§ Documenti di storia salentina

Terra d'Otranto, foyer d'ellenismo




Daniela Romano



I monaci greci, immigrati a più riprese, esercitarono una notevole influenza, oltre che nella vita spirituale, nell'economia agricola. Documenti della curia neretina, testimonianze storiche e cronachistiche su S. Anastasia e S. Eleuterio in Matino.

In Terra d'Otranto e nella Calabria meridionale il processo di penetrazione greca si manifestò radicalmente, in quanto queste zone, a differenza della Puglia e della Lucania centro-orientale, rimasero bizantine anche dopo l'invasione dei longobardi. Causa determinante dell'influenza del bizantinismo in queste regioni fu l'espansione monastica greca; la Puglia coeva fu paragonata dal Rodotà addirittura alla Tebaide, con la quale la nostra terra presenta innegabili affinità nell'aspetto geofisico e naturale, per cui la diffusione monastica fu favorita dall'agevole acclimatamento del monaci.
La prima corrente migratoria si fa risalire all'inizio dell'VIII secolo. dapprima con i monaci Melkiti, provenienti dall'Egitto e dalla Siria, e, successivamente, con i loro avversari, i monofisiti Giacobiti e Copti. Le opere d'arte di quest'epoca, infatti, (come i mosaici di Casaranello), si riconnettono allo stile dell'arte siriaca. Alcuni spostamenti dei monaci non venivano però imposti da un reale stato di necessità, bensì dal loro amore per i ritiri solitari e dal desiderio di distacco dalla vita terrena.
Nuove migrazioni si verificarono con le persecuzioni iconoclastiche promosse da Leone III Isaurico, e, infine, con l'invasione saracena in Sicilia: in quest'occasione, alcuni monaci greci risalirono l'Italia meridionale e si spinsero fino alla gravina dominata da Matera. Una migrazione basiliana "vers l'Italie latine" parti nel X secolo dalla Terra d'Otranto per irradiarsi sia a sud, verso Santa Maria di Leuca, che nelle aree interne della penisola salentina. E' di questo periodo (968) il decreto di Niceforo Foca, con cui la Chiesa d'Otranto fu elevata alla dignità di Arcivescovado. La sede otrantina divenne una metropoli dalla quale dipendevano nuove diocesi; l'arcivescovo ricevette dal patriarca di Costantinopoli, Poliecto, il privilegio di consacrare i vescovi in cinque città: Acerenza, Tursi, Gravina, Matera e Tricarico. L'efficacia di questo decreto (che secondo la testimonianza dell'ambasciatore Liutiprando avrebbe addirittura interdetto in tutta la Puglia e la Calabria la celebrazione dei divini misteri secondo il rito latino) fu immediata: la predicazione dei monaci greci e l'ecroissement degli immigrati. - sempre greci - assicurarono la preminenza dell'ellenismo, fortificarono l'organizzazione ecclesiastica bizantina nell'Italia meridionale, e ne prepararono il trionfo.
Questi monaci furono erroneamente chiamati "basiliani", data l'influenza esercitata sul loro typicon dalla regola di San Basilio, cui l'azione riformatrice di Teodoro Studita apportò un rinnovamento dal punto di vista sia sociale che culturale: l'ordine di San Basilio non è menzionato prima del XIV secolo, infatti "l'antichità e il medioevo hanno conosciuto la regola di San Basilio, ma non dei basiliani", (G. Tarantini) sarebbe dunque opportuno Parlare genericamente di "monaci greci", tenendo nel dovuto conto l'influenza esercitata dal typicon basiliano, il cui ideale era il perfetto equilibrio tra vita attiva e vita contemplativa, e prescriveva, insieme con la lettura della Bibbia e la preghiera, il lavoro nei campi.
Notevole, di conseguenza, l'importanza della loro opera nell'economia agricola salentina, grazie alla quale in questo periodo (X secolo) fu attuata una profonda trasformazione agraria e produttiva: le foreste e i boschi cedettero il passo alle colture dell'olivo e della vite. Il monastero si trasformò in centro di coltivazione agricola, il più Possibile autosufficiente; si ebbero anche monasteri dotati di propri molini, come in quello di Santa Anastasia, in Matino: nel "pozzo delle monache" furono rinvenute infatti, nel XVIII secolo, due macine, segno che vi si lavorava il grano ad uso della comunità religiosa.
Il monastero di Santa Anastasia, dedicato alla santa (martirizzata nell'isola spezzina di Palmaria, ai tempi di Diocleziano) sorgeva su un colle, a due miglia dal paese, dal quale si potevano facilmente avvistare le navi nemiche che entravano nel porto di Gallipoli. Termine post quem per la datazione di questo monastero è il 1099. Presso la curia neretina è reperibile un diploma di età normanna, (datato, appunto, 1099, gennaio, ind. VII), con cui Goffredo, conte di Nardò, con la moglie Sichelgaita e con i figli Roberto e Alessandro, dona ad Everardo, priore di Santa Maria di Nardò, la chiesa di Santa Anastasia: " ... offero primis deo et monasterio sancte marie (sic!) de nerito hoc est enim unum oratorium nostrum quod est ecclesia sanctae Anastasiae de Matino cum putheo domibus, olivis et omnibus terris suis, quae est comitatus nostri Neritoni, ut in perpetuum maneat sub potestate de praedicto monasterio Sanctae Mariae..."
L'abbazia di Santa Anastasia è menzionata anche in un altro documento neretino, nella relazione di G iovanni Epiphanis, ultimo abate benedettino, inviata a Giovanni XXIII, Baldassarre Cassa, papa illegittimo, il 14 ottobre 1412: "De Statu veteri antique recenti neretine ecclesiae ad Ioannem XXIII pontificem maximum".
Che lontano dal paese, in aperta campagna, ci fosse stato un monastero di "donne", fece sorgere dei dubbi a molti, poiché Schivani, autore di una Cronaca di Matino (1763), inedita, interessante per gli excursus sulle tradizioni locali, ma inattendibile per i dati cronologici, si preoccupava di precisare, citando Claude Fleung, abate di Loc-Dieu, che "la chiesa in quei tempi non era così rigida nei monasteri di donne a farli fare dentro l'abitato e con perpetua clausura", e che "la stretta clausura fu loro assegnata successivamente, da Bonifacio VIII e dal Concilio di Trento confermata".
Dubitiamo però che il cenobio di Santa Anastasia sia nato come monastero di "donne", poiché non rari sono i casi di monasteri greci distrutti dai saraceni, poi ricostruiti dai Normanni e adibiti a monasteri, appunto, di "donne", come accadde per quello di San Benedetto, in Brindisi.
Schivani, sostiene che "le religiose greche che vennero in queste regioni in occasione della fiera persecuzione in Oriente della eresia iconoclasta, ebbero in dono da benefattori il feudo. per intercessione dei padri di Sant'Eleuterio", e anche che "donne paesane, di rito greco, vi si ritirarono".
Dell'antico monastero, che dovette essere di notevoli dimensioni, ora non resta traccia; d'altra parte, già al tempo dell'abate Francesco Antonio de Blasi, la chiesa era distrutta, e egli ne fece edificare una nuova, come si leggeva in un'iscrizione sopra la porta: "Doctor, rector, adhuc necnon Blasius Abbas hic me restituit, diruta prorsus eram". Morto l'ultimo abate, Quintino Scorrano, Monsignor S. Felice "si adoperò a Roma" e fece incorporare il monastero alla mensa di Nardò, "le rendite per prebenda dei suoi canonici".
Le monache erano sotto la guida spirituale dei padri di Sant'Eleuterio, e dalla tradizione si riscontra che le religiose di Santa Anastasia provvedevano i monaci di Sant'Eleuterio di legna, e, viceversa, ricevevano acqua di buona qualità.
Dell'antico monastero di Sant'Eleuterio, al sommo della serra omonima, fra Matino e Parabita, sopravvive la cripta, in grotta naturale con ingresso sormontato da una piccola volta a botte. Delle originarie pitture, ammirate dal De Giorgi, non resta che un impercettibile residuo sulla parete destra. Va ricordato, fra l'altro, che quando da noi si passò al rito latino, le pitture furono coperte sotto l'intonaco; furono risparmiate solo poche immagini. L. Tasselli scrive che il monastero fu eretto da un soldato di Casarano, il quale cadde in un fossato, e, per intercessione di Sant'Eleuterio, fu salvo, "tuttavia egli su ciò trasogna, atteso si fu che un Galantuomo e benestante della terra di Matino, che andava a cavallo per visitare i suoi poteri, che aveva là uniti, che noi diciamo masseria, ed arrivato sopra una cisterna Piena d'acqua, sprofondò la volta di essa, e si ritrovò nel profondo, dentro l'acqua invocò l'aiuto di S. Eleuterio, di cui era devo e subito si vide cavato da essa cisterna, onde poi lui, per graditudine, procurò chiamare dei Greci Calogeri per fondare un monastero, sotto la regola di S. Basilio (sic!), e si fabbricò a sue spese la chiesa, sotto il titolo di esso santo, con le celle attorno, e lo dotò de li fondi che lo circondavano e di capitali censi ... ; dentro la cisterna, nelle tonache delle mura, fece dipingere S. Eleuterio, anzi le pietre che precipitarono dalla volta non si tolsero più di li dentro, affinché servissero di monumento oculare alla posterità, della grazia ricevuta, come il tutto apparisce "(Schivani).
Alba Medea, che visitò la grotta quarant'anni or sono, notando un cumulo di terra e l'ampia apertura nella volta, pensò od un crollo recente e ad uno scavo dovuto alla ricerca della solita "acchiatura".
La chiesa fu costruita ad est della gradinata che accedeva alla cisterna, e, secondo la foggia greca, aveva l'altare ad oriente: "in questo luogo detto S. Papa faceva dei miracoli, e i Matinesi si portavano a pregarlo, come ai nostri giorni si è mantenuta la divozione". (Schivani).
La fondazione di Sant'Eleuterio, che per la prima volta viene menzionato nel documento neretino del 1412, risalirebbe al X secolo, poco dopo la costruzione di Matino che, secondo le testimonianze di Guido di Ravenna, sorse sulle rovine dell'antica Alesia.
Non è improbabile che da questo monastero, dimenticato purtroppo dagli studiosi, provenga l'immagine della Madonna della Coltura, di Parabita, uno dei più suggestivi monumenti dell'arte bizantina della rinascenza.

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