Idro, Padre Idume,
Giammatteo: tre corsi d'acqua dolce che sfociano nell'Adriatico; e, sulla
costa ionica, polle e sorgenti, a contatto con il mare, o affioranti dal
mare. Un itinerario suggestivo si scopre in questa regione, che galleggia
sulle acque racchiuse e prementi nel suo dedaleo ventre carsico.
L'Idro è
il primo fiume del Salento. E più che un fiume, è un anfiteatro,
circonda la città santa del Salento, Otranto: la sua valle, larga
anche un chilometro quasi abbraccia la città adriatica, "porta
per l'Oriente",
con un percorso di cinque chilometri che fu ricco di vegetazione. Qui
trovarono l'habitat ideale la quercia
vallonea, l'elce, la quercia coccifera, l'olivo, che secondo il Marinelli
"tre uomini non potevano
abbracciare". Erbe poco resistenti alle salsedini, e dunque tipicamente
fluviali e palustri, il crescione e il velenoso falasco, crescevano
insieme con le radici degli alberi. Poi, le piante dominate dall'uomo,
e tra queste la celebre "cicoria otrantina", tenera ricciuta
verdeacqua. Otranto, come Venere dalle schiume del mare, sorgeva dal
cuore di un'oasi. E c'è voluta tutta la volontà degli
uomini per crearvi, intorno, un mezzo deserto.
La valle viene da lontano, si orgina dalle colline di Giurdignano e
di Uggiano La Chiesa; e le acque dell'Idro, (che scorrono a pelo libero
per tremila metri, prima di sfociare nel mare interno del porto otrantino),
sgorgano nelle località "Fao", "Fontana Restinco",
"Monte Sant'Angelo". Le altre sorgenti, quelle di "Carlo
Magno", narrano ancora, per bocca dei vecchi, la loro origine leggendaria:
quando il sovrano attraversò con il suo esercito la valle dell'Idro,
esasperato dalla sete, colpì con la spada una roccia sporgente;
e, come per incanto, zampillarono le acque. In realtà, mai Carlo
Magno mise piede in Terra d'Otranto; ma il mito reclama la sua parte;
e il più potente uomo del Sacro Romano Impero ripete l'avventuroso
miracolo di Mosé nell'esodo con gli ebrei, rompe il deserto,
disseta gli uomini e la terra.
Una memoria in qualche modo religiosa circonda l'acqua, creatrice di
vita: sacri il Gange, il Tigri, l'Eufrate, il Nilo, il Giordano, il
Tevere, il Reno. Sacrale è l'acqua del "fonte" battesimale.
L'acqua dei fiumi richiamò i popoli colonizzatori e fondatori;
e tranne poche eccezioni, non c'è capitale di Stato che non sorga
sulle rive di un fiume. Perché i salentini chiamarono "Padre"
il fiume Idume? Forse perché vi legarono il ricordo di un rito
religioso? Ancora oggi, a Manduria, si può assistere alla "processione
dei tronchi": uomini d'ogni età portano a spalla,
per una decina di chilometri, pesanti tronchi d'albero, spogli, verso
il mare, fino alle foci del fiume Chidro. L'uomo "va verso l'acqua",
come in un ritorno alle origini della vita. C'è un mistero profondo,
inesplorato, alla base di questa, attrazione quasi magnetica, irresistibile;
un mistero che coinvolge la più remota storia della terra e dell'uomo.
Fu fonte di vita e di lavoro, l'Idro. Dice il De Giorgi che "la
flora spontanea e quella coltivata erano oltre ogni credere lussureggianti
per la fertilità immensa del terreno, i prodotti agrari ad esuberanza
remunerativi... Le patate rendevano sessanta volte il loro peso, i cereali
più che in ogni altro posto della provincia; i noci, i fichi,
gli albicocchi, i ciliegi e le viti crescevano rigogliosi, mentre l'ulivo
coronava il dorso delle colline".
Nelle campagne circostanti, centinaia e centinaia di pozzi, scavati
a mano, pazientemente, dai contadini. Straordinario il gioco delle acque
sotterranee; solo qui, nel Salento, è possibile trovarla al di
sopra del livello del mare, la profondità minima può essere
di un paio di metri, la massima non supera i sessantacinque metri. Ciò
spiega la diffusa presenza di polle e sorgenti di acque affioranti ai
piedi delle brevi alture, vicino al mare, dentro lo stesso mare, nel
cuore di grotte anche irraggiungibili da terra. Pozzi dappertutto, dicevo:
costantichi da risalire ai tempi della colonizzazione greca (ne ho visto
uno, splendido, a Corigliano d'Otranto), così folti da lasciarci
stupefatti (come i sessantotto pozzi di San Pantaleo, alla periferia
di Martignano), così splendidi da essere opera d'arte a sé
(il pozzo dell'atrio del Seminario vescovile, di Lecce; quello, anch'esso
superbo, dell'atrio di Santa Maria di Cerrate, a Squinzano; o un altro,
con sculture cinquecentesche, in contrada "Caliò",
nell'agro leccese).
Ora la valle dell'Idro è libera dalla malaria che terrorizzò
per secoli generazioni di uomini. Le acque scorrono pigre, gorgoglianti,
fino a primavera inoltrata, (d'estate è appena un rigagnolo);
il massimo fiume del Salento, largo pochissimi metri, diventa operaio
occasionale quando irriga qualche campo confinante. Sconosciuto per
il resto, dai più, trascurato da tutti, acqua brada tranne che
verso la microscopica foce, ricorda che fu, forse, d'alveo ricco e di
portata cospicua, prima che sprofondasse nel dedaleo ventre carsico
otrantino.
Per la profondità di poco Più di un chilometro, la fascia
costiera fra Torre Chianca e Torre Rinalda era caratterizzata da falde
e polle d'acqua che stagnavano sui terreni, "Conferendo al paesaggio
l'aspetto desolato e triste della palude". Qui, imbrigliato e bonificato,
scorre l'Idume, o Padre Idume, figlio di due sorgenti; la prima fluente
nella roccia cavernosa, arenacea, calcarea; la seconda, chiusa da un
banco di pietra leccese. La falda di superficie è leggermente
salina, mentre quella sottostante è assai mineralizzata.
Padre Idume; così è indicato da un'antica leggenda; anch'esso
vittima di uno sprofondamento carsico, potrebbe irrigare fino a cinquemila
ettari di terreno. Dista da Lecce, in linea d'aria, undici chilometri.
Le acque si convogliano in un bacino a marea di un paio di ettari, e
provengono da piccoli crateri imbutiformi, (detti "aisi" o
"avisi"; quello dei "Gelsi", quello "della
Loggia", quello "dei Correnti"; e altri minori, da cui
sgorgano, a pressione, le falde carsiche sottostanti). Il bacino Idume,
(qui lo chiamano "Rauccio"), è in contatto diretto
col mare, attraverso un collettore, ma non risente dell'azione delle
maree, poichè le acque provengono da pendii scoscesi, sovrastanti
il livello del mare. Per questo vi si possono incontrare ancora pesci
"acquadulqucoli", cioè esemplari di pesci di origine
marina, acclimatatisi in acque dolci costiere, comunicanti con l'Adriatico.
Terzo fiume del Salento, il Giammatteo; ma unico fiume con "delta",
anche se artificiale, e anche se ridotto a due sole ramificazioni; una
va verso il mare, l'altra nel lago di Acquatina, nell'agro della frazione
leccese di Frigole. Brevissimo, rettilineo, profondo, ha un numero elevato
di microaffluenti. Il Giammatteo è lungo solo trecento metri,
va diritto all'Adriatico, raccoglie nel suo breve corso le acque di
molte polle e sorgenti, la più importante delle quali gli fornisce
cinquecento litri di acqua al minuto secondo. Limpidissimo, contiene
calcio e cloruri, ad una temperatura costante di tredici gradi. E' anche
il corso d'acqua più vicino a Lecce, in linea d'aria dista solo
otto chilometri. Per questo è stato utilizzato per l'irrigazione.
E' il suo "braccio" diretto all'Acquatina, tuttavia, che ci
interessa di più. Nel lago, infatti, si fece un esperimento "in
vitro", quello dell'"acquicoltura"; si costruirono canali
e saracinesche intercomunicanti fra di loro e col mare; si dosarono
temperature e immissioni di acque marine; si introdussero
gli avannotti: muggini, cefali, saraghi, spigole, orate, anguille.
Una volta cresciuti, i pesci sarebbero stati destinati al ripopolamento
del mare, impoverito dalla pesca a strascico e dalla pesca di frodo,
col tritolo o con i veleni. L'esperimento era interessante, e, in un
certo senso, anticipatore; ricordava le "sea farms" americane
o giapponesi, le "fattorie marine" per la riproduzione ittica,
create addirittura con la "coltivazione" del fondo marino,
per ricreare gli ambienti naturali ideali per tipi e qualità
di pesci. Poteva essere il primo esperimento del genere nel Mezzogiorno,
poteva aprire un futuro alla pesca italiana, oggi tributaria (per decine
di miliardi) di paesi africani. Fu invece una grande illusione; chi
investì quattrini e tempo, preparazione professionale e passione,
si trovo - nemici - una burocrazia stolta e tutt'altro che lungimirante,
uno Stato insensibile per lo meno quanto imprevidente, e i nemici in
casa: i pescatori di frodo (è un ricordo personale, ricordo i
bacini in piena attività; e ricordo come li rividi dopo!), i
pescatori di frodo, dicevo, arrivarono con il tritolo, e per portar
via qualche decina di chili di ,pesce fecero saltare in aria canali
e bacini (erano in cemento armato!), distrussero mezzi impianti, annientarono
in poco tempo un lavoro progettato e realizzato nel corso di parecchi
anni. Eppure, l'esempio dei Laghi Alimini - Fontanelle (col loro reddito,
con la ricchezza e gli impieghi che consentivano) era lì a portata
di mano, qualche chilometro più a sud. (Rammento un sistema ingegnoso
che consentiva ai pescatori di frodo di agire senza far ricorso al "rumoroso"
tritolo; seccavano al sole semi di peperia, una pianta fortemente urticante;
la polverina che ne risultava, la spargevano nell'acqua dei canali dell'Acquatina;
dopo pochi minuti, i pesci - storditi -venivano a galla, a ventre in
aria; si riprendevano quando erano stati ormai catturati. E la Guardia
di Finanza non era in grado di stabilire, poi, se fossero stati pescati
regolarmente o con frodo: la peperia non lasciava traccia della sua
azione urticante).
Così, il più piccolo dei fiumi salentini perdette l'occasione
di trasformarsi in un fiumelaboratorio, cioè in una fonte alimentare
e commerciale. Il Salento aveva perduto un'altra occasione.
Fiume potrebbe essere considerato il complesso dei Laghi Alimini - Fontanelle;
perché l'acqua sorge da falde rocciose; perché forma dei
bacini lacustri solo per la immediata vicinanza del mare; infine, perché
è acqua corrente, non stagnante.
Tant'è che la piscicoltura, che vi si pratica abbastanza razionalmente,
ha bisogno di essere aiutata da "maree" adriatiche, alimentata
da acque salse dosate con il passaggio controllato attraverso saracinesche
costiere. Lo spettacolo è insolito, in una terra che non abbonda
di acque di superficie.
Due grandi specchi d'acqua si allargano in un'area che un giorno fu
fitta di vegetazione spontanea, e che oggi è vittima di un'architettura
turistica, e dunque architettura efficientistica, che è arte
edile per modo di dire.
E' fiume l'"Ubissu", o "Abisso", nel territorio
di Diso, a un tiro di fucile da Castro Marina? E' una grotta sulla strada
Castro-Tricase. A circa cinquanta metri dal mare, attraverso sentieri
scoscesi. tra piccoli poderi, è lo sprofondo. Uno strano pozzo,
che invece di avere un cerchio d'acqua, si allarga in un cunicolo perpendicolare
nella grotta campaniforme: la massa d'acqua dolce è enorme, limpidissima.
cristallina, dai riflessi verdognoli, notevolmente profonda, leggermente
più alta del livello del mare.
Un altro corso d'acqua ha origine nella "Masseria Brunese",
nel territorio di Melendugno; varie sorgenti si convogliano in un collettore,
e, man mano che vanno verso il mare, in corrispondenza dalla rada di
Torre dell'Orso, si arricchiscono di nuove polle. Il fiume è
intersecato da sette briglie che obbligano le acque a riversarsi in
altrettante piccole cascate. Fu fiume irriguo. Le sue rive accolsero
due file di pioppi, proverbiali per la loro mole superba. Poi, e senza
un perché, furono abbattuti. Non restano neanche le radici.
Sfocia in mare aperto il "Fiume delle Spinose", nell'agro
di Uggiano. In corrispondenza della Torre di Sant'Emiliano, polle sorgive
provenienti dal retroterra, ingrossano la sorgente principale; fiume
fulmineo, lungo solo dieci o quindici metri. Eppure, porta al mare mille
litri al secondo, sovrastando le acque salate (che gli si mescolano)
di circa venti centimetri, tanta è la forza con cui erompe dai
cunicoli carsici. E' una potenza che impressionò uno storico-naturalista
molto misurato, quale fu il De Giorgi. Che nome aveva, nell'antichità?
Forse si chiamava "Fiume Badisco", poi sprofondato per carsismo?
Fiumi del Salento; il Tagliatelle, di Vernole; il Campolitrano, ancora
di Vernole; il Cacari, sempre a Vernole; il Cassano, di Melendugno,
parallelo di altri due corsi d'acqua, il Brunese e il Tamari; e, accanto
alla valle ad anfiteatro dell'Idro, altri fiumi otrantini: il Sant'Andrea,
lo Specchiulla, il Santo Stefano; come, accanto all'Ubissu, nell'agro
di Diso, il Correnti di Castro, il Pozzo Capramontu, e il lago sotterraneo
del Cocito, nelle uroftdella Zinzulusa, e i "Fiumi dell'Acquaviva",
serie di polle subacquee notevolissime, influenzate dal mare.
Quanti sono i segreti che racchiude dentro di sé la penisola
salentina? Abbiamo accennato alle acque della fascia adriatica. Parleremo,
al più presto di quelle della fascia ionica, non meno interessanti.
E ci ripromettiamo di trattare un altro argomento, quello dei pozzi,
che non solo hanno realizzato un'efficiente rete irrigua "a braccia
umane". grazie alla quale l'agricoltura ha dato pane e redditi.
ha irrigato e dissetato; ma sono stati, in alcuni casi, vere e proprie
opere d'arte, origine di miti e leggende, fonte di storia. Perché
l'acqua, nel Salento, è sempre stata sinonimo di civiltà.
( 1 - continua)
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