Salento in cifre (3)




Dor Mazzarani



Uno dei dati che balza immediatamente in primo piano, nell'analisi dei dati dell'Istituto per lo sviluppo industriale nel Mezzogiorno, è questo: il Salento ha un'economia agraria tradizionalmente fondata sulle coltivazioni permanenti legnose: vite e olivo sono emblematici di una terra che ha sofferto la sete più d'ogni altra area del Mezzogiorno, e, possiamo dire, dell'intera penisola. La mancanza di acqua ha condizionato oltre ogni altro fattore lo sviluppo di un'agricoltura che pure ha "dato il pane" a decine di migliaia di famiglie. Ma si è trattato di un pane difficile, e pure scarso. La natura carsica del sottosuolo salentino, e dunque l'assenza di corsi d'acqua; la mancata politica irrigua, che avrebbe potuto dare un volto ben diverso alle nostre produzioni e agli sbocchi di mercato; e, con questo, la scarsa convenienza a creare grandi aziende (se si escludono alcune esemplari imprese agrarie, per lo più legate alla produzione di vino ad alta gradazione, utilizzato per il "taglio" di deboli vini che avevano solo il pregio del buon nome, grazie ad aggiornate tecniche di pubblicità), hanno finito col creare una vera e propria costellazione di piccole, piccolissime e microscopiche proprietà, chiuse nel circolo vizioso dell'economia famigliare, senza reddito e senza futuro. Cosa abbia potuto significare la riforma agraria, negli anni roventi delle rivolte contadine, in una regione non irrigata, non elettrificata, priva di beni e servizi civili e sociali, con proprietà frantumata, è facilmente comprensibile. Meno comprensibile può essere il mancato sviluppo cooperativo, e assai oscure sono le ragioni della mancata sperimentazione, della ricerca scientifica per il miglioramento dei prodotti, dell'abbandono dell'agricoltura tecnologica, come si chiama in America, che è quella che rende, di più, e ha creato un'occupazione con redditi quasi privilegiati. Ma questo discorso ci porterebbe molto lontano.
Produzione di legname: ne importiamo per centinaia di miliardi, ma una politica del bosco, della coltivazione di legname da macero, da noi sembra pressoché impossibile. La "fame di terra", dato permanente dell'ideologia contadina, ha portato a disboscamenti indiscriminati per la conquista sia pure di un solo fazzoletto di terra. Risultato: Sud, Puglia e Salento sono un accozzo di brevi pianure e di medio-alti dossi pelati (se si escludono le piccole aree rimboschite dalla Cassa per il Mezzogiorno, ma solo per fini di bonifica idraulica), con l'eco delle frane e degli smottamenti che giungono a valle, o nelle anguste, profonde valli che respingono le colture. La Puglia normanna e sveva era una vasta pianura con ampie forestazioni. La Puglia del secolo ventesimo è una regione nuda, il Salento è una penisola spoglia, brulla, accartocciata dal sole. Sopravvivono meno di 2.500 ettari di terreni a bosco: ma si tratta di boschi quasi provvisori. Speculazioni edilizie, incendi dolosi, li riducono sempre di più. E quelli che si creano in riva al mare (col pino laricio, che resiste alle salsedini) è bosco per modo di dire: l'oleografia non è componente dell'economia agraria.
Un pò meglio vanno le cose per quel che riguarda la bonifica, che supera ormai i 95.000 ettari, in comprensori che hanno ampie e razionali delimitazioni. Anche qui resta da fare il discorso degli scarsi mezzi finanziari messi a disposizione, che non consentono sempre I' immediata attuazione dei programmi esecutivi messi sulla carta.
Altri dati interessanti: su oltre 230 mila ettari che compongono la superficie agraria salentina, circa 17 mila sono condotti in affitto e poco più di 213 mila sono in proprietà; ci sono 60.356 aziende in conduzione diretta, contro 14.302 in conduzione con salariati e/o compartecipanti. Ancora una notazione: sono estremamente scarse le aziende che si occupano degli allevamenti, e quelle che operano in questo settore sono di dimensioni molecolari.

 

 

 

L'indagine sulle strutture fisiche, demografiche, economiche e produttive della penisola salentina potrebbe chiudersi qui. Tuttavia, per una radiografia completa, ci sembra indispensabile riportare, in un'appendice, un'altra breve serie di dati, che riguarderanno gli aspetti socio-civili: nel prossimo numero, dunque, ci occuperemo delle ultime rilevazioni, quelle sugli abbonamenti alla Rai-tv, sulle immatricolazioni di autovetture, sulle spese per cinematografo e tabacchi; le rilevazioni sulle unità locali e gli addetti per ramo di attività economica, sugli sportelli bancari, sulle licenze di commercio fisso e ambulante, sui pubblici esercizi, sulle attrezzature alberghiere, sui posti letto negli istituti di cura; infine sulle imposte di famiglia, di consumo, e sull'Icap.
Da quest'ultima serie di rilevazioni sarà possibile enucleare alcuni dati di fatto interessanti: il primo dei quali, proprio sulla scorta di quanto abbiamo potuto vedere con i primi tre blocchi statistici, ci pare questo: si dice che quello italiano sia un popolo che spende troppo, che vive al di sopra delle proprie possibilità economiche; e per questo ha tracolli economici, crisi gravi e ricorrenti; per questo si indebita e paga lo scotto del neocolonialismo a livello internazionale. Tutto questo sarà pure vero, ma certamente interessa un'altra Italia, quella che non è Mezzogiorno, nel quale invece la conquista di un chilo di carne ogni tre giorni, di un litro di latte al giorno, di un televisore, di un libro, di un giornale, di un paio di scarpe, è quanto di minimo avrebbe dovuto avere. Non dagli anni Sessanta in poi. Ma da mezzo secolo a questa parte. Se una certa Italia vive davvero al di sopra delle proprie reali possibilità e disponibilità economiche, questa non è certo quella meridionale, che non possiede niente, eppure deve vivere, almeno fino a che qualcuno non osi dimostrare il contrario; se poi si vuole attribuire al progresso socio-civile del Sud colpe che hanno altre origini e altri protagonisti, il discorso cambia del tutto. Allora potremo fare un pò di conti: e vedere chi ha emigrato, chi ha lavorato, chi si è sacrificato; e chi è che ha raccolto il frutto di tutto questo. Chi ci ha guadagnato e chi ci ha rimesso. Con cifre alla mano. E con nomi, con dati, con fatti. Per chiudere, una volta per tutte, le astiose polemiche di chi stravolge la verità a proprio uso e consumo.

(3-continua)


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