gli antichi preferivano costruire sulle alture per difendersi dalle alluvioni, dai vicini e da nemici che venivano da lontano.
Tutt'intorno, erano terre ben coltivate. Molte di quelle campagne, linde, pettinate, irrigate a braccia, oggi sono lande abbandonate. I piccoli borghi montani sono quasi deserti, moltissimi hanno perduto la metà, o più della metà, degli abitanti. Dove si spingono le coltivazioni, sono distese di grano a perdita d'occhio: messi bionde, murgia dopo murgia, terrazzo dopo terrazzo, come nella vicina Capitanata, cui il Molise, per lungo tempo, fu, più che unito, sottomesso.
Fu quasi sempre chiamato "Contado del Molise" (quasi a sottolineare la soggezione politico-amministrativa e quella economico-agraria), e rimase accomunato all'Abruzzo in una ingiusta subordinazione. Il gemellaggio fra le due regioni contigue sembrava addirittura naturale, almeno fino a che durò in queste valli la transumanza delle greggi, che dalle irte montagne abruzzesi e da quella specie di nodosa mela cotogna che è la montagna del Molise Centrale, scendevano a svernare nelle pianure del Tavoliere pugliese. Cereali e bestiame, ricchezze sconvolte dal crollo del settore primario e dalle allucinazioni dell'ideologia "una ciminiera in ogni paese", sono - oggi - il simbolo dell'arretratezza di quest'area.
Eppure, non si era partiti male. Avrebbero dovuto redimere gran parte del Molise una diga alta sessanta metri e un lago artificiale. Inizialmente, la capacità di invaso sarebbe stata di otto milioni di metri cubi, in una gran fossa larga in media un chilometro, lunga otto. Le prime previsioni irrigue parlavano di circa quattromila ettari, dominati nella Piana di Boiano.
Aggiornato, il progetto aveva dimensioni da vertigine: la costruzione della diga di Ponte Liscione avrebbe permesso l'accumulo di circa centosessanta milioni di metri cubi d'acqua, destinati agli usi irrigui, a quelli potabili e alla produzione (ed esportazione) di energia elettrica. La superficie netta irrigabile superava i quindicimila ettari. La rete di distribuzione coinvolgeva anche il territorio di Larino. I paesi del Biferno, diventato fiume con la tuta blu, fiume-operaio e fiume-contadino, avrebbero rotto la crosta del sottosviluppo. Si parlò di tempi brevi, e forse anche quest'altra illusione ottico-fisica fu frutto dell'ansia quasi panica dei meridionali di bruciare le tappe per un progresso che hanno atteso per millenni. I tempi diventarono medi. poi lunghi, oggi sembrano fermi. Create le strutture portanti, ma abbandonate quelle indotte (agricoltura specializzata, industria di conservazione e di trasformazione, ricerca e sperimentazione, creazione di sbocchi di mercato), il Molise ha visto "saltare" i conti fatti al tavolo da politici, economisti e responsabili dell'intervento straordinario. Roma, città tentacolare, piovra del pubblico impiego e del parassitismo clientelare, ha accolto più molisani che lo stesso capoluogo di Isernia. Le regioni del "triangolo" settentrionale ne contano ancora di più. Tutti i piani di sviluppo, venute meno le cifre dell'incremento demografico, si sono sfasciati. Non sono più veritieri, hanno numeri e dati astratti. Lo sviluppo industriale è stato, e resta, un terno al lotto. Di quello silvo-agro-pastorale abbiamo già detto. Nessuna meraviglia, dunque, se il Molise resta in fondo a tutte le classifiche socio-economiche del Mezzogiorno e dell'intera penisola, regione emblematica di un'arretratezza che non consente alcuna spinta, alcuna forza autopropulsiva, capace di tirar fuori quest'area dalla dimensione di profondissimo Sud in cui si trova da sempre.
Fu la terra orgogliosa dei Sanniti, rudi nemici di Roma, che a Roma opposero la più accanita resistenza tra i popoli italici. Quando Roma li vinse, decimandoli, dovette combatterli sulle montagne ancora per secoli. Erano. le terre sannite, la porta d'ingresso verso una bellissima Dreda; la Magna Grecia. Fu poi ponte di passaggio per tutti gli invasori meridionali, fino a che cadde nei tempi più bui, quelli della dominazione pontificia. Terra appartata, ricchissima solo di memorie e storia locale, ingentilita da un'arte che restò - quasi senza eccezione - anch'essa locale, rattiene una sua propria severità costante, che si ammorbidisce a volte nella sorpresa che, oltre le ultime barriere di rocce che si alzano con le montagne del suo baricentro, permette la scoperta della gelosa, incantata solitudine dei suoi paesi. Da Duronia a Pesche, da Montaquila a Venafro, da Campomarino a Fossalto, da Guardalfiera a Portocannone, a Trivento, a Vinchiaturo, case e uomini fusi con la montagna, in un'armonia assolutamente spontanea. Da Capracotta, uno dei più alti comuni d'Italia, si scende verso Pescolanciano e verso Trivento, antichi comuni regionali; oltre la Valle del Trigno, sulla quale questi paesi si affacciano, si raggiunge Campobasso, capitale dominata dalla rocca di Monforte. Casacalenda non è lontana da qui: breve è la distanza, perché breve è la regione, e quasi a vista sono i suoi confini cardinali. A Casacalenda Tovine immaginò l'epopea contadina delle Terre del Sacramento; e se grande fu l'arte con cui descrisse e raccontò l'amara vicenda dei dissodatori delle "terre vergini" del feudo molisano, non così difficile fu il lavoro della fantasia; la realtà era lì, a portata di mano, immobile da secoli, cristallizzata quasi, ad aspettare che la terra "tremasse", primo segno di una riconquistata dignità civile e umana.
Il Molise centrale, roccia e roccia su grandi imbuti carsici, cede alle alture coltivabili, sopra il Fortore e fino al Trigno: qui si spegne un poco l'asprezza del paesaggio, l'orizzonte riprende una sua dolcezza intenerita dal verde dei boschi di quercioli e di lecci. A oriente si profila la riga azzurra dell'Adriatico. Termoli è lo sbocco del Molise su questo mare; un borgo medioevale proteso sulle acque, con il ricordo del suo passato a riflettersi negli specchi del porto, nodo delle rotte verso il Sud-Est e verso il mondo slavo, punto di partenza di Crociate e di antichi commerci. L'area di Termoli è l'antitesi del Molise interno, cioè di quella parte di regione rimasta fuori anche dalle prospettive minime create dalla diga di Ponte Liscione. Vi si giungeva, fino a poco tempo fa, prima che si costruissero strade migliori e l'Autosole, dopo ottantatre chilometri di arterie da capogiro e con una ferrovia di cartone che, fra Casacalenda e Campolieto, (si sfiorano i mille metri d'altitudine), restava spesso bloccata.
Il Molise interno è gelido, montagnoso, isolato. Termoli ha il mare. Niente, neanche il dialetto li accomuna. La mentalità mercantile dei termolesi contrasta violentemente con quella "ministeriale" di Isernia e di Campobasso.
Gran parte del Molise guarda ancora a Napoli e alla laziale Valle del Sacco. Termoli sparte gli occhi tra Pescara e Bari. Il Molise insegue l'agricoltura intensiva, Termoli si è buttata nell'industria e soprattutto nel turismo. Il Molise spera, Termoli è stata impaziente e si è messa a giocare d'azzardo. Può vantarsi di non avere quasi avuto una lira dalla Cassa per il Mezzogiorno, se si escludono i finanziamenti per il nucleo industriale, e d'aver costruito lo stesso un futuro su misura. Nell'immediato dopoguerra era poco meno di un villaggio, oggi ha le prime raffinerie regionali. Perciò questa città si sente pressoché estranea al Molise. Sa di esserne l'antitesi.
E solo da Termoli non si emigra. All'interno le emorragie demografiche sono storia quotidiana, e i treni della speranza della letteratura meridionale sono diventati i treni della consuetudine, dello stato di necessità. Molti albanesi e molti dalmati che vivono arrampicati sui paesi a nido d'aquila si salutano ancora oggi dicendo "Ghiaku sprishur", che vuol dire "sangue sparso", e vuol significare una diaspora antica, che li ha costretti ad abbandonare una terra natia che, nelle mattinate serene vedono profilarsi tra le brume dell'orizzonte adriatico. E sangue sparso si sentono il cinquanta per cento dei molisani che hanno dovuto abbandonare case, piazze, paesi, amici, e rompere vincoli di parentela e d'affetto, legami di cultura e di tradizioni, e quanto altro è humus, clima, ambiente, per diventare perenni eradicati, lontano, e comunque "altrove", solo per la conquista di una condizione di imperfetta provvisorietà.

Letteratura di Molise

Ada Provenzano

Rispetto all'Abruzzo, regione con la quale formò un posticcio unicuum fino al 1963, il Molise ha sempre avuto un più diretto contatto con l'Italia meridionale: e con la Capitanata e la Puglia, fino al 1806, fu strettamente collegata. I rapporti con Napoli (nella capitale del Sud furono presenti, sempre, valenti uomini di legge molisani, come Andrea di Isernia, già nel lontano Trecento) non riuscirono a stimolare nel Molise una vita letteraria, che ebbe segni assai scarsi nel Medio Evo, nel Rinascimento e nell'età barocca. Le stesse, non comuni risorse di leggende e canti popolari locali non ebbero rafforzamenti fecondi con elementi colti e letterari di un certo livello.
Nel Settecento illuministico la vita culturale molisana si manifestò più alacremente, con elementi di livello europeo: Galantì, Longano, Vincenzo Cuoco. Galanti, allievo dei Genovesi, fece convergere la sua cultura di economista razionale nella "Descrizione dello stato antico ed attuale del contado del Molise", e poi nella monumentale e incompiuta descrizione geografica, statistica ed economica di tutto il Regno di Napoli. Alla luce delle più recenti interpretazioni dell'illuminismo meridionale, Galanti è proprio uno dei testimoni più sicuri di quella concretezza del pensiero meridionale, di cui una volta si denunciavano invece l'utopismo e il carattere troppo teorico e speculativo. Alla stessa corrente appartiene l'altro allievo dei Genovesi, Francesco Longano: Galanti e Longano, però, legarono le loro speranze al riformismo illuminato dei governi assolutistici, mentre al centro di un cospicuo numero di molisani attivi nella rivoluzione del '99 e nel suo tragico epilogo (Serafini, Lucarelli, Palombo, De Gennaro), spicca la figura di Vincenzo Cuoco, che di quella rivoluzione divenne poi lo storico e il critico, assurgendo, specie nella prospettiva romantica e idealistica, a precursore di una visione storicistica, contrapposta spesso e troppo facilmente all'illuminismo utopistico e antistorico.
Proprio nel periodo napoleonico e muratiano si forma una classe culturale e politica che associa, nell'Ottocento risorgimentale, l'esercizio amministrativo, l'attenzione alle esigenze e alle tradizioni locali, l'aspirazione politica liberale e il gusto della storia, dell'economia, della letteratura. Massimi esponenti di questo comportamento, Giuseppe Zurlo e Gabriele Pepe. Nell'età post-unitaria, dominata dal positivismo, si rivela la formazione di una coscienza storica, sociale ed etnografica. La scuola del metodo storico ebbe Francesco d'Ovidio e, figura minore, il Colagrosso. Un'originale vena poetica si ha in pieno Novecento: Felice del Vecchio, Eugenio Cirese; e il narratore Francesco Jovine, che realizzò con alti toni la sofferta vicenda del Molise oppresso. Tra gli ultimi esponenti della poesia molisana, Sabino d'Acunto e Geri Morra.

Storia di Molise

Pino Orefice

Terra dei Sanniti, oppose un'accanita resistenza alla conquista romana. Sconfitti Irpini e Sanniti, dopo aver subìto l'umiliazione delle Forche Caudine, Roma ebbe aperte le vie della Magna Grecia. Dopo le devastazioni della guerra gotica (535-553), il territorio fu invaso dai Longobardi e aggregato al Ducato di Benevento. Da quel momento ebbe inizio un faticoso progresso, che non s'interruppe neppure con l'insediamento di un'orda di mercenari bulgari, che costituirono un castaldato tra Sepino, Isernia, Trivento e Venafro. La Chiesa riuscì ad acquistare un notevole potere, basato sul possesso di molte aree, dopo la conversione dei Longobardi al Cattolicesimo. Con l'inizio delle invasioni saracene del IX secolo, il territorio decadde economicamente, e nel secolo successivo vi si affermarono alcune signorie feudali. Poco per volta si formarono nove Contee: Venafro, Larino, Trivento (X secolo), Boiano, Isernia, Campomarino, Termoli, Sangro, Pietrabbondante (inizi dell'XI secolo). Fra queste, cominciò a prevalere Boiano, che ebbe come signori i conti normanni Rodolfo e poi Ugo I di Molhouse (o De Molinis, o Molisio), donde - per alcuni - il nome della regione. Quest'ultimo ingrandì i confini della contea, ponendo le basi di un compatto dominio feudale. Nella prima metà del XII secolo, il conte Ugo II poté assumere il titolo di conte del Molise. Alla sua morte, la contea fu ceduta dalla reggente Margherita di Navarra a Riccardo di Mandra, e all'inizio del XIII secolo pervenne a Tommaso di Segni, conte di Celano, che a sua volta la perdette, in favore dell'imperatore Federico II. Questi, per eliminare i grandi feudatari della regione, la trasformò in giustizierato. Dopo vari mutamenti in epoca angioina e aragonese, il Molise rimase aggregato alla Terra di Lavoro fino al secolo XVI, quando fu unito alla Capitanata. La regione conobbe nei secoli XVI-XVIII disagi gravissimi, l'isolamento e la decadenza economico-sociale. Con l'occupazione francese e con un decreto emanato nel 1806, fu resa provincia autonoma. La dominazione borbonica peggiorò le sue condizioni, e nemmeno l'unità d'Italia portò a un suo immediato risollevamento. Il Molise divenne così terra del brigantaggio. Dal 1963 costituisce una regione autonoma dall'Abruzzo. Ed è rimasta, forse solo insieme con la Basilicata, un esempio insuperato di terra decimata dall'emigrazione.

PROFILI DELLE REGIONI DEL MEZZOGIORNO

8. - Molise

Guglielmo Tagliacarne

La più piccola regione del Sud. - Una delle tre sorelle povere.

1. Popolazione e occupazione

Tre cifre possono subito inquadrare e caratterizzare questa regione: rappresenta lo 0,6 per cento della popolazione italiana e soltanto lo 0,3 per cento come reddito e lo 0,4 per cento come consumi privati. Quindi, regione piccola ed estremamente povera.
La popolazione, ripartita in 136 comuni, è stata censita, nell'ottobre 1971, di 319.629 abitanti residenti e 302.060 abitanti presenti. Le famiglie sono 93.285. Il fatto che la popolazione residente superi quella presente, come in tutte le regioni del Sud, sta a significare che il Molise è una regione di emigrazione; i suoi emigranti sono diretti specialmente verso il Lazio, le regioni nord-occidentali e l'estero.
Nel 1972 si sono registrate 9.283 cancellazioni (emigrazione) per trasferimento di residenza dai comuni del Molise verso altri comuni delle regioni seguenti:


Si ha conferma del fenomeno dell'emigrazione dal decremento demografico registrato dal 1951 al 1971. In nessun'altra regione si è verificata una perdita così grave: del 21,4 per cento. Ecco le variazioni delle varie regioni del Mezzogiorno dell'ammontare della popolazione nel decorso ventennio.


Alla fine del gennaio 1977 la popolazione residente del Molise veniva calcolata in 330.529 abitanti con un aumento del 3,4 per cento rispetto all'ottobre 1971; il che si deve probabilmente alla rallentata emigrazione e, negli ultimi anni, con i numerosi rimpatri. Per l'Italia, complessivamente, l'aumento della popolazione nel medesimo periodo è stato del 4,1 per cento.
Le abitazioni occupate sono 89.261, con 332.261 stanze; queste sono quasi pari al numero di abitanti: si ha quindi una media di circa una stanza per abitante.
La diminuzione della popolazione indicata più sopra contrasta con il movimento naturale: infatti fra il tasso di natalità del 13,6 per mille abitanti e quello della mortalità di 9,7 per mille abitanti, si ha un residuo attivo del 3,9 per mille abitanti. E' questo, tuttavia, il tasso di incremento più basso fra le regioni del Mezzogiorno a causa del. saggio di natalità, che è inferiore a quello di ogni altra regione del Sud. Per la provincia di Isernia si è riscontrato nel 1976 un numero di morti superiore a quello dei nati. E' questa la prima provincia del Sud che presenta un saldo negativo per nascite e morti.
La mortalità infantile, cioè il numero dei morti nel primo anno di vita su mille nati vivi, è nel Molise del 17,3, il più basso fra le regioni del Mezzogiorno e sensibilmente inferiore alla media nazionale, del 22,6 per mille (dati del 1974).
La popolazione attiva in agricoltura è costituita da 56.089 persone, pari al 46,5 per cento di tutta la popolazione attiva della regione: è questa la proporzione più elevata fra tutte le regioni del Mezzogiorno e molto superiore alla media nazionale, pari al 17,3 per cento.
L'industria nel Molise è di scarso rilievo; le unità locali sono 4.889 con 14.181 addetti. Prevalgono le aziende gestite in forma artigiana.

2. Reddito e consumi

Il reddito lordo prodotto nel Molise è stato calcolato dall'Unione delle Camere di Commercio per il 1975 in 422.100 milioni di lire. Il reddito netto per abitante è di appena 1.280.000 lire, molto vicino a quello più basso di tutto il Mezzogiorno, constatato per la Calabria di 1.179.000 lire. Il reddito medio pro capite è poco più della metà di quello medio nazionale, di 2.006.000 lire. La quota più rilevante del reddito del Molise proviene dall'agricoltura, con il 20,8 per cento del totale: èquesta la percentuale più elevata in confronto alle altre regioni del Mezzogiorno.
Le altre attività rappresentano le quote indicate nel seguente prospetto, confrontate con quelle della media italiana e del Mezzogiorno.


I depositi presso le aziende di credito, conglobando quelli dei privati con quelli delle imprese, nel 1972 sono ammontati a 98 miliardi di lire, concentrati per circa l'80 per cento nella provincia di Campobasso. L'ammontare degli impieghi (50 miliardi di lire) è minore della metà dei depositi: rapporto estremamente modesto.
E' notevole anche nel Molise l'afflusso di depositi sotto la forma di libretti a risparmio, buoni fruttiferi e conti correnti postali, con un totale di 113 miliardi di lire.
Poco meno della metà delle spese per consumi sono assorbiti nel Molise dall'alimentazione, bevande e tabacchi: questa alta percentuale è la conferma del modesto livello di vita dei molisani.


La ripartizione dei consumi per il Molise è 76,4 per cento per i consumi privati e 23,6 per cento per quelli pubblici (rispettivamente per la media nazionale, 81,8 per cento e 18,2 per cento).

3. Il reddito prodotto dall'agricoltura, silvicoltura e pesca e la consistenza del bestiame.


Già si è detto che il Molise è caratterizzato da un'alta quota di reddito prodotto dall'agricoltura. Ora vediamo com'è costituito detto reddito per il 1976.


Fra le coltivazioni più importanti nel Molise occupa una posizione notevole il frumento con 1.766.000 quintali (anno 1974) pari all'1,8 per cento del totale nazionale. La coltivazione del granoturco rappresenta con 328.000 quintali lo 0,5 per cento del totale d'Italia e l'uva con 558.000 quintali (0,5 per cento del totale).
La consistenza del bestiame al 1. dicembre 1976 è la seguente:


Come si vede, la consistenza del bestiame è particolarmente notevole per i suini e specialmente per gli equini.
Le aziende agricole nel Molise sono 53.014 e rappresentano l'1,5 per cento di tutte le aziende dell'Italia. La loro superficie è di 381.555 ettari, pari ad una media per azienda di 7,2 ettari, circa uguale a quella nazionale (7,0 per azienda).
La quota del reddito prodotto in agricoltura pari, come si è visto, allo 0,76 per cento rispetto al totale dell'Italia, è il frutto del lavoro di una quota dello 0,60 per cento degli addetti in tale settore sul complesso nazionale (censimento 1971).
Nelle attività industriali, secondo l'ultimo censimento della popolazione, le persone occupate rappresentano solo lo 0,2 per cento del totale nazionale degli addetti in tali attività. Un altro dato che conferma il grado di arretratezza dell'attività industriale nel Molise è fornito dal consumo di energia elettrica, che costituisce solo lo 0,1 per cento rispetto al totale di tutta Italia.
Anche per il turismo il Molise presenta valori modestissimi: i posti letto disponibili (3.366) costituiscono solo lo 0,1 per cento del complesso nazionale.

4. Isernia, la provincia più povera d'Italia

Sia la provincia di Campobasso quanto la nuova provincia di Isernia sono fra le più povere di tutta Italia, ma quella di Isernia rappresenta il fanalino di coda della graduatoria di un indice che comprende dieci aspetti di particolare valore per la misura del livello economico: essi sono costituiti da alcune spese e consumi e da alcune imposte (di famiglia e complementare).
Nel complesso, fatta uguale a cento la media pro capite per l'Italia, l'indice globale del livello economico è risultato di 51 per la provincia di Campobasso e di 36 per quella di Isernia.

5. Le aree socio-economiche

Un'analisi più particolareggiata di questa regione è possibile quando si considerino aree minori di quelle provinciali, ma di significazione più concreta, quali sono le aree socioeconomiche. Esse sono costituite da un centro urbano verso il quale convergono gli abitanti di una data zona circostante per usufruire di attività e servizi di varia natura: acquisti di beni non comuni; impiego; scuola; ospedali; istituti di cura; consulenza di professionisti; divertimenti; svago; eccetera. Queste aree costituiscono comunità nelle quali si svolge il complesso di una vita sociale: aree di convergenza e di complementarietà di interessi e di attività.
Dette aree, determinate con ricerche e sopralluoghi dall'Unione delle Camere di Commercio, sono quattro:
- area di Campobasso, costituita da 57 comuni;
- area di Isernia, costituita da 52 comuni;
- area di Larino, costituita da 14 comuni;
- area di Termoli, costituita da 1-3 comuni.
Per ciascuna delle quattro aree abbiamo raccolto i seguenti dati:


6. Alcuni indici di benessere e sociali

Gli abbonati alla radio e alla televisione nel Molise sono 202 su 1000 abitanti, contro una media di 227 per il totale dell'Italia. Ma si nota una disparità notevole, se si considerano gli abbonati alle radioaudizioni separatamente da quelli della televisione: per 1000 abitanti.

Le spese per spettacoli in Molise (1974) sono appena 3.317 lire, poco meno di un terzo della spesa media per tutta Italia, pari a 9.713 lire.
Le autovetture circolanti nel Molise sono 15,7 per 100 abitanti, contro la media nazionale del 25,7 per cento. I depositi presso le aziende di credito costituiscono solo lo 0,2 per cento nel Molise sul totale nazionale, quelli presso l'amministrazione postale salgono all'1,2 per cento.
Il quoziente di criminalità (delitti per 100.000 abitanti) è stato calcolato per il Molise in 1.250, contro un quoziente di 3.258,8 per la media nazionale. Le separazioni legali in Molise sono il 4,0 per 100.000 abitanti, contro la media di 27,1 per tutta Italia. I scioglimenti di matrimoni nella regione sono 14,7 per 100.000 abitanti in confronto a 27,7 per la media complessiva del Paese.
Come si vede dai pochi indici qui riferiti, si ha la riprova dell'arretratezza economica, quindi dei consumi e delle spese voluttarie; ma rispetto a fattori come quelli della delinquenza e della vita familiare, la regione si presenta in senso nettamente favorevole.

7. Breve sintesi

Il Molise costituisce, insieme con la Calabria e la Basilicata, l'area più depressa del Mezzogiorno. E' caratterizzata da una elevata quota di attività agricola; per contro, presenta un bassissimo grado di industrializzazione, sebbene si sia riscontrato negli ultimi anni uno sviluppo industriale di una certa importanza. I consumi sono quanto mai modesti. Come valore di mercato esso è molto limitato e può assumere un certo livello solo per beni comuni e di prima necessità.
La regione è seriamente depauperata da una forte perdita demografica, cioè da una progressiva diminuzione di popolazione per emigrazione. Presenta pure un basso tenore di nascite, che contrasta con il forte impulso di nascite caratteristico nel Mezzogiorno.
Nella depressione quasi generale, si elevano di poco la provincia e l'area di Campobasso, mentre Isernia e Larino restano povere cenerentole.

 


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