Problemi di finanziamento
della spesa e del disavanzo pubblico.
La dinamica della
spesa pubblica in Italia si è sviluppata senza rispettare le
compatibilità tra esigenze di spesa e limiti di entrata in funzione
dell'equilibrio macroeconomico; è mancato cioè un quadro
di programmazione e di definizione delle scelte in raccordo con una
politica fiscale adeguata e con lo sviluppo delle disponibilità
finanziarie dell'economia nel suo complesso.
Dal momento in cui la dimensione della spesa si è ampliata in
misura crescente, rapportandosi, rispetto al reddito, sui livelli degli
altri paesi europei, si sono accresciuti le tensioni e gli squilibri
derivanti dal non rispetto di quei vincoli e in primo luogo dal mancato
adeguamento dell'imposizione fiscale.
I raffronti con gli altri paesi della Cee dimostrano, almeno per il
periodo di cui si dispone di dati omogenei e cioè fino al 1974,
che l'Italia ha il più basso rapporto prelievo obbligatorio/prodotto
interno lordo (dove per prelievo obbligatorio è intesa la somma
delle imposte e dei contributi sociali effettivi).
Tra il 1969 e il 1974 si è anzi ampliata la distanza tra l'Italia
e la media degli altri paesi, anche se analizzando le due componenti
si osserva come per le imposte si sia avuta, nel periodo in esame, una
riduzione in, rapporto al reddito, come in Francia e nel Regno Unito,
e un aumento sensibile dei contributi sociali (cfr. tab, n. 1).
Dall'analisi delle
entrate, nel quinquennio considerato, emerge: a) una flessione dell'imposizione
diretta sulla composizione delle entrate, in contrasto con le tendenze
negli altri paesi e quindi un accentuarsi della distanza dalla media
europea; b) una flessione anche dell'imposizione indiretta, in parallelo
con gli altri paesi; C) una dinamica relativamente più accentuata
della contribuzione sociale.
L'andamento di questi fenomeni è relativo al periodo più
critico della finanza pubblica nella generalità dei paesi ed
inoltre è da sottolineare che, agli inizi degli anni '60, la
pressione fiscale in Italia era analoga a quella media dei principali
paesi dell'Ocse (circa il 27% nel 1962). (cfr. tab. n. 2).
Nell'arco di 10-12
anni la capacità impositiva dello Stato ha quindi rivelato una
rigidità rispetto al reddito che non ha equivalente in nessun
altro paese moderno. Il peso rilevante dei contributi sociali, non soggetti
a criteri di progressività, e il fatto che gran parte delle imposte
dirette derivano dalla imposizione sui redditi da lavoro, e in particolare
da lavoro dipendente, evidenzia il carattere iniquo e di classe del
sistema tributario italiano.
Altrettanto evidente deve risultare che non solo vanno superati i contenuti
cui si informa la politica fiscale, ma che, dati i livelli raggiunti
dalla spesa e dal disavanzo pubblico, ci si deve proporre come obiettivo
l'adeguamento della pressione fiscale in modo che le entrate arrivino
a coprire le spese correnti, e non si determini quindi un "risparmio
negativo" della Pubblica Amministrazione. E devono pure prospettarsi
condizioni tali che, decrescendo il ritmo di accumulazione del settore
privato, possa essere lo Stato a promuovere l'accumulazione stessa.
Andamento dei
consumi nel periodo 1960 - 1975
Prima di affrontare
alcune considerazioni sulla spesa pubblica per consumi sociali, conviene
esaminare succintamente l'andamento complessivo dei consumi nel periodo
1960-1975. Periodo questo estremamente rappresentativo sia di un certo
tipo di espansione, sia dell'insorgere della crisi. Ma significativo
anche perché caratterizzato da profonde trasformazioni sociali
dell'Italia, da vaste modificazioni nel campo del costume, dall'emergere
di nuovi soggetti sociali, dall'insorgere di nuovi bisogni.
Nel periodo fra il 1960 e il 1974 la incidenza dei consumi finali nazionali
sul reddito nazionale lordo disponibile passa dal 75,5% del 1960 all'80%
del 1974 (1), e all'80,2% nel 1975 (2).
All'interno di tale crescita complessiva si sposta la composizione interna
dei consumi. Nel 1960 i consumi delle famiglie ammontano al 62,9%; quelli
delle Amministrazioni pub. bliche al 12%; quelli delle Istituzioni sociali
private allo 0,6%. Nel 1974 i consumi delle famiglie coprono il 65,7%;
i consumi delle Amministrazioni pubbliche il 14%; quelli delle Istituzioni
sociali private lo 0,3% (3). Secondo i dati ISTAT (4) fra il 1960 e
il 1975 i consumi delle famiglie sono aumentati (a prezzi costanti)
del 103,6% con il massimo incremento fra il 1963 e il 1970 e un decremento
(per la prima volta negli ultimi 25 anni) nel 1975 rispetto al 1974
(sempre a prezzi costanti) pari all'1,8%. Nello stesso periodo i consumi
collettivi aumentano del 69% rispetto al 1960, e dello 0,8% nel 1975
rispetto all'anno precedente; con un incremento inferiore tuttavia a
quello intercorso fra il 1973 e il 1974.
Da questi dati può rilevarsi un primo elemento: il maggiore incremento
cioè dei consumi delle famiglie rispetto ai consumi pubblici.
Se poi i consumi collettivi vengono rapportati alla spesa pubblica essi
appaiono in diminuzione, passando dalla punta massima del 42,1% del
1964 al 36% del 1974 (5). Ciò avviene in forza della maggiore
incidenza che all'interno della spesa pubblica vengono man mano assumendo
i trasferimenti alle famiglie che dal 1967 cominciano a superare la
cifra destinata ai consumi pubblici.
Nel 1975 su un totale di uscita delle Amministrazioni pubbliche di 51.906
miliardi i trasferimenti alle famiglie per prestazioni sociali arrivano
a 21.655 miliardi, di contro a 15.228 miliardi per consumi collettivi
(6).
I trasferimenti alle famiglie per prestazioni sociali vengono così
a costituire il 41,7% della spesa pubblica, di contro al 29,33% per
consumi collettivi.
Da questi primi dati possono derivarsi alcune prime considerazioni generali.
Se la situazione italiana viene rapportata, così come hanno fatto
alcuni ricercatori, a quella di altri paesi ne risulta che al '75 i
consumi pubblici in percentuale rispetto al prodotto nazionale lordo,
erano superiori a quelli della Francia e della Germania, inferiori a
quelli dell'Inghilterra; mentre per quanto riguarda i trasferimenti
alle famiglie, essa si trovava al disotto della Francia e della Germania,
al disopra dell'Inghilterra. Nel confronto tuttavia si deve tener conto
che per quanto riguarda la Gran Bretagna, sono comprese nei consumi
pubblici le spese per l'assistenza sanitaria, che in Italia vengono
da un lato comprese nei trasferimenti.
LA SPESA PREVIDENZIALE
Entità
complessiva della spesa previdenziale e stato economico-patrimoniale
degli Enti
In base ai dati
forniti dalla Relazione Annuale sulla situazione economica del Paese,
nel 1975 la spesa relativa a prestazioni economiche previdenziali ha
complessivamente sfiorato i 18 mila miliardi.
Di questi 18 mila miliardi, oltre 14 mila sono erogati da oltre 40 Enti
e Casse mutuo-previdenziali; più di 3 mila miliardi rappresentano
invece le spese sostenute per i dipendenti dello Stato, degli Enti Locali
e delle Aziende Autonome:
Compiendo un esame dettagliato dell'attività degli Enti o Casse
di previdenza, i soli per i quali la "Relazione" offre sufficienti
elementi di conoscenza (7), il complesso delle prestazioni economiche
da questi erogate risulta essere il seguente:
Nonostante che a tali prestazioni provveda un grande numero di Enti,
la maggioranza di questi eroga prestazioni di modesta entità;
tre soli Enti, infatti, totalizzano il 93% della spesa: si tratta dell'INPS,
dell'INAIL e dell'INAM (8), che hanno complessivamente speso per prestazioni
13.599 miliardi di cui ben 12 mila a carico dell'INPS.
Molto diverso è anche lo stato economico e patrimoniale degli
Enti: l'INPS, ad es., ha chiuso il consuntivo 1976 con un disavanzo
di 1.136 miliardi: questo importo, tuttavia, è la risultante
di andamenti economici assai diversi delle 23 gestioni facenti capo
all'INPS di cui alcune in equilibrio o in attivo, come il Fondo Pensioni
Lavoratori Dipendenti, ed altre che presentano deficit allarmanti, come
si vedrà meglio in seguito.
Per converso, altri Enti o Casse di rilevante o scarsa incidenza hanno
accumulato ingenti attivi patrimoniali, specie in conseguenza del perdurante
sistema tecnico-finanziario della capitalizzazione.
I due casi-limite sono costituiti dall'Istituto di Assicurazione contro
gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) e dalla Cassa Previdenza dei Dipendenti
degli, Enti Locali (CPDEL). L'INAIL assicura 9 milioni e 600 mila lavoratori,
eroga 1.057.120 pensioni (1974) ed ha un accantonamento patrimoniale
alla fine del 1975 di 2.309 miliardi. Si noti che questo istituto ha
registrato una entrata di 1.118 miliardi ed una uscita di 978; avrebbe
dovuto contabilizzare un avanzo di gestione di 140 miliardi; ma ne ha
capitalizzati 272, cosicchè il suo bilancio appare in deficit
di 132 miliardi.
Il reddito di tale ingente patrimonio è pressoché nullo
o scarsissimo in quanto prevalentemente assorbito dalle spese di gestione;
nel 1975, ad esempio, i proventi derivanti dai cospicui investimenti
immobiliari sono di importo pari alle spese sostenute per la loro amministrazione
(7 miliardi circa), mentre le spese per la gestione dei beni mobiliari
è pari alla metà del reddito da questo prodotto (42 miliardi
su 83).
Un discorso analogo può essere fatto per la CPDEL che assicura
849 mila lavoratori ed eroga 208 mila pensioni (1974), ma possiede un
accumulo patrimoniale di 2.098 miliardi (1975). Persino la piccola Cassa
di Previdenza dei Medici ENPAM, che assicura 115 mila di essi e che
eroga 21 mila pensioni, ha un accantonamento patrimoniale di 542 miliardi.
Attualmente il numero complessivo delle pensioni erogate a vari titoli
sale a 15.713.221. Le pensioni previdenziali sono 12.999.709 ad esse
si aggiungono le 853.466 pensioni sociali erogate dall'INPS; le 321.722
pensioni alle varie categorie di invalidi civili a carico del Ministero
dell'Interno; le pensioni di guerra (916.886 pensioni di guerra e 621.438
assegni di Vittorio Veneto). Si erogano altresì assegni familiari
per un totale di 2.074 miliardi e altri assegni e prestazioni di entità
economica minore da parte di Enti e Amministrazioni varie.
Nel complesso ci troviamo di fronte a un sistema fortemente caratterizzato
da una ibrida commistione fra previdenza e assistenza e da interventi
realizzati in alternativa a scelte occupazionali e produttive di politica
economica e sociale. Tipico in questo senso è il caso delle pensioni
di invalidità che costituiscono il 39,75% del totale delle pensioni
INPS; rivelatore del loro carattere compensativo della soluzione di
grandi problemi economici è il fatto che il 51% delle pensioni
INPS erogate nel Mezzogiorno è costituito da pensioni di invalidità
e il fatto che al 1974 il 77,3% delle pensioni dei coltivatori diretti
sia costituito da pensioni di invalidità: monetizzando in sintesi
le aspettative di sviluppo (9).
Il problema è anzitutto della proliferazione e frammentazione
delle competenze e delle strutture operanti in campo assistenziale nel
cui insieme si disperde, e in larga misura si annulla, la funzione stessa
della spesa pubblica. Operano in materia non solo la Presidenza del
Consiglio e il Ministero dell'Interno, ma i Ministri del Lavoro, della
Giustizia, del Tesoro, della Sanità, della Difesa, ed altri ancora;
operano in questo campo 55 Enti nazionali elencati nel testo unificato
di riforma dell'assistenza elaborato tra il '73 e il '75 dal Comitato
ristretto della I. e II. Commissione della Camera; di questi 36 assistenziali
e 19 misti con attività assistenziali. Di questi solo uno per
ora è stato sciolto, l'ONMI, nel 1975.
La giungla degli Enti non comporta tutta via solo l'incessante espansione
della spesa a carico dello Stato o della produzione, ma un sistema di
sprechi incontrollabili e una sproporzione tra mezzi e risultati sociali.
Il costo degli apparati burocratici assorbe spesso fino a 70-90% delle
entrate. Negli ultimi anni gli aumenti dei contributi statali agli Enti
nazionali vengono motivati quasi soltanto con spese di personale. Operano
d'altronde nel campo assistenziale, oltre alle Regioni, Province e Comuni,
più di 25.000 Enti assistenziali locali (8.000 ECA; 9.000 IPAB;
7.000 Patronati Scolastici, ecc.). L'improduttività della spesa
si riproduce spesso anche negli Enti assistenziali operanti a livello
locale seppure in modi diversi.
Il giudizio del CENSIS sugli Enti in genere è preciso: "si
può senza tema di smentita affermare che ogni Ente ha finito
addirittura col perdere di vista il proprio fine statutario. La stragrande
maggioranza di energie di cui ha disposto sono andate a alimentare se
stesso, la propria abnorme struttura burocratica, schiere sempre più
numerose di dipendenti deprofessionalizzati e demotivati". "La
figura del cittadino destinatario del servizio è sempre più
sfumata."
Il numero delle pensioni previdenziali non corrisponde tuttavia a quello
dei pensionati che, ovviamente, è sensibilmente inferiore anche
se non può essere precisato (duplicati e sovrapposizioni).
La diffusione delle pensioni di invalidità è particolarmente
accentuata nelle zone economicamente depresse (Mezzogiorno), nei settori
produttivi più deboli (agricoltura), tra le forze di lavoro maggiormente
esposte ai rischi di rapporti di lavoro precario (donne). La arretratezza
economico-sociale di vaste zone del Paese ha inoltre offerto un terreno
proficuo alla assegnazione discrezionale, paternalistica e clientelare,
di numerose pensioni di invalidità.
Il caso limite di
incidenza delle pensioni di invalidità è costituito dalla
gestione pensionistica dei coltivatori diretti:
La crisi finanziaria delle gestioni pensionistiche dei commercianti,
degli artigiani e, soprattutto, dei coltivatori diretti ha raggiunto
livelli allarmanti e rischia di compromettere - a breve scadenza - il
sistema pensionistico e il complesso delle attività INPS: oltre
6 mila miliardi di deficit alla fine dell'anno in corso (fonte INPS):
Se nessuna misura
intervenisse a modificare questa situazione, secondo le previsioni dell'INPS
il disavanzo della situazione patrimoniale di queste gestioni sarebbe
destinato a raggiungere i seguenti livelli (in miliardi):
1978: -9.100
1979: -12.461
1980: -16.315
di cui 12.154 per la gestione Coltivatori Diretti.
In conseguenza di ciò, la situazione patrimoniale complessiva
dell'INPS presenterà alla complessiva dell'INPS presenterà
alla fine del 1980 un disavanzo di 12 mila 282 miliardi.
Il confronto fra la spesa sanitaria mutualistica italiana e la spesa
del Servizio Sanitario della Gran Bretagna, contenuto nella comunicazione
(v. pag. 7), è confermato dalla analisi contenuta in uno scritto
di Antonio Brenna apparso su Scienze, da cui ricaviamo:
L'Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) in una sua pubblicazione
dà notizia delle spese sanitarie pubbliche e private in alcuni
paesi.
Se ne ricava il seguente confronto relativo all'anno 1971:
Il maggior incremento di spesa tra le diverse componenti della spesa
sanitaria mutualistica del nostro Paese è registrato dal costo
dei farmaci.
dal 1974 al 1975: +32,08%
nel l. semestre 1976: +43,84%
(rispetto al l. semestre 1975).
L'incremento
della spesa nel decennio 1967-1977
Anche se con inevitabile
approssimazione è, tuttavia, possibile ricostruire la spesa pubblica
globale per l'assistenza e il suo incremento nel corso dell'ultimo decennio.
La citata inchiesta parlamentare del 1971 ha calcolato per l'anno 1967
un ammontare di 1.018.169 milioni (10). Considerando che con il 1969
è entrata in vigore la pensione sociale agli ultrasessantacinquenni
privi di assicurazione previdenziale e di sufficiente reddito, si può
affermare che agli inizi degli anni '70 la spesa pubblica complessiva
di natura assistenziale superava già i 1.000 miliardi.
Negli anni seguenti essa è andata progressivamente aumentando.
Per limitarci ad alcuni settori del bilancio dello Stato esaminati dal
CENSIS, la spesa, ad es., impegnata dall'Amministrazione statale centrale
in erogazioni dirette per assistenza gratuita è passata da circa
215 miliardi nel 1971 a circa 274 nel '74; quella per gli Enti pubblici
da circa 132 nel '71 a 144 nel '74; quella per gli ECA da 44 nel '71
a più di 67 nel '74. La spesa dei Comuni è aumentata da
203 miliardi circa nel 1968 a 301 nel '72; quella delle Province, nello
stesso periodo, da 203 a 343. Nell'insieme, la spesa assistenziale pubblica
veniva valutata nel 1974 intorno ai 1.800 miliardi.
Oggi si può ritenere che la spesa globale - considerando anche
solo i riflessi dell'aumento del corso della vita e della contingenza
- superi notevolmente i 2.000 miliardi.
L'improduttività della spesa si riproduce anche, sia pure in
modo diverso, negli Enti assistenziali operanti a livello locale: gli
ECA, la cui spesa media per assistito fu calcolata relativamente al
1972 in L. 18.000 annue; i Patronati Scolastici la cui spesa media per
assistito in quello stesso anno non superava le 41 lire al giorno; le
9.000 IPAB che, pur possedendo spesso ingenti patrimoni da cui non traggono
che rendite minime, sopravvivono grazie alle rette pubbliche pagate
dallo Stato, dagli Enti e, soprattutto, dai Comuni e dalle Province
per il ricovero degli assistiti negli istituti che esse gestiscono.
Frammentazione delle competenze e molteplicità degli Enti diventano,
così, strumento essenziale sia della dispersione di una spesa
che si suddivide in una miriade incontrollabile di canali di erogazione
(25-30.000?), sia dell'espansione dell'istituzionalizzazione assistenziale,
con tutto ciò che essa comporta, anche sul piano finanziario.
Situazione ospedaliera
Il numero totale
dei posti - letto ospedalieri (pubblici generali, specializzati, sanatoriali,
psichiatrici e privati) ha superato il livello di 600 mila con una media.,
quindi di 11 per mille.
Essi sono ripartiti in 2.253 Istituti di ricovero e cura.
Di essi: settore pubblico
1) il 62% appartiene a Istituti di cura pubblici, generali e specializzati;
2) il 21% appartiene a Istituti di cura pubblici sanatoriali e psichiatrici;
settore privato
1) il 10% appartiene a Istituti di cura generali, privati;,
2) il 7% appartiene a Istituti di cura privati sanatoriali e neuro-psichiatrici.
Inoltre:
- il 27% degli Istituti (4,3% dei posti-letto) hanno ampiezza uguale
o inferiore a 50 posti-letto;
- il 47,5% degli Istituti (.25% dei posti-letto) hanno ampiezza compresa
fra 51 e 200 posti-letto;
- il 15,6% degli Istituti (23% dei posti-letto) hanno ampiezza fra 201
e 500 posti-letto;
- il 6,4% degli Istituti (20,5% dei posti-letto) hanno ampiezza fra
501 e 1.000 posti-letto;
- il 3,5% degli Istituti (27,2% dei posti-letto) hanno ampiezza superiore
ai 1.000 posti-letto.
Nelle prime due classi di ampiezza (fino a 200 posti letto) è
compreso il 74% degli Istituti (col 30% dei posti-letto).
Nelle restanti classi di ampiezza (oltre 200 posti-letto) è compreso
il 26% degli Istituti (col 70% dei posti-letto).
Tale rilievo dimostra:
l. - La frantumazione della rete ospedaliera in una grande quantità
di piccole istituzioni (oltre 1.600) di dubbia efficienza, di scarsa
utilizzazione (poco più del 60%) e quindi incapaci di funzionare
da filtro rispetto alla tendenza generalizzata verso gli ospedali centrali;
2. - La concentrazione del massimo numero di posti-letto in pochi ospedali
di grandi dimensioni (280 mila posti-letto in 220 ospedali) con utilizzazione
superiore al 90% e con tutte le deficienze derivanti dalla congestione.
Nel bilancio consolidato dello Stato e delle Aziende Autonome le previsioni
di spesa per gli interessi sono passate da 3.643 miliardi di lire nel
1976 a 6.103 miliardi nel 1977, con un aumento del 67,5 per cento. Nella
Relazione sulla stima della previsione di cassa della gestione del bilancio
per il 1977, che il ministro Stammati ha presentato al Parlamento il
29 gennaio scorso, sono previsti pagamenti per 7.500 miliardi relativi
agli interessi sui debiti. Secondo altre valutazioni, riguardanti il
bilancio consolidato di tutta la Pubblica Amministrazione (Stato, Enti
territoriali, Enti di previdenza e altri Enti pubblici) l'onere per
gli interessi passivi passerebbe da 6.900 miliardi nel 1976 a 9.300
miliardi nel 1977, con un aumento di 2.400 miliardi, che è pari
al 34,8 per cento. Altro fatto da segnalare: nel 1977 la spesa per interessi
passivi si avvicina ad essere del 70 per cento superiore a quella per
gli investimenti lordi di tutta la Pubblica Amministrazione (9.300 miliardi
i primi contro 5.550 miliardi i secondi); frattanto l'aumento degli
interessi passivi (2.400 miliardi) è esattamente il doppio dell'aumento
degli investimenti (1.200 miliardi).
Per quanto riguarda il Mezzogiorno, l'intervento straordinario - per
il cui superamento alla scadenza del 1980 occorre sin da ora lavorare
- la legge n. 183 del 1976 consente di passare da una spesa frammentaria
e dispersiva a una linea di interventi pubblici chiaramente finalizzati
a obiettivi economico-sociali quali l'aumento dell'occupazione e del
reddito, la produttività delle risorse impiegate, cioè
quella linea alla quale occorre informare l'impostazione e la realizzazione
dei progetti speciali e che, nella proposta dei comunisti, debbono segnare
una rottura netta con quanto predisposto in base alla legge 853 (che
pur segnò un passo avanti sotto questo profilo e quello del diritto
di iniziativa delle Regioni). I progetti speciali debbono essere ridotti
a quattro, concentrandoli nel settore agricolo (forestazione, irrigazione,
zootecnia, sistemi idrici integrati).
Il rigore nella selezione e nella concentrazione della spesa pubblica
in questa direzione si impone con forza e come condizione prima per
non vanificare quanto di nuovo vi è nella legge: infatti sui
18.209 miliardi di spesa complessivamente autorizzata, la quota da destinare
alle nuove scelte nel programma quinquennale è già di
per se ridotta a 10.522 miliardi impegnabili, di cui 3.930 già
vincolati nella destinazione dalla legge o da delibere del CIPE. Sui
rimanenti 6.592 miliardi, 2.080 sono destinati a credito agevolato al
settore industriale quale quota del 65% sui 3200 miliardi del fondo
nazionale per gli incentivi creato dal DPR 902 in base alla delega contenuta
nell'articolo 15 della legge 183.
Per progetti speciali, infrastrutture industriali, incentivi in conto
capitale su cui incardinare le nuove scelte resterebbero disponibili
4.512 miliardi.
Il Prof. Saraceno, nella relazione al Ministro per il Mezzogiorno nel
quadro dei lavori preparatori per il programma quinquennale previsto
dall'articolo 1 della legge, presenta il seguente risultato dell'esame
delle disponibilità e delle destinazioni già vincolate:
I - Totale delle somme spendibili nel quadriennio 1977-1980 L. 12.051,2
miliardi
II - Somme spendibili già impegnate L. 7.422,4 miliardi
III - Somme spendibili non impegnate ed utilizzabili con il nuovo programma
L. 4.628,8 miliardi
Ipotizzando tassi di inflazione decrescenti (1977, 20%; 1978, 10%; 1979,
8%,; 1980, 5%.) il prof. Saraceno conclude che " ... le somme utilizzabili,
in termini reali, per nuovi impegni nel quadriennio risultano pari a
2.694 miliardi".
Se viene perciò a mancare un deciso indirizzo fortemente selettivo,
la spesa pubblica straordinaria per il Mezzogiorno finirà per
essere ancora una volta fattore di sperpero, di crisi e di inflazione
anche nel quinquennio futuro. Questa è la posta politica che
si gioca dinanzi al Paese, non al solo Mezzogiorno.
NOTE
1) Annuario di contabilità nazionale, 1975
2) Relazione economica del Paese (P. 102)
3) "Organismi senza scopo di lucro, dotati di personalità
giuridica, che producono servizi non destinabili alla vendita a favore
di gruppi particolari di famiglie, le cui risorse sono costituite da
versamenti volontari da redditi da capitale e trasferimento dal settore
pubblico".
4) ISTAT - I conti degli italiani.
5) Elaborazione su dati ISTAT. Annuario di contabilità nazionale.
6) l conti degli Italiani. I consumi collettivi comprendono i servizi
per la istruzione, la sanità, l'assistenza, la difesa nazionale,
la giustizia, ecc., con un progressivo aumento delle prime tre voci.
7) Per i dipendenti pubblici non si dispone di un quadro analitico preciso.
8) Questi ultimi enti sono considerati per il solo aspetto di enti erogati
dì indennità economiche sostitutive del salario in caso
di malattia o infortunio.
9) I dati forniti dalla Relazione Economica generale sul complesso delle
prestazioni previdenziali erogate nel Paese indica per il 1975 che le
prestazioni economiche coprono il 28,2% della spesa, le prestazioni
sanitarie (escluso ospedaliere) il 26,8%, le prestazioni varie il 2,5%
con una variazione percentuale in più rispetto al 1974 del 28,2%
per quanto riguarda le economiche, il 26,8% in più le sanitarie.
10) Così articolato:
Amministrazione centrale statale: 349.953,3 milioni.
Enti pubblici nazionali: 101.445,1.
Enti territoriali (ECA e IPAB): 222.461.
Centri dipendenti da Enti pubblici locali: 58.133.
Enti locali: 344.299.
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