§ Le inchieste della Rassegna

ABRUZZO porta del Sud




Realizzazione
ALDO BELLO
Testi e statistiche
GUGLIELMO TAGLIACARNE
Hanno collaborato
Ricerche letterarie
Ada Provenzano
Ricerche storiche
Pino Orefice
Ricerche economiche
Claudio Alemanno
Sezione grafica
Sendro Gattei
Sezione fotografica
Folco Quilici
Giuliana Calabrese




Al di qua del Tronto tumultuoso, cambia il colore del cielo e della terra, si parlano altre lingue, si vivono altre storie: qui è il confine tra l'Italia europea e l'Italia mediterranea; tra due illuminismi, il più antico dei quali - quello meridionale - ha lasciato in ereditá, come amara scienza della vita, uno scetticismo lucido e progressivo, che, pur subendo di proposito la storia, si fa matrice di cultura europea e planetaria.

Montuoso, impervio, l'Abruzzo ha le vette più elevate del sistema appenninico. Oltre la metà del territorio ha un'altitudine media superiore ai 500 metri; il resto è costituito da rilievi collinari. Ha fiumi per confini: il Tronto lo divide dalle Marche, il Sangro e il Trigno coincidono col confine molisano; creste appenniniche segnano la divisione col Lazio e con la Campania. Le grandi strade sono tracciate su alcuni tra i maggiori "passi'" interni: Forca Caruso, Passo del Diavolo, Piano delle Cinquemiglia, Traforo del Gran Sasso. Il Parco nazionale abruzzese si estende per circa cinquecento chilometri quadrati nell'Alta Valle del Sangro: vi si preservano una vegetazione e una fauna che un tempo erano caratteristiche dell'intera Italia centro-meridionale. Sopravvivono, fra l'altro, gli ultimi esemplari di orso italiano (Orso Marsicano).

Come una frontiera

Aldo Bello

All'interno poche strade (i tratturi) difficili, impervie, avevano tracciato dai tempi più remoti, e fino a pochi anni la, un tortuoso cammino tra i monti, dentro le valli improvvise e profonde sui ventosi altipiani. Raggiungere il borgo arroccato su una cresta rocciosa, o l'abbazia perduta tra i picchi sopra le nuvole, circondata da solitudine e silenzio, era un'impresa disperata. Perciò, per millenni, l'integrazione di questo popolo nel comune moto di civiltà fu un processo più lungo che altrove, e la cultura locale ebbe matrici fortemente originali, autoctone, non facilmente corruttibili. Al riparo dall'urto immediato dei grandi e piccoli avvenimenti storici, quasi sempre accolti con diffidenza. o subiti come conseguenza di mutamenti politici e militari che coinvolgevano questa terra suo malgrado, si è formato l'Abruzzo contemporaneo; e gli Abruzzi sono rimasti stretti in una coni 1 unità di destino assai singolare, caratterizzata da una tenace fedeltà ad ataviche forme economiche e sociali, anche oltre ogni pratica utilità. Il che sarebbe inesplicabile se non si tenesse conto che il fattore costante dell'esistenza degli abruzzesi è stato, appunto, il più primitivo e stabile degli elementi; la natura.
E' una crosta rugosa e compatta: quasi un'unica montagna di calcari cristallini, biancastri, grigi con grandiosi anfiteatri spogli sopra le altitudini medie meridionali, e con gradinate erbose, fra le quali si alternano selve di faggi, di querce, di frassini. Verdi sono gli altipiani, di struttura alpina; deserte le vallate, nelle quali si sono ammassati secolari depositi alluvionali, ghiaiosi, come nelle gole del Tronto, del Vomano, del Tirino, del Sagittario, del Sangro. Solo le valli ricche d'acqua sono fertili.
A seguire il corso dei fiumi, si scopre che solo con un accanito lavorio millenario essi hanno potuto aprirsi un varco verso il mare, incidendo nei massicci montagnosi abissi angusti e dedalei. Nessuno stupore, dunque, se - alla stessa maniera - nella guerriglia continua contro montagne, frane, alluvioni. terremoti, siccità, serpi, si siano anche formate tanta parte dello spirito abruzzese, (con i suoi terrori, i suoi miti, le sue leggende, le sue superstizioni), e tanta parte del suo carattere paziente, sobrio, diffidente e "roccioso".
La Maiella è il secondo gran massiccio della regione. I contrafforti, le grotte, gli sprofondi. i valichi, sono - però - i più carichi di memorie. Negli stessi luoghi in cui un tempo vissero innumerevoli eremiti, in epoche più recenti trovarono rifugio centinaia, migliaia di briganti e fuorilegge. Personaggi diversi, protagonisti di avvenimenti disparati; attratti dall'utopia religiosa, o spinti dalla necessità di sottrarsi ai rigori della legge. Qui visse Pietro da Morrone: una figura-limite, un archetipo, quest'uomo che dagli alti eremi mosse verso Roma per diventare capo della Cristianità, col nome di Celestino V; e che poi rinunciò alla tiara, sdegnato per gli intrighi curiali, illudendosi di poter fare ritorno fra le sue gole e le sue caverne; papa Caetani, Bonifacio VIII, suo consigliere e successore, lo fece rinchiudere, invece, in residenza coatta nel castello di Fumone, dove morì.
La montagna, dunque, ha salvato e perduto l'Abruzzo; gli ha modellato storia e geografia, economia e temperamento. Tanto è che essa ha realizzato il paradosso di una regione che, pur situata nell'Italia centrale, di fatto appartiene al Mezzogiorno. Questa terra ricevette il nome d'Abruzzo, intorno al 1170, dopo l'annessione al Regno di Sicilia. E, in seguito, salvo brevi periodi, ebbe la stessa sorte politica del Sud, di volta in volta governata dai Normanni di Capua, dai Normanni di Puglia, dai Normanni di Sicilia, dagli Svevi, dagli Aragonesi, dai Castigliani, e, infine, dalla dinastia dei Borboni, designata dalla corte di Madrid a reggere l'intero Reame.
Dopo la montagna, l'altro male oscuro dell'Abruzzo è stato l'emigrazione. Quella degli ultimi anni è stata la terza decimazione. La prima fu conseguenza dei terremoti e delle pestilenze del XVII secolo; la seconda si ebbe nei primi anni del nostro secolo, in seguito alle epidemie che distrussero i vigneti delle uniche zone fertili, quelle collinari: biblica fuga di intere comunità, che cancellò per sempre innumerevoli paesi e villaggi.
Nella cornice severa delle montagne e nelle terribili condizioni di esistenza determinate dall'orografia, il profilo spirituale di questa terra fu plasmato dal Cristianesimo. La prima forma di civiltà emanò dalle grandi abbazie benedettine; e figlia della benedettina fu la civiltà francescana; l'una e l'altra perfezionatrici
di culti, miti e usanze pagane preesistenti, con un peso specifico notevole anche nello sviluppo civile. Fu l'organizzazione religiosa quella che trasformò molti paesi in borghi, e questi in città; che sviluppò agricoltura e pastorizia; che raccolse documenti dispersi e incoraggiò la crescita di una pregevole letteratura umanistica.
Il Gran Sasso fu montagna regale. L'ha violata un inutile e costoso traforo. Sopra, grandi nevai, dopo che i faggi cedono agli abeti, e questi agli arbusti torvi. Quando l'ultima vegetazione scompare, la montagna si la azzurra con riflessi viola. Dall'altra parte si incomincia a scendere, terrazza dopo terrazza, verso la costa adriatica, e verso il mondo delle ciminiere e delle serre artificiali.
Alle spalle del Gran Sasso è il Sirente, un dorso goffo. Dietro ancora, è il Fucino, che: ricorda una sfida, forse un'epopea. "O io prosciugo il Fucino, o il Fucino prosciuga me". Fu il Fucino a perdere. Uno spirito colto e anticipatore. Alessandro di Torlonia, ignorò forse di aver realizzato, a metà del secolo XIX, la prima grande riforma abruzzese, il giorno in cui le acque dell'antico "lago di Celano", che superava per estensione il Trasimeno, furono costrette e suicidarsi sottoterra, rinascendo al di là di quella fabbrica di fiumastri che sono le insellature dell'Appennino, accanto alle sorgenti di un fiume laziale, il Liri. Gli abruzzesi ebbero così la loro conca più vasta, due volte maggiore di quella di Sulmona, quattro volte quella dell'Aquila. Un villaggio fino allora poco noto, Avezzano, che smagriva con la pesca s'impinguò con la semina del mais, importato dalla più piatta e puritana terra statunitense, il Nebraska.
La seconda scommessa fu fatta un secolo dopo; al centro dell'alveo coronato da una verde chiostra di monti, puntano verso il cielo gli specchi astronomici e le antenne di ascolto planetario. Qui è Telespazio; la catena delle bianche concave occhiaie dei ripetitori che dialogano in silenzio con i satelliti alti nel cosmo. Al miracolo della tenacia del principe di Torlonia ha fatto seguito l'altro miracolo, quello della tecnologia, dell'elaborazione elettronica, del calcolo infinitesimale. Qui si è già nel futuro.
Il passato, quello più che remoto, lo si difende col filo spinato e con i guardiacaccia. A sud, dentro la Marsica, cuore del Parco Nazionale; e oltre Alfedena e oltre Opi, dalla Camosciara a Monte Amaro, a Monte Irto, al Vallone delle Palanche, a Val di Rose, a Monte Marsicano. Scampati al bracconaggio e alle speculazioni edilizie, qui sopravvivono camosci e capre selvatiche, caprioli e cervi, uccelli migratori e stanziali, e gli ultimi orsi italiani, i rarissimi marsicani.
Grappoli di monti e ciuffi di selve e tappeti di macchioni formano un bene culturale territoriale che è di per sé opera d'arte. L'assedia il cemento armato, e la difesa di questa natura prepotente e sovrana è un diuturno scontro di codici e leggi. Bisogna scendere molto a sud, fino in Puglia, per trovare un'altra foresta, quella Umbra. E occorre andare ancora più lontano, nel calabro Aspromonte, per incontrare l'unica foresta vergine europea. la difendono la montagna più infida del nostro emisfero, l'omertà e le lupare della 'ndrangheta, la micidiale mafia locale.
Barrea è il cuore dell'Abruzzo incastonato fra le acque di un lago. Intorno, paesi come mucchi di pietre grige. Da paese a paese, rocce e lembi di terra coltivati a fatica. Scanno, Campo Imperatore, Ovindoli, Roccadimezzo, Roccaraso, Pescasseroli, sono nomi entrati nella costellazione dei soggiorni invernali. L'Aquila ostenta l'orgoglio di antiche tradizioni: severa e tradizionale nell'impianto urbano, e pur ricca d'architettura civile e religiosa. La illumina il più suggestivo monumento abruzzese, Santa Maria di Collemaggio, trecentesco, costruito secondo lo schema tipico delle chiese abruzzesi a coronamento ornamentale. Città orgogliosa, dicevo: al punto che gli spagnoli dominatori vi costruirono un munitissimo castello: non per difenderla, ma, come ricorda una lastra di marmo, per intimidirla.
Antica Interamnia, Teramo rivela un versante così diverso dall'altro che sovrasta l'altopiano d'Aquila, da parere un'altra montagna: più articolata e varia, boscosa, ricca di acque.
Cresciuta intorno alla sua splendida cattedrale, del XII secolo, si raggiunge scavalcando le brune foreste di Pietracamela; città di raccolta misura, è dominata da un osservatorio astronomico di lama internazionale, quello di Collurania, dal quale si scruta il cielo da oltre settant'anni.
Quieta è la valle del Pescara; da qui a sud è la terra descritta da D'Annunzio e Michetti, da Silone e Flaiano. Tra le lontane catene montuose e il mare oltre Lanciano, un'unica ondulata distesa di colli folti di ulivi e di vigne. Sparsi, antichi borghi, ricchi di storia, gelosi custodi di preziose opere d'arte.
In pochi anni, Pescara, città epicurea e arruffona, ha visto triplicarsi il numero degli abitanti, che in buona parte vivono delle industrie del nucleo e del porto e dell'industria - assai più redditizia - del turismo. Ha spazzato il passato a suon di capitali, e si è votata ai traffici e alle ciminiere, ha corso temerariamente il piacere del rischio, ha sfruttato abilmente la posizione di saldatura tra Nord e Sud.
L'ossatura industriale parti ai primi del '900 con l'impianto delle officine metalmeccaniche e della fonderia di ghisa, che furono per questa città, fatte le debite proporzioni, quel che è stata la Fiat per Torino. Poi vennero le industrie chimiche e quelle del cemento. Dal porto pescarese partono per tutto il Mediterraneo prodotti alimentari e farmaceutici, tessiti, macchine olearie e per la lavorazione del legno, compensati, scarpe, vini. La borsa merci del lunedì ha quotazioni che costituiscono indici ufficiali a carattere nazionale.
Alla sua ombra vive Chieti, che inventò le macchine per la confezione delle camicie. Poco più ad oriente è subito il mare; da Martinsicuro a Giulianova, a Roseto, a Francavilla, a Ortona, una lunga fettuccia di sabbie bianche, con le spalle protette da pini laricii, preannunciano il sapore e il colore del Sud. Perché porta d'ingresso verso la povertà meridionale è l'Abruzzo: dal fiume che, come una frontiera, lo separa dalle prime terre marchigiane, dal Tronto tumultuoso. Al di qua, cambiano cielo e terra, si parlano altre lingue, si vivono altre storie. Si entra in una diversa dimensione, culturale e civile. Il Tronto è la linea di displuvio tra l'Italia europea e l'Italia mediterranea; tra due illuminismi, il più antico dei quali - quello meridionale - diede in eredità, come amara scienza della vita, uno scetticismo lucido e progressivo, che, pur subendo di proposito la storia, si la matrice di cultura europea e planetaria.

Letteratura d'Abruzzo

Ada Provenzano

La vitalità culturale e letteraria di questa regione risale all'età romana e precristiana (con Sallustio e Ovidio), e si proietta nella tradizione colta di origine classica (con Marcello Prudente, Vezio Marcello, e altri). Tradizione presenta anche nel Medioevo, quando la vita ecclesiastica e conventuale fu influenzata dalla vicina civiltà di Montecassino: fra Duecento e Trecento, un movimento di letteratura religiosa in latino accompagnò il diffondersi delle laude e delle laude drammatiche. Alto esponente della più severa cultura religiosa fu Tommaso da Celano, diretto discepolo di San Francesco e suo più veritiero biografo. Al francescanesimo si ispirò, più tardi, l'opera di San Giovanni da Capestrano e di Giacomo della Marca, "colonne della nuova riforma". Fu, questo, uno dei periodi più originali della letteratura abruzzese, il tempo dominato dalle laude, dal teatro religioso, dalla poesia epico-cronachistica, e insieme da un preumanesimo che risenti dei rapporti che intercorrevano fra Abruzzo e Toscana, fra Abruzzo e Umbria. Appartengono a quest'epoca autori notevoli, da Buccio di Ranallo ad Antonio di Buccio, a Nicola Ciminello, a Marco Barbato, amico del Petrarca, a Serafino dei Ciminelli (gli ultimi due, pur abruzzesi d'origine, furono lirici cortigiani in altre città e regioni). Ormai Napoli attraeva le forze più vive dell'intellettualità meridionale, anche se vi erano, in Italia, altri poli di richiamo. Emigrarono fuori regione, in questa fase, Giovanni Battista Valentini, detto il Cantalicio, grammatico e scrittore latino; il filosofo averroista Nicoletto Vernia; Marcantonio Epicuro, poeta latino e scrittore di tragicommedie.
Fra Umanesimo, Rinascimento e Barocco non mancò una continuità di vita culturale e letteraria: basti ricordare lo Studio Generale e l'attività tipografica dell'Aquila; la creazione di Accademie, come quella dei Velati promossa da Cesare Rivera, o il fervore di storici locali, come Cesare Campano e Bernardino Cirillo. Solo alla fine del sec. XVII e nel XVIII arcadico-razionalista si aprì un periodo più originale. Risalgono a questi giorni Antonio Ludovico Antinori, collaboratore dei Muratori per le antichità abruzzesi; Petronilla Paolini Massimi; e i poeti dialettali, (L. Mattei, R. Parente, ecc.).
Età dei lumi e delle riforme: età dell'abruzzese Ferdinando Galiani, spregiudicato polemista, scrittore di eccezionale lucidità ed efficacia; ed età di Melchiorre Delfico, giurista ed economista, di Francesco Filippo Pepe e di Giuseppe Alferi Osorio; di scrittori che innestano nelle loro opere forti echi popolari (Mascetta di Colledimacine, Tito di Blasio, Giannina Melilli, e quel Gabriele Rossetti, la cui attività patriottica e poetica si appoggiò a un'ardente posizione neoghibellina). Ma il contributo alla letteratura italiana fra Risorgimento e Unità è massimo con D'Annunzio e Croce. Fra idealismo, positivismo, neoidealismo, verismo, decadentismo, e nuove istanze realistiche, ci fu una vasta zona fertile e creativa nella quale intellettuali e scrittori abruzzesi furono in prima fila. Bertrando Spaventa sistemò I'idealismo hegeliano entro una tradizione di pensiero italiano rinascimentale e particolarmente meridionale, laico e libero; suo fratello, Silvio, espresse più concretamente le istanze educative e politiche in una lotta per un'educazione laica e uno Stato illuminato conservatore, non privo di aperture sociali; a questa posizione si accostò il filosofo e scienziato Angelo Camillo de Meis. La corrente narrativa ebbe anch'essa uno sviluppo considerevole (G. Mezzanotte, D. Ciampoli, Edoardo Scarfoglio), che sfociò nell'opera del "principe" del decadentismo italiano, il pescarese Gabriele D'Annunzio; e in quella, assai minore, ma forse più aderente alle matrici regionali, di F. Romani, A. Borgognoni, ed altri; per raggiungere, infine, il momento di Benedetto Croce, promotore di un idealismo e di una metodologia che sostanzialmente ispirarono la cultura italiana per lunghi decenni. Il gusto dannunziano lasciò tracce evidenti in un certo filone dell'attività letteraria abruzzese, come nei drammaturghi e poeti E. Moschino, R. Pantini, G. Urbani; anche se il dannunzianesimo fu in buona parte superato ad opera di scrittori originali, (A. De Nino, G. Finamore, V. De Bartholomeis, C. De Titta, A. Luciani, M. della Porta, L. Anelli, U. Postiglione, V. Clemente, O. Giannangeli, N. Moscardelli, M. Leij), e con iniziative a carattere nazionale (si pensi all'impresa editoriale dell'editore Carabba, di Lanciano); e infine, grazie alla presenza di storici, come Gioacchino Volpe; di finissimi studiosi di filologia romanza, come Cesare de Lollis; di saggisti, come G. Titta Rosa; e, poi, di narratori (Laudomia Bonanni, Mario Pomilio, Ignazio Silone, Ennio Flaiano, Eraldo Miscia), di poeti (G. Sgattoni, G. Rosato, S. Catalano).

Storia d'Abruzzo

Pino Orefice

I più antichi resti preistorici, rinvenuti soprattutto nella Valle della Vibrata e sulla Maiella, sono costituiti da reperti litici del paleolitico inferiore e superiore. Ritrovate anche testimonianze del neolitico, del bronzo e necropoli riferibili all'età del ferro.
Agli inizi della storia della penisola italica, l'Abruzzo era abitato da varie tribù di origine diversa: Vestini, Marsi, Marrucini, Peligni, Frentani, e via dicendo. Venuti in urto con i Romani, e vinti definitivamente, nel 304 a. C., dopo sanguinose guerre entrarono in alleanza con loro, per dare poi origine (soprattutto i Marsi) alla guerra sociale, nel corso della quale il centro più importante, Corfinio, fu capitale di un improvvisato Stato federale. Ottenuta la cittadinanza, la foro sorte si confuse con quella dell'Italia romana: l'Abruzzo fece dapprima parte della quarta regione augustea (Sabina Samnium), e, molto più tardi, della Provincia Valeria. La regione fu presto evangelizzata e vi fiorì un monachesimo probabilmente autoctono (V sec.). I Longobardi, dopo averla devastata, la aggregarono al Ducato di Spoleto (572), mentre l'antico Sannio (corrispondente all'area che più tardi prenderà il nome di Molise) fece parte del ducato di Benevento. Quando il ducato spoletano fu conquistato dai Franchi, l'Abruzzo ebbe una nuova organizzazione in contee e con la regione interna centrale venne formato il Comitato Autonomo della Marsia o della Marsica (843), con sede a Celano. Infeudato nel XII secolo dal papa Adriano IV al sovrano normanno Guglielmo I, l'Abruzzo entrò a far parte del Regno di Sicilia, passando quindi alla casa di Svevia. Federico Il ne fece una sola provincia (giustizierato), con capoluogo a Sulmona, e fondò l'Aquila, destinata a primeggiare sugli altri centri regionali. Nelle lotte tra Federico II e la Chiesa (XIII sec.), l'Abruzzo ebbe una parte importante, e qui, presso Tagliacozzo, nella Marsica, (1268), si concluse anche l'estremo e sfortunato tentativo di Corradino di Svevia contro Carlo d'Angiò.
Sotto gli Angioini la regione fu annessa come provincia al Regno di Napoli. Passò poi agli Aragonesi, in un seguito di lotte turbinose (assedio dell'Aquila da parte di Fortebraccio di Montone). Alla calata di Carlo VIII e nelle successive guerre tra Francesi e Spagnoli, l'Abruzzo si schierò apertamente con i Francesi, ma dovette alla fine sottomettersi alla dominazione spagnola, che durò dal XVI al XVIII secolo. Agli inizi del 1700, l'Aquila fu devastata da un terremoto, e per breve tempo, durante le lotte fra Austria e Spagna per la successione spagnola, la regione fu occupata dalle armate viennesi. Passò poi, nel 1734, ai Borboni, che la tennero, tranne la breve parentesi napoleonica, fino al 1860. Va sottolineata la resistenza opposta nel periodo 1798-1799 dall'Abruzzo alle truppe francesi di Championnet, e la vera e propria guerriglia che ne seguì, allorché venne proclamata la Repubblica Partenopea. Dopo l'unità italiana, l'intero Abruzzo fu uno dei focolai del brigantaggio politico, stroncato solo dopo una lunga e durissima campagna, culminata nell'assedio e negli eccidi di Civitella. Come regione, fu unito al Molise fino al 1963.

PROFILI DELLE REGIONI DEL MEZZOGIORNO

7. - Abruzzo

Guglielmo Tagliacarne

Generalità

Come dobbiamo chiamare questa regione: Abruzzi o Abruzzo? Come dobbiamo collocarla: nell'Italia centrale o nell'Italia meridionale?
Nella Costituzione questa regione è riportata al plurale; ma nella legge con la quale viene creata la regione, è usato il singolare. I geografi sono incerti. Il Milone intitola il capitolo dedicato a questa regione impiegando il plurale, ma avverte in una nota che "di mio gusto preferirei il singolare, che mi pare starebbe anche ad indicare l'unità della regione".
L'Istituto centrale di statistica in tutte le sue pubblicazioni insiste a parlare di Abruzzi e molti enti seguono l'esempio. Noi non abbiamo alcun dubbio che la regione vada chiamata Abruzzo al singolare, come è stabilito dalla legge regionale. La questione tuttavia non è del tutto risolta.
La seconda questione. riguarda la collocazione. A cagione della sua latitudine geografica, si vorrebbe da qualche studioso, come ricorda lo stesso Milone, considerare la regione abruzzese parte dell'Italia centrale, come il Lazio che l'affianca, anziché del Mezzogiorno. Ben lo si potrebbe anche perché la regione si stende in realtà lungo l'Appennino centrale. Diversa è la situazione del Molise, ma ora che il Molise è staccato dall'Abruzzo, è molto dubbio che la nostra regione debba essere compresa nell'Italia meridionale. Si consideri che l'Abruzzo, anche dal punto di vista economico, gravita principalmente verso il Lazio, mentre il Molise gravita sulla Campania.
Ad ogni modo non vogliamo perdere tempo in questioni formali. Noi usiamo il nome al singolare e collochiamo la regione nell'Italia meridionale come viene fatto generalmente.
Il professor Benedetto Barberi, già direttore generale dell'Istituto centrale di statistica, e abruzzese di nascita, di carattere e di sentimento riconosce nella regione quattro grandi aree corrispondenti molto all'ingrosso ai quattro settori di un piano cartesiano individuato da un sistema di coordinate oblique N-SE e SW-E, le prime appoggiate alla dorsale appenninica e le seconde individuate dalla congiungente il bacino del Fucino alle Valli Peligna-Pescara.
L'asse che scende obliquamente da Nord verso Sud si appoggia alle catene della Laga e del Gran Sasso, lasciando ad Est il massiccio della Maiella. Il quadrante NW è per intero occupato dall'Acrocoro aquilano che si estende dal bacino di Campotosto all'Alto Aterno ed all'Altopiano detto delle Rocche, i primi due con le spalle appoggiate alla catena della Laga e del Gran Sasso ed il terzo a quella del Velino-Sirente.
Il quadrante SW si identifica con il bacino del Fucino.
Il Barberi ricorda che lungo i secoli i collegamenti tra queste varie parti del grande plesso abruzzese furono rappresentati da tratturi scendenti dall'altopiano aquilano - il tetto dell'Abruzzo - lungo i fianchi dei fiumi verso i pascoli del Tavoliere della Puglia e della campagna romana. Questo, secondo il Barberi, spiegherebbe la formazione di distinte comunità socio-economiche e l'uso del nome della regione al plurale.
Ci si trova di fronte ad un ambiente geofisico frastagliatissimo che si riflette in condizioni socio-economiche e di modi di vita assai differenziati.
Problemi e usi antichi hanno raffrenato sinora uno sviluppo di tutta la regione: sviluppo che ora si sta aprendo con concezioni moderne e promettenti, ma purtroppo lente.

Reddito

L'Abruzzo è una regione povera, anche dopo che da esso si è distaccato il Molise. Quest'ultimo è veramente di una povertà estrema e si accompagna, per livello economico, alla Basilicata e alla Calabria: queste sono le tre sorelle più povere dell'Italia. L'Abruzzo, avendo "perduta" la parte più povera è salito di un gradino.
Il reddito per abitante (anno 1975) è stato calcolato per l'Abruzzo in L. 1.484.000, che corrisponde all'incirca allo stesso livello della Sardegna (lite 1.493.000). Nel Mezzogiorno queste due legioni, Abruzzo e Sardegna, occupano i primi posti, ma si trovano tuttavia nel "girone" dei poveri, come si riscontra per tutta l'ampia area al sud di Roma.
L'agricoltura occupa ancora una parte importante nell'economia abruzzese: il reddito prodotto da questo settore costituisce il 16 per cento del reddito complessivo della regione, contro una quota del 9 per cento per il complesso nazionale e il 16 per cento, nella media del Mezzogiorno.
La quota del reddito spettante all'attività industriale è in Abruzzo del 27 per cento, pari alla media del Mezzogiorno, contro il 37 per cento per il totale dell'Italia.

L'Abruzzo non può fare da sè

La produzione dell'Abruzzo non è sufficiente a coprire il fabbisogno della regione per consumi ed investimenti. Infatti il prodotto della regione è stato nel 1975 di 1.798 miliardi di lire, mentre i consumi sono stati 1.742 miliardi (di cui 1.407 miliardi per le famiglie e 335 per i servizi collettivi) e gli investimenti sono ammontati a 459 miliardi di lire. Pertanto gli impieghi (consumi e investimenti) sono saliti a 2.201 miliardi di lire: questa somma supera di 403 miliardi quella della quantità del prodotto: essa corrisponde (come saldo) al valore delle importazioni da altre regioni italiane e dall'estero.

Una regione che si spopola

L'Abruzzo è una regione che tende a spopolarsi per effetto dell'emigrazione: dal 1951 al 1971, cioè fra gli ultimi due censimenti della popolazione, la regione è scesa da 1.277.207 abitanti a 1.166.694 abitanti con una perdita di 110.513 unità. Questo risultato deriva da un aumento di 197.555 unità come differenza fra il numero dei nati e quello dei morti e da una diminuzione di 308.068 che costituisce la perdita per emigrazione.
E' da notare che delle quattro province abruzzesi solo quella di Pescara ha avuto negli ultimi venti anni un aumento di popolazione, mentre le altre si sono demograficamente impoverite. L'Aquila ha sofferto la diminuzione più rilevante. E' quindi confermato il diverso comportamento delle due "capitali" dell'Abruzzo: una segna un declino, l'altra un'espansione.
Le collettività abruzzesi che vivono all'estero sono numerose: le più importanti si trovano in Europa, in America e in Australia.
Per altre collettività, pure cospicue (come quella negli Stati Uniti) mancano i dati.
Gli abruzzesi all'estero mantengono un forte spirito che li unisce, come ne fanno fede le varie associazioni e i giornali di ispirazione abruzzese.

Il "paniere" di una famiglia povera

La spesa mensile per famiglia è risultata di lire 347.746, contro 367.426 lire nella media nazionale.


Questi dati confermano che il livello di consumi e dì spese dell'Abruzzo è sensibilmente inferiore alla media nazionale. Si ha la riprova di una regione povera, ma non di molto al di sotto della media italiana.
Allo stesso risultato si perviene considerando un gruppo di spese e di consumi per abitante: è un gruppo che comprende articoli non alimentari che riflettono le condizioni di vita in generale.


Una caratteristica che rispecchia le ondizioni economiche della popolazione abruzzese si ricava dai dati sulle quantità e qualità del bilancio alimentare delle famiglie. Per l'Abruzzo si nota una quota più elevata della media nazionale per il pane e la pasta e il pollame (consumo dei contadini) e una forte contrazione per il consumo della carne bovina.

Agricoltura

Le principali produzioni dell'agricoltura dell'Abruzzo sono (quantità vendibile, anno 1975):

Industria

Nel settore delle industrie manifatturiere sono state censite alla data del censimento (25 ottobre 1971) 12.934 aziende con 61.284 addetti. Le cifre più importanti riguardano i seguenti rami:

Sono anche numerose le industrie delle costruzioni rappresentate da 2.959 aziende e 22.934 addetti.
Negli ultimi anni si sono sviluppate nume. rose aziende industriali, specialmente di media e piccola dimensione. Una sintesi di tale sviluppo viene confermata dall'incremento del consumo di energia elettrica che nel 1976 ha avuto in Abruzzo un aumento del 45,3 per cento contro un aumento del 10,6 per cento nella media di tutta Italia.

Carenza di case nuove

Anche l'Abruzzo, come tutto il resto dell'Italia lamenta un'acuta crisi dell'attività delle costruzioni, specialmente dell'edilizia abitativa. Nel 1976 sono state ultimate 2.636 abitazioni, contro 8.500 matrimoni. Questo grave squilibrio fra le due cifre è un chiaro indice della carenza di abitazioni, che purtroppo dura da molti anni e si aggrava sempre più. Le case non si costruiscono per varie cause: 1) l'elevato costo di costruzione, 2) la difficoltà dei necessari finanziamenti, 3) la politica demagogica che trova un appoggio nella formula dell'equo canone.
Un'attività notevole della regione è costituita dal turismo attratto dalle bellezze naturali e dal clima favorevole e salubre. Le giornate di frequenza dei clienti negli alberghi e negli esercizi alberghieri sono state nei primi dieci mesi del 1976, 14.729, pari a circa il 6 per cento del totale nazionale. Si ricordi che la popolazione abruzzese è soltanto il 2,2 per cento del totale dell'Italia: la differenza delle due percentuali è molto ampia e conferma l'importanza del turismo in Abruzzo.
Infine non si può ignorare una forma di attività che ha antiche e gloriose origini nell'Abruzzo: l'artigianato, che è fra i più sviluppati e i più rinomati anche rispetto alle altre regioni italiane. Le magnifiche ceramiche, i lavori in pelle, le vetrate artistiche, le cristallerie e una originale e fantasiosa creazione nella moda femminile costituiscono un prezioso patrimonio per la nostra regione.

Commercio estero

Sebbene la regione non sia economicamente fra le più importanti, essa ha un commercio estero non trascurabile. Disponiamo delle cifre rese note dall'Unioncamere e Ufficio Italiano Cambi per i primi sei mesi del 1976, dalle quali risultano i valori valutari riguardanti le operazioni di importazioni e di esportazioni avvenute direttamente nella regione.

 

Come si vede le esportazioni sono notevolmente superiori alle importazioni; quindi la bilancia commerciale (secondo i movimenti valutari) è nettamente positiva. Però fra il 1975 e il 1976 le importazioni sono aumentate molto meno che le esportazioni.
Le merci più importanti esportate dall'Abruzzo riguardano legumi e ortaggi, frutta, oggetti di vestiario e abbigliamento (calzature), oggetti di pelle e di cuoio; vetrerie (specialmente verso la Francia e la Germania occidentale); macchine, maglierie (specialmente da Teramo), ceramiche (celebri per il loro valore artistico).

Scarsa delinquenza

Piace chiudere questa breve nota sull'Abruzzo con una segnalazione che fa onore a questa nobilissima regione. L'Abruzzo presenta un indice di criminalità di 40,6, fatta uguale a cento la media nazionale. Si tratta di un indice calcolato in modo ponderato per tener conto della gravità dei delitti, fornitoci dal Consiglio Superiore della Magistratura (anno 1974).
Pure la delinquenza minorile è fortemente al di sotto di quella della media nazionale. Detto indice è257,3 in Abruzzo contro 443,6 in Italia.
Anche gli ultimissimi dati sulla statistica dei delitti denunciati nel 1976 segnano una diminuzione, in contrasto con la situazione di tutta Italia che presenta un forte aumento. La diminuzione riguarda tanto i delitti in totale, quanto quelli contro la persona e quelli contro il patrimonio.
Se per tutta l'Italia si confermasse il livello di criminalità di questa regione, il numero dei delitti in Italia scenderebbe a meno della metà di quello attuale.
Evviva l'Abruzzo!

 


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