§ Sud e magia

Il tarantolismo pugliese




Ernesto De Martino



Meriterebbe un'analisi storico-religiosa, sia nelle sue forme paganeggianti, sia nel suo processo di riassorbimento cristiano, di cui è ancora traccia vivente quanto ha luogo nella ricorrenza della festa di San Paolo, a Galatina.

Ogni anno, dal 29 al 30 giugno, convengono nella cappella di S. Paolo in Galatina i tarantolati della regione, dando luogo ad episodi che l'amico André Martin ha ripreso in alcune sue interessanti fotografie. La forma cristianizzata del tarantolismo di Galatina richiama quella pagana, che rientra nelle terapie magiche della possessione e che una volta in Puglia era molto diffusa. Sulla forma pagana il Rev. Domenico Sangenito verso la fine del secolo XVII ne scrisse ad Antonio Bulifon, libraio francese in Napoli, il cui nome occupa un posto non irrilevante nella formazione della nuova cultura napoletana. Il Sangenito fu un attento testimone oculare di ciò che riferisce, il che dà un particolare valore al suo rapporto, che qui riportiamo nell'essenziale:

Coloro che son morsi dalla tarantola, poche ore di poi, con voce inarticolata si lamentano, e se li circostanti domandano loro che cosa l'affligge, molti risposta non danno; ma solamente con gli occhi torvi li riguardano; ed altri fanno cenno con la mano sul cuore. Per la qual cosa, gli abitatori di que' paesi come persone prattiche, sùbito vengono in cognizione del malore che li tormenta; onde senza perder tempo tantosto chiamano sonatori con vari istrumenti, poiché altri balla in suon di chitarra altri di cetera, ed altri al suon di violino; sul principio del suono, pian piano cominciano a ballare; chiedono spade, e come che siano inetti di scherma, se ne dimostrano con tutto ciò nel maneggiarli maestri. Chiedono altresì anche specchi, e mentre vi si mirano, gettano sospiri acutissimi e innumerabilissimi. Vogliono bindelle, cateniglie, vesti preziose, e quando son loro portate, le ricevono con allegrezza inesplicabile, e con molta riverenza ringraziano chi loro le reca. Tutte le cose sopradette dispongono con bell'ordinanza intorno allo steccato, dove ballano servendosi da tempo a tempo or dell'una or dell'altra, secondo gl'impulsi che glie ne dà il malore. Dànno principio al ballo un'ora dopo l'apparir del sole, terminando un'ora prima di mezzogiorno, senza prender mai riposo, fuorché se l'instrumento si scordasse: ed Allora respirano con impazienza insino a tanto che si ripone in accordo, notandosi con meraviglia come gente sì rozza ed inculta, come sono i cultori della terra, custodi d'armenti e simili altri uomini camparecci, siano così buoni conoscitori delle consonanze e dissonanze de gl'instrumenti musicali, e che tanto di quelle s'inquietino, quanto di quelle si appagano. Un'ora dopo mezzo dì entrano nel bel nuovo in danza, continuando sino al tramontar del sole, come fanno col medesimo ordine senza stancarsi, come io ne ho molti veduti, né mai più di tre giorni aver patito travaglio, se al male loro si fosse dato più tardo rimedio col suono, ciò che altri ne dica di otto o di dieci giorni, che col ballo abbiano avuto necessità di seguitarlo. Nel mentre che danzano sono fuori dei sensi, e non distinguono parente, né amico, ma li son tutti uguali: ben'è vero che alle volte invitano qualche leggiadro e grazioso giovanetto al ballo. Gli arredi, dei quali si servono, sogliono per lo più essere di colore vago, come incarnato, rosso, ceruleo, e simili; e quando vedono il nero, s'adirano in modo che colla spada corrono discacciando chi n'è vestito. Ad uno solo, che io sappia, tra molti non dispiaceva il drappo nero: e questo tale che non saltava con tanto vigore quanto gli altri, ma più agiatamente.

Il Sangenito passa quindi a riferire due casi particolari di cui fu testimone:

Giovan Giacomo Teforo (che io ho veduto più di sei volte ballare) un giorno si trovava in una foresta per suoi affari, e credo che si avvertì esser venuto il tempo di pagare il tributo alla sua mortificatrice tarantola. S'inviò egli verso l'abitato, ma fu poi trovato per strada su la nuda terra disteso. Ciò saputo nella sua e mia patria, v'accorsero molti, ed io con gli altri, e trovammo il misero contadino oppresso da difficile respirazione, ed osservammo inoltre che la faccia e le mani erano incominciate a divenir nere; e perché il suo male era noto a tutti, si portò la chitarra, la cui armonia, sùbito che da lui fu intesa e cominciò a mover prima li piedi, poco di poi le gambe, si reggeva appresso sulle ginocchia, indi a poco intervallo s'alzò passeggiando, e finalmente fra lo spazio d'un quarto d'ora ballava sì che si sollevava ben tre palmi da terra; sospirava, ma con empito così grande che portava terrore a' circostanti, e prima d'un'ora se gli tolse il nero dalle mani e dal viso, riacquistando in suo natio colore. Nel Castello della Motta di Monte Corvino ebbi congiuntura di veder ballare cinque attarantati in un medesimo tempo e dentro un medesimo steccato: erano quattro bifolchi e una bellissima forosetta. In questa unione osservai cose nuove, mentre ciascheduno aveva preso nome straniero, e proprio dell'antichi re; e tra essi medesimi si trovavano congiunti di parentela, e trattavansi sì che si osservava reciprocanza d'affetto, e reiterati complimenti che davano grande ammirazione a' spettatori. Fecero, con felicità il solito corso della danza nello spazio di tre giorni, de' quali l'ultima sera Prima di licenziarsi, dimandarono in grazia uno squadrone d'armati, e li fu dato di dieci archibugieri; quali ripartiti in due lati stavano pronti per far la salva; dimandarono poi un bicchiere d'acqua, ed un poco di sale polverizzato, e tosto gli fu portato e l'uno e l'altro. Il capo, o vogliam dire l'ideale Re de' Regi (il cui nome era Pietro Boccamazza) segnò nel vaso dell'acqua col sale in modo di Croce; pigliarono della medesima acqua un poco per ciascheduno; fecero segno allo squadrone che sparasse, e con profondissimo inchino dissero: ci rivedremo l'anno venturo. Que' miseri doppo tanta fatica non si ricordavano cosa alcuna, ma solamente, fra quella moltitudine di gente da cui si vedevano circondati, chiedevano per pietà d'esser condotti nelle loro case ...

Da questo rapporto si desumono con sufficiente approssimazione i caratteri del tarantolismo pugliese nella seconda metà del secolo decimosettimo. La crisi appare caratterizzata da una condizione di profonda depressione melancolica, o di stupore, ovvero - a giudicare dal caso del Teforo - da una caduta al suolo di natura isteroide o epilettoide: la "cura" consisteva innanzitutto nell'impiego di determinati ritmi musicali aventi la funzione di sbloccare il blocco psichico, di suscitare un accesso di agitazione maniaca, e di ricondurre tale agitazione nel solco istituzionale di una danza saltellante, iterata per tre giorni, dall'alba al tramonto, con una interruzione di un'ora al centro della giornata. Come mostra l'episodio di tarantolismo del Castello della Motta di Montecorvino questa danza poteva assumere un andamento figurato, rappresentare cioé una specie di sogno mimato, seguito da completo oblio al risveglio. La vicenda si svolgeva in uno steccato, dove i tarantolati erano condotti, e dove la loro pantomima era secondata e diretta al suono di chitarre, di cetre o di violini. Nel rapporto del Sangenito è accolta la credenza che la crisi di cui il tarantolismo rappresenta un sistema curativo istituzionalizzato e socializzato sia provocata dal morso della tarantola: ma quest'insetto non entra affatto nella vicenda, tranne che nella fantasia mitica, in quanto l'esser morso dalla tarantola è soltanto un'immaginazione o anche una esperienza allucinatoria che dà orizzonte e figura ad una crisi di carattere nettamente psichico. Al tarantolismo pugliese - che sopravvive in forma cristianizzata nella festa di S. Paolo a Galatina - fanno riscontro numerosissimi paralleli storico-religiosi, specialmente nel magismo di tipo siciamanistico. H. Jeanmaire, nella sua monografia "Le traitement de la manie dans les mystères de Dionysos et des Corybantes", ha messo in evidenza un gruppo di pratiche diffuse in una vasta area che comprende i paesi islamici dell'Africa mediterranea, e che si estende anche nella penisola arabica, nel Sudan e in Abissinia:

Si tratta di pratiche a carattere popolare che impegnano elementi appartenenti agli strati inferiori della popolazione, senza tuttavia essere limitate a questo ambiente sociale, soprattutto per quel che concerne le donne. Ci si trova in presenza di adepti di un culto particolare dedicato non già a una divinità principale ma ad una folla di geni disposti in gerarchia e di tale natura da manifestarsi - nel corso delle sedute istituite dai gruppi in quistione - mediante uno stato di possessione accompagnato da trance: uno stato che si traduce con una danza frenetica la cui il posseduto si abbandona le che nella sua apparizione è preparato e provocato da una ginnastica appropriata ( ... ) come anche dalla suggestione di ritmi determinati ( ... ). Sembra che si possa caratterizzare il processo osservando che, a differenza dell'esorcismo propriamente detto, quale si pratica in ambienti nei quali la possessione è intesa come effetto dall'intrusione di uno spirito malefico per natura, onde poi l'esoterismo tende all'espulsione di questo principio maligno per produrre la liberazione del soggetto, il metodo di trattamento che trova qui applicazione non ha tanto per fine la soppressione degli stati affettivi e deliranti che risultano dallo stato di possessione, quanto piuttosto la loro trasformazione mediante la eliminazione del fattore depressivo e la loro utilizzazione in vista di realizzare un nuovo equilibrio della personalità mediante una sorta di simbiosi con lo spirito possessore divenuto spirito protettore, e mediante una normalizzazione, sotto forma di trance provocata, dello stato di crisi.

Il rapporto col tarantolismo è evidente: lo stato di crisi, la trance provocata a comando da "direttori di scena", la funzione ordinatrice del ritmo musicale, la danza, il bisogno di ripetere periodicamente la pratica, e soprattutto la "guarigione" come controllo rituale di 'una crisi che senza il controllo del rito oscillerebbe nella polarità di depressione melancolica e di eccitazione maniaca, costituiscono elementi caratteristici del tarantolismo così come appare nella descrizione del Sangenito. Quanto agli spiriti possessori il Sangenito certamente non vi fa cenno: tuttavia è da osservare che la tarantola immaginaria o allucinatoria tiene il luogo di uno spirito del genere, e che la pantomima del Castello della Motta di Montecorvino avrà avuto un significato socialmente riconosciuto e accettato, come lascia supporre l'accordo e la coordinazione fra i quattro tarantolati durante una recitazione, la quale d'altra parte sembra secondata dal pubblico; come se si trattasse di una vicenda nota. Senza dubbio dal rapporto del Sangenito il significato del mito "recitato" non è ricostruibile, ma la oscurità è imputabile probabilmente alla natura del documento, che si limita a ritrarre gli aspetti più esteriori e vistosi della mimica.
Per quel che concerne la funzione di tecniche del genere, è da osservare che almeno l'intuizione della soluzione giusta si ritrova nelle "Leggi" di Platone, dove discorrendo della regolamentazione degli esercizi che debbono formare le anime dei giovinetti si fa cenno alle cure dei coribanti:

Ciò di cui (i Coribanti) patiscono è lo stato di paura, una paura che proviene da una qualche miseria dell'anima. Quando dunque si contrappone ad agitazioni siffatte una scossa esteriore, il movimento che viene dal di fuori padroneggia il movimento interno di spavento e di mania, e padroneggiandolo, si trova ad aver ricondotto nell'anima la calma e la tranquillità turbate dai penosi soprassalti del cuore. Ed è questo un grande beneficio, che risveglia (i Coribanti) con la musica e la danza, e col soccorso degli dèi ai quali ciascuno offre sacrifici propizi, li riconduce dalla mania alla retta ragione.

Altrove (nel "Fedro") Platone distingue dalla follia la "ortè mania", cioè la "mania giusta" che ha luogo nei riti iniziatici correttamente eseguiti, e che è "giusta" in quanto - come osserva il Jeanmaire - si riferisce a pratiche che consistono essenzialmente nel "regolarizzare l'accesso di follia dando ad esso una orientazione telestica".
In base a queste considerazioni, il tarantolismo pugliese meriterebbe una attenta analisi storico-religiosa, sia nelle sue forme paganeggianti di cui ci offre una immagine il rapporto del Sangenito, sia nel suo processo di riassorbimento cristiano, di cui ètraccia ancora vivente quanto ha luogo durante la festa di S. Paolo in Galatina.


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