I monaci greci,
immigrati a più riprese, esercitarono una notevole influenza, oltre
che nella vita spirituale, nell'economia agricola. Documenti della curia
neretina, testimonianze storiche e cronachistiche su S. Anastasia e S.
Eleuterio in Matino.
In Terra d'Otranto
e nella Calabria meridionale il processo di penetrazione greca si manifestò
radicalmente, in quanto queste zone, a differenza della Puglia e della
Lucania centro-orientale, rimasero bizantine anche dopo l'invasione
dei longobardi. Causa determinante dell'influenza del bizantinismo in
queste regioni fu l'espansione monastica greca; la Puglia coeva fu paragonata
dal Rodotà addirittura alla Tebaide, con la quale la nostra terra
presenta innegabili affinità nell'aspetto geofisico e naturale,
per cui la diffusione monastica fu favorita dall'agevole acclimatamento
del monaci.
La prima corrente migratoria si fa risalire all'inizio dell'VIII secolo.
dapprima con i monaci Melkiti, provenienti dall'Egitto e dalla Siria,
e, successivamente, con i loro avversari, i monofisiti Giacobiti e Copti.
Le opere d'arte di quest'epoca, infatti, (come i mosaici di Casaranello),
si riconnettono allo stile dell'arte siriaca. Alcuni spostamenti dei
monaci non venivano però imposti da un reale stato di necessità,
bensì dal loro amore per i ritiri solitari e dal desiderio di
distacco dalla vita terrena.
Nuove migrazioni si verificarono con le persecuzioni iconoclastiche
promosse da Leone III Isaurico, e, infine, con l'invasione saracena
in Sicilia: in quest'occasione, alcuni monaci greci risalirono l'Italia
meridionale e si spinsero fino alla gravina dominata da Matera. Una
migrazione basiliana "vers l'Italie latine" parti nel X secolo
dalla Terra d'Otranto per irradiarsi sia a sud, verso Santa Maria di
Leuca, che nelle aree interne della penisola salentina. E' di questo
periodo (968) il decreto di Niceforo Foca, con cui la Chiesa d'Otranto
fu elevata alla dignità di Arcivescovado. La sede otrantina divenne
una metropoli dalla quale dipendevano nuove diocesi; l'arcivescovo ricevette
dal patriarca di Costantinopoli, Poliecto, il privilegio di consacrare
i vescovi in cinque città: Acerenza, Tursi, Gravina, Matera e
Tricarico. L'efficacia di questo decreto (che secondo la testimonianza
dell'ambasciatore Liutiprando avrebbe addirittura interdetto in tutta
la Puglia e la Calabria la celebrazione dei divini misteri secondo il
rito latino) fu immediata: la predicazione dei monaci greci e l'ecroissement
degli immigrati. - sempre greci - assicurarono la preminenza dell'ellenismo,
fortificarono l'organizzazione ecclesiastica bizantina nell'Italia meridionale,
e ne prepararono il trionfo.
Questi monaci furono erroneamente chiamati "basiliani", data
l'influenza esercitata sul loro typicon dalla regola di San Basilio,
cui l'azione riformatrice di Teodoro Studita apportò un rinnovamento
dal punto di vista sia sociale che culturale: l'ordine di San Basilio
non è menzionato prima del XIV secolo, infatti "l'antichità
e il medioevo hanno conosciuto la regola di San Basilio, ma non dei
basiliani", (G. Tarantini) sarebbe dunque opportuno Parlare genericamente
di "monaci greci", tenendo nel dovuto conto l'influenza esercitata
dal typicon basiliano, il cui ideale era il perfetto equilibrio tra
vita attiva e vita contemplativa, e prescriveva, insieme con la lettura
della Bibbia e la preghiera, il lavoro nei campi.
Notevole, di conseguenza, l'importanza della loro opera nell'economia
agricola salentina, grazie alla quale in questo periodo (X secolo) fu
attuata una profonda trasformazione agraria e produttiva: le foreste
e i boschi cedettero il passo alle colture dell'olivo e della vite.
Il monastero si trasformò in centro di coltivazione agricola,
il più Possibile autosufficiente; si ebbero anche monasteri dotati
di propri molini, come in quello di Santa Anastasia, in Matino: nel
"pozzo delle monache" furono rinvenute infatti, nel XVIII
secolo, due macine, segno che vi si lavorava il grano ad uso della comunità
religiosa.
Il monastero di Santa Anastasia, dedicato alla santa (martirizzata nell'isola
spezzina di Palmaria, ai tempi di Diocleziano) sorgeva su un colle,
a due miglia dal paese, dal quale si potevano facilmente avvistare le
navi nemiche che entravano nel porto di Gallipoli. Termine post quem
per la datazione di questo monastero è il 1099. Presso la curia
neretina è reperibile un diploma di età normanna, (datato,
appunto, 1099, gennaio, ind. VII), con cui Goffredo, conte di Nardò,
con la moglie Sichelgaita e con i figli Roberto e Alessandro, dona ad
Everardo, priore di Santa Maria di Nardò, la chiesa di Santa
Anastasia: " ... offero primis deo et monasterio sancte marie (sic!)
de nerito hoc est enim unum oratorium nostrum quod est ecclesia sanctae
Anastasiae de Matino cum putheo domibus, olivis et omnibus terris suis,
quae est comitatus nostri Neritoni, ut in perpetuum maneat sub potestate
de praedicto monasterio Sanctae Mariae..."
L'abbazia di Santa Anastasia è menzionata anche in un altro documento
neretino, nella relazione di G iovanni Epiphanis, ultimo abate benedettino,
inviata a Giovanni XXIII, Baldassarre Cassa, papa illegittimo, il 14
ottobre 1412: "De Statu veteri antique recenti neretine ecclesiae
ad Ioannem XXIII pontificem maximum".
Che lontano dal paese, in aperta campagna, ci fosse stato un monastero
di "donne", fece sorgere dei dubbi a molti, poiché
Schivani, autore di una Cronaca di Matino (1763), inedita, interessante
per gli excursus sulle tradizioni locali, ma inattendibile per i dati
cronologici, si preoccupava di precisare, citando Claude Fleung, abate
di Loc-Dieu, che "la chiesa in quei tempi non era così rigida
nei monasteri di donne a farli fare dentro l'abitato e con perpetua
clausura", e che "la stretta clausura fu loro assegnata successivamente,
da Bonifacio VIII e dal Concilio di Trento confermata".
Dubitiamo però che il cenobio di Santa Anastasia sia nato come
monastero di "donne", poiché non rari sono i casi di
monasteri greci distrutti dai saraceni, poi ricostruiti dai Normanni
e adibiti a monasteri, appunto, di "donne", come accadde per
quello di San Benedetto, in Brindisi.
Schivani, sostiene che "le religiose greche che vennero in queste
regioni in occasione della fiera persecuzione in Oriente della eresia
iconoclasta, ebbero in dono da benefattori il feudo. per intercessione
dei padri di Sant'Eleuterio", e anche che "donne paesane,
di rito greco, vi si ritirarono".
Dell'antico monastero, che dovette essere di notevoli dimensioni, ora
non resta traccia; d'altra parte, già al tempo dell'abate Francesco
Antonio de Blasi, la chiesa era distrutta, e egli ne fece edificare
una nuova, come si leggeva in un'iscrizione sopra la porta: "Doctor,
rector, adhuc necnon Blasius Abbas hic me restituit, diruta prorsus
eram". Morto l'ultimo abate, Quintino Scorrano, Monsignor S. Felice
"si adoperò a Roma" e fece incorporare il monastero
alla mensa di Nardò, "le rendite per prebenda dei suoi canonici".
Le monache erano sotto la guida spirituale dei padri di Sant'Eleuterio,
e dalla tradizione si riscontra che le religiose di Santa Anastasia
provvedevano i monaci di Sant'Eleuterio di legna, e, viceversa, ricevevano
acqua di buona qualità.
Dell'antico monastero di Sant'Eleuterio, al sommo della serra omonima,
fra Matino e Parabita, sopravvive la cripta, in grotta naturale con
ingresso sormontato da una piccola volta a botte. Delle originarie pitture,
ammirate dal De Giorgi, non resta che un impercettibile residuo sulla
parete destra. Va ricordato, fra l'altro, che quando da noi si passò
al rito latino, le pitture furono coperte sotto l'intonaco; furono risparmiate
solo poche immagini. L. Tasselli scrive che il monastero fu eretto da
un soldato di Casarano, il quale cadde in un fossato, e, per intercessione
di Sant'Eleuterio, fu salvo, "tuttavia egli su ciò trasogna,
atteso si fu che un Galantuomo e benestante della terra di Matino, che
andava a cavallo per visitare i suoi poteri, che aveva là uniti,
che noi diciamo masseria, ed arrivato sopra una cisterna Piena d'acqua,
sprofondò la volta di essa, e si ritrovò nel profondo,
dentro l'acqua invocò l'aiuto di S. Eleuterio, di cui era devo
e subito si vide cavato da essa cisterna, onde poi lui, per graditudine,
procurò chiamare dei Greci Calogeri per fondare un monastero,
sotto la regola di S. Basilio (sic!), e si fabbricò a sue spese
la chiesa, sotto il titolo di esso santo, con le celle attorno, e lo
dotò de li fondi che lo circondavano e di capitali censi ...
; dentro la cisterna, nelle tonache delle mura, fece dipingere S. Eleuterio,
anzi le pietre che precipitarono dalla volta non si tolsero più
di li dentro, affinché servissero di monumento oculare alla posterità,
della grazia ricevuta, come il tutto apparisce "(Schivani).
Alba Medea, che visitò la grotta quarant'anni or sono, notando
un cumulo di terra e l'ampia apertura nella volta, pensò od un
crollo recente e ad uno scavo dovuto alla ricerca della solita "acchiatura".
La chiesa fu costruita ad est della gradinata che accedeva alla cisterna,
e, secondo la foggia greca, aveva l'altare ad oriente: "in questo
luogo detto S. Papa faceva dei miracoli, e i Matinesi si portavano a
pregarlo, come ai nostri giorni si è mantenuta la divozione".
(Schivani).
La fondazione di Sant'Eleuterio, che per la prima volta viene menzionato
nel documento neretino del 1412, risalirebbe al X secolo, poco dopo
la costruzione di Matino che, secondo le testimonianze di Guido di Ravenna,
sorse sulle rovine dell'antica Alesia.
Non è improbabile che da questo monastero, dimenticato purtroppo
dagli studiosi, provenga l'immagine della Madonna della Coltura, di
Parabita, uno dei più suggestivi monumenti dell'arte bizantina
della rinascenza.
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