Il Comitato interministeriale
per la programmazione economica ha finalmente sbloccato i 16 mila miliardi
di lire già stanziati e ha dato il via ai progetti speciali. Ma
solo 3.480 miliardi sono disponibili per investimenti industriali.
Qualche settimana
fa, il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha
emanato una prima serie di delibere per l'applicazione del programma
quinquennale straordinario per il Mezzogiorno. Le delibere si collegano
all'approvazione del piano vero e proprio, con il quale si dà
esecuzione alla legge 183. Con questi adempimenti (che, è bene
sottolinearlo, sono giunti in notevole ritardo), si rendono disponibili
i sedicimila miliardi di lire stanziati in precedenza, e si dà
l'avvio ai progetti speciali, ritenuti indispensabili per dotare le
aree meridionali di essenziali infrastrutture industriali e civili.
Il dibattito sul Mezzogiorno, con il varo del piano quinquennale, torna
così ad essere al centro delle scelte di politica economica che
il Paese dovrà fare per uscire dalla crisi. Anche se è
vero che l'obiettivo di fondo deve essere quello di creare nel Sud processi
autopropulsivi, introducendo - inoltre - componenti di reddito industriale,
capaci di mettere in moto meccanismi autonomi di accumulazione di risorse,
è altrettanto vero che il processo deve coinvolgere tutta l'Italia.
Se un'azione di questa portata venisse meno, il danno conseguente ricadrebbe
non soltanto sul Mezzogiorno, ma su tutta la collettività nazionale.
Una più equilibrata distribuzione territoriale delle occasioni
di lavoro risponde, infatti, alle necessità del Sud perché
qui si concentrano la disoccupazione, la sottoccupazione agricola ed
extragricola e l'incremento demografico. Ma risponde anche agli interessi
di lungo periodo del Centro e del Nord: la tumultuosa emigrazione dalle
regioni meridionali, considerate per anni un inesauribile serbatoio
di manodopera, è all'origine di quei fenomeni che hanno sconvolto
tutte le previsioni sugli equilibri aziendali e sullo stesso assetto
urbanistico-sociale delle grandi città, come, ad esempio, Torino
e Milano, le cui "cinture" urbane sono veri e propri insediamenti-satelliti,
quasi esclusivamente meridionali.
Da qui, la necessità di stabilire se gli stanziamenti finanziari
approvati risultino congrui per proseguire l'azione di intervento straordinario.
Dei sedicimila miliardi di lire, (ai quali vanno aggiunti 2.080 miliardi
derivanti dal fondo incentivi previsti dal decreto 902), oltre cinquemila
vanno immediatamente detratti: corrispondono agli impegni di spesa autorizzati
nel corso del 1976, per consentire alla Cassa per il Mezzogiorno di
proseguire nei suoi interventi di incentivazione industriale, di completamento
delle opere, di promozione agricola, di revisione dei prezzi. Ne restano,
dunque, 9.100, di cui tremila destinati al finanziamento dei progetti
speciali, duemila per gli interventi regionali, e circa altri mille
per iniziative di minori dimensioni.
Le risorse per l'industria, a questo punto, vengono fissate in 5.980
miliardi di lire complessivi. Ma non tutti sono disponibili immediatamente.
Di questa somma, infatti, 2.500 miliardi si potranno erogare soltanto
dopo il 1980, poiché la legge 183 li carica sui bilanci dello
Stato a partire dal 1981. Per quel che riguarda i 2.080 miliardi del
fondo-incentivi, essi dovranno servire all'erogazione del credito agevolato.
Per coprire il fabbisogno di contributi in conto capitale sia delle
iniziative già avviate, sia di quelle da avviare e che matureranno
il diritto al contributo prima della fine del 1980, restano 1.400 miliardi
di lire. Tirando le somme, pertanto, la disponibilità di risorse
per investimenti industriali nelle regioni meridionali è contenuta
in 3.480 miliardi di lire: una massa di capitali, questa, chiaramente
insufficiente di per sé, ma ancora più insufficiente se
si tiene nel dovuto conto la quota falcidiante sgretolata dai tassi
d'inflazione.
Come pura ipotesi, c'è comunque da chiedersi che senso può
avere accantonare delle risorse in mancanza di una domanda di investimento,
o in mancanza di una cospicua politica di industrializzazione del Mezzogiorno.
I 3.480 miliardi a fondo perduto corrispondono, grosso modo, a investimenti
globali nelle regioni meridionali, nei prossimi tre anni, pari a 11-12
mila miliardi di lire. Si raggiungerà questa cifra? E, se sarà
raggiunta, qual'è la quota degli investimenti in termini reali,
e quale quella imposta dall'inflazione? Perché, se è vero
che si programma ipotizzando lo sviluppo generale, nella prospettiva
di un containment del tarlo inflattivo, è altrettanto vero che
dalla crisi non esce il Mezzogiorno se non ne vien fuori l'intero Paese.
Qui il discorso diventa un pò complicato. Perché è
bene chiarire che fino a questo momento le politiche dell'intervento
straordinario nelle regioni meridionali, da venticinque anni a questa
parte, sono state in buona parte sostanzialmente vanificate da altre
politiche "fuori area" a favore del Centro-Nord. In questo
modo si è garantita la sopravvivenza del "fossato"
storico tra Italia sviluppata e Italia in perpetuo tentativo di sviluppo,
tra il Paese delle ciminiere e quello del sottosviluppo. Il Sud è
andato avanti, non si può non riconoscerlo. Ma in termini di
reddito da lavoro, di occupazione, di struttura industriale e in genere
produttiva, di dotazione di beni civili e servizi sociali, non ha potuto
colmare il distacco che lo separa dalle aree favorite.
Il problema, dunque, torna alle origini, e la storia si ripete con puntuale
riscontro. Sicché ancora oggi il nodo resta questo: che quello
delle regioni meridionali non sia visto, ancora una volta, come "problema
residuo", ma come momento essenziale della strategia di ripresa
e di risanamento dell'apparato produttivo nazionale. Ciò significa
che governo, forze politiche e sociali, e imprenditori, dovranno farsi
carico di una politica economica che sia rivolta a creare i presupposti
reali perché il Mezzogiorno rossa veramente mettersi al trotto,
più che al passo, con i tempi.
Progetti speciali:
1) Primo lotto funzionale del porto-canale di Cagliari.
2) Infrastrutture della zona sud-orientale della Sicilia.
3) Disinquinamento del Golfo di Napoli.
4) - 10) Produzione intensiva di carne nel Mezzogiorno.
11 Sviluppo dell'agrumicoltura in Sicilia, Calabria e Basilicata.
12 Strada mediana transcollinare Aprutina nelle Marche, Abruzzo, Molise.
13) Utilizzazione intersettoriale delle acque del Tirso in Sardegna.
14) Utilizzazione intersettoriale degli schemi idrici di Puglia e Basilicata.
15) Utilizzazione intersettoriale delle acque del Biferno in Molise.
16) Approvvigionamento idrico delle isole Elba e Giglio in Toscana,
17) Realizzazione di approdi turistici nel Tirreno meridionale.
18) Realizzazione di approdi turistici nell'Adriatico meridionale.
19) Sviluppo agro-turistico della Sila e dell'Aspromonte in Calabria.
20) Valorizzazione turistica dei monti della Duchessa e del Velino nel
Lazio.
21) Sistema viario a carattere interregionale per lo sviluppo della
Campania interna.
22) Attrezzatura del territorio del versante tirrenico della provincia
di Reggio Calabria (Gioia Tauro).
23) Irrigazione del Mezzogiorno.
24) Forestazione a scopi produttivi nel Mezzogiorno.
25) Potenziamento e reperimento delle risorse idriche in Sardegna.
26) Utilizzazione intersettoriale delle risorse idriche in Calabria.
27) Realizzazione di attrezzature sportive nel Mezzogiorno.
28) Direttrice interregionale della dorsale appenninica Rieti-Benevento.
29) Utilizzazione intersettoriale degli schemi idrici del Lazio meridionale,
Tronto, Abruzzo, Molise, e Campania.
30) Utilizzazione delle acque degli schemi idrici intersettoriali della
Sicilia.
Le esigenze finanziarie per completare i progetti speciali finora deliberati
dal Cipe sono valutati in oltre 15 mila miliardi di lire. Questa cifra
si riferisce a un arco temporale di attuazione che va oltre il 1980,
mentre il volume degli impegni che possono essere assunti dalla Cassa
per il Mezzogiorno entro questa data si aggira intorno ai 9.300 miliardi
di lire. Più in particolare: 3.900 miliardi si riferiscono ai
progetti speciali per l'utilizzazione intersettoriale delle risorse
idriche; 1.640 miliardi alto sviluppo agricolo, vale a dire all'ampliamento
dell'irrigazione e alle azioni promozionali e di incentivazione per
i comparti "carne", "agrumi" e "forestazione";
920 miliardi riguardano i progetti speciali rivolti allo sviluppo industriale
in Calabria, Sicilia e Sardegna; 1.850 miliardi quelli che hanno per
obiettivo l'assetto del territorio; 570 miliardi si riferiscono al disinquinamento
del Golfo di Napoli; e 390 miliardi ai progetti speciali di varia natura
(attrezzature sportive, sviluppo agro-turistico della Sila e dell'Aspromonte,
ecc.). Siamo a quota 9.270 miliardi. Per il resto della cifra, non si
hanno indicazioni: dopo il 1980, buio a Mezzogiorno!
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