§ I conti degli emigrati

Rimesse dall'estero e redditi da lavoro




Maureen Walsh



I dati del 1976 rilevano che dalla Svizzera, dalla Comunità Economica Europea e dal resto del mondo è pervenuta una massa di valuta pregiata maggiore rispetto a quella dell'anno precedente. L'inflazione, tuttavia ha annullato buona parte dei benefici di questa situazione "in progress".

Le rimesse degli emigrati e i redditi da lavoro guadagnati all'estero e inviati nel nostro Paese sono aumentati, secondo le ultime rilevazioni disponibili, tra il 1975 e il 1976. In particolare, le rimesse degli emigrati sono salite da 338 miliardi 300 milioni di lire nel 1975 a 384 miliardi 900 milioni nel 1976: presentano, quindi, un incremento del 13,4 per cento, che è uno dei più notevoli aumenti degli ultimi dieci anni. Per quel che concerne i redditi da lavoro, sono passati da un anno all'altro da 51.5 miliardi 700 milioni a 583 miliardi 800 milioni di lire: anche in questo caso, con un aumento del 13,2 per cento, ci troviamo di fronte a una delle maggiori crescite dell'ultimo decennio.
Tuttavia - e questo è il punto dolente della situazione - si tratta di tassi di aumento appena in linea con il deprezzamento della lira italiana, per cui, in termini di valori costanti, possiamo affermare con realismo che l'apporto valutario del lavoro italiano all'estero non ha presentato variazioni di grande rilievo (per l'aspetto del potere d'acquisto) rispetto all'anno precedente. D'altra parte, con la situazione di grave disoccupazione che si è creata nella maggior parte dei Paesi industrializzati, sia europei e comunitari, che extraeuropei, non è più possibile sperare che le rimesse Agli emigrati e i redditi da lavoro all'estero possano presentare incrementi più consistenti di questi. E' già un notevole obiettivo raggiunto che gli emigrati (che in massima parte provengono dalle regioni meridionali), abituati come sono, ormai, al salario fisso e alla vita di fabbrica, abbiamo compiuto il miracolo di rendersi indispensabili nelle economie straniere, anche in tempi di crisi acuta come questi. Ciò, a mio avviso, è dovuto anche alla loro disponibilità al lavoro, alle loro qualità professionali, e alle doti umane, che ne fanno degli elementi di prim'ordine. Non si spiega altrimenti il loro inserimento - malgrado la concorrenza di altri popoli migratori - anche in posizioni-chiave di settori industriali e in genere produttivi di Paesi che dispongono di personale altamente qualificato, come ad esempio la Germania e l'Inghilterra.
Passiamo ai conti dettagliati. Le rimesse degli emigrati, distinte per Paesi e per Continenti, mantengono all'incirca le posizioni degli anni precedenti. Dalla Comunità Economica Europea sono giunti 114 miliardi e 600 milioni di lire: di questi, 63 miliardi 300 milioni provengono dalla Repubblica Federale Tedesca. Le rimesse inviate dai Cantoni Svizzeri sono ammontate a 29 miliardi 900 milioni di lire. Seguono, nell'ordine della graduatoria, gli invii dagli altri Stati europei. Nel complesso, le rimesse pervenute da tutti i Paesi dell'Europa occidentale (comunitari ed extracomunitari) sono passate da 142 miliardi e mezzo di lire nel 1975 a 150 miliardi e mezzo nel 1976. Dagli altri continenti sono giunte le cifre rimanenti, e più specificamente: 195 miliardi 300 milioni di lire dalle due Americhe (dagli Stati Uniti la letta più grossa, pari a 127 miliardi 400 milioni di lire); sei miliardi 700 milioni sono stati spediti dai Paesi dell'Africa; due miliardi sono giunti dall'Asia; e infine, trenta miliardi e 400 milioni di lire sono dovuti a spedizioni degli emigrati nell'Australia e in Nuova Zelanda.
Passiamo ora all'esame delle cifre riguardanti i redditi da lavoro italiano all'estero Le provenienze dall'Europa occidentale ammontano a 377 miliardi di lire tondi. Di questi, 298 miliardi e mezzo sono giunti dagli altri otto Paesi della Comunità Economica Europea. In particolare, i redditi provenienti dalla Germania Federale sono stati i più consistenti: ammontano globalmente a 163 miliardi e 200 milioni di lire, più del quaranta per cento della somma complessiva. Seguono, in ordine decrescente, i redditi da altre aree.
Dagli altri continenti sono giunte cifre molto più contenute, e precisamente: dalle due Americhe 54 miliardi 800 milioni di lire, e anche in questo caso gli Stati Uniti si presentano al primo posto nella graduatoria, con 53 miliardi e 800 milioni che rappresentano quasi il totale delle spedizioni di redditi da lavoro oltre Atlantico. Dagli Stati dell'Africa sono pervenuti sei miliardi e 700 milioni, mentre l'Asia ha contribuito con introiti pari a un miliardo di lire.
Nessun reddito risulta ufficialmente giunto dall'Australia e dalla Nuova Zelanda. Ma va sottolineata una cosa: nel bilancio dei redditi da lavoro c'è una voce tutt'altro che insignificante, quella delle rimesse provenienti da Paesi non specificati nelle statistiche.
Ebbene, da questi Paesi sono giunti in Italia. Sempre nel 1976, ben 145 miliardi e 200 milioni di lire. Si tratta di una massa di lavoro frantumato in mille rivoli, che hanno poi formato un fiume monetario di notevole portata.
Le rimesse dall'estero e i redditi da lavoro d'oltre frontiera, dunque, rappresentano per l'Italia una voce particolarmente importante dal punto di vista dell'apporto valutario e per il contenimento del disavanzo nella bilancia del commercio internazionale.
Insieme con un'altra voce, quella del turismo, che è una delle basi portanti dell'industria "senza ciminiere", hanno consentito all'economia italiana di "tenere" il più possibile, soprattutto in questi ultimi anni di crisi, sia delle produzioni che delle esportazioni.
Solo nel 1977, infatti, le esportazioni di prodotti finiti e di prodotti trasformati italiani hanno ricominciato a risalire la china, dopo un notevole periodo di regresso e di successiva stasi. L'Italia, com'è noto, si indebita con l'estero soprattutto a causa dell'approvvigionamento di petrolio greggio e dell'importazione di derrate alimentari, particolarmente di carne. Questi due titoli di bilancio in negativo sono particolarmente pesanti. Soprattutto il petrolio, (l'industria italiana in questo campo, per i settori della raffinazione e della petrolchimica, non è stata adeguatamente ristrutturata), con i balzi di umore politico dei paesi esportatori e con gli enormi aumenti di prezzo, ha determinato uno sbilancio imprevisto, che ha poi coinvolto altre politiche, da quella dell'automobile a quella delle autostrade. Per la carne, il discorso sembra potersi sviluppare verso soluzioni più accettabili: il progetto speciale per la produzione di carne in diverse aree del Mezzogiorno potrà risolversi, in ultima analisi, nella successiva importazione di questo bene di consumo in stoccaggi minori, e con una evidente limitazione delle spese, finora dirette in particolare verso i Paesi produttori dell'Est europeo.
C'è, dunque, in prospettiva, la possibilità che gli introiti da rimesse, redditi da lavoro, turismo e crescita delle esportazioni contribuiscano a riequilibrare una bilancia finora pendente in senso decisamente negativo. Tutto questo, naturalmente, dipenderà dalla stabilità politica, dalla concretezza della politica fiscale, dall'indirizzo degli investimenti, dall'incentivazione dello sviluppo delle regioni meridionali, dall'aumento della produttività delle imprese, e dal contenimento del tasso d'inflazione. Quest'ultimo, infatti, può annullare tutto, può rendere vano ogni sforzo. In questo caso, l'Italia rischierebbe di diventare una colonia delle economie più forti. E non è per questa prospettiva che centinaia di migliaia di italiani, e che milioni di meridionali, hanno preso le vie dell'Europa e del mondo.


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