§ Scoperte archeologiche nel Salento

Tornano i Messapi




Enrico Surdo



Riportata alla luce una città del VII-VI secolo a. C., nel territorio di Cavallino - Per la prima volta è a disposizione degli studiosi una struttura urbana, pressoché intatta, del più antico popolo della Puglia storica.

Non è che si sapesse molto sulla civiltà messapica, anche se è ritenuta senza dubbio la più antica della Puglia storica. Civiltà misteriosa, dunque, che ci aveva lasciato trapelare solo poche notizie da parte degli storici classici, e qualche sparso documento archeologico, gelosamente custodito nei musei. Forse il più, o il meglio, si contrabbanda, e i reperti, da quel che ci risulta, hanno prezzi "sostenuti" nel mercato nero dei "cocci".
Il nostro primo impatto con i monumenti messapici fu fortunoso quanto singolare: lo avemmo il giorno in cui, nel giardino di un nostro collega, Gigi De Mitri, in pieno centro di Alezio, emersero due tombe messapiche, poi impacchettate di peso e trasferite nel vicino museo di Gallipoli. Poco o niente era venuto alla luce, almeno di importante, o di rilevante dal punto di vista dei documenti storico-archeologici, da allora. Così, i Messapi avevano conservato. quasi intatto il fascino di popolo avvolto nella leggenda. Fino a che, dopo una serie di lavori di scavo, condotti tra i mesi di luglio e agosto di quest'anno, non si è riusciti a localizzare un'intera città messapica, la prima del genere, ma certamente di estremo interesse per quel che vi si può "leggere", osservando le strutture urbane, abitative, difensive. L'antico mistero ha perduto una parte del suo alone, la civiltà indigena salentina si è improvvisamente illuminata di una nuova e vivissima luce.
Le scoperte archeologiche si sono verificate intorno a Cavallino, cinque chilometri e mezzo a sud di Lecce. Da profondi strati del terreno sono riemerse case, strade, botteghe, le officine di una città fiorita intorno al VII-VI secolo prima di Cristo. Da quel che si può arguire a prima vista, si tratta di un centro abitato tra i maggiori protagonisti delle vicende storiche di cui ci è tramandato il racconto: i Messapi, che già si trovavano in Puglia quando giunsero i colonizzatori greci, resistettero lungamente ad essi. Poi, entrarono nell'orbita di Roma; infine, dopo vari tentativi di rivolta, si dissolsero nel grande fenomeno della romanizzazione della penisola italiana.
Gli scavi nel territorio di Cavallino sono stati. condotti a termine per iniziativa dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Lecce, sotto la direzione del professor Attilio Scazio; e si è trattato di scavi inquadrati in un vasto programma di esplorazione degli antichi centri della penisola salentina, esplorazione che si svolge a collaborazione nazionale e internazionale: vi prendono parte., infatti, studiosi della Scuola Normale Superiore di Pisa e un' équipe della Scuola Francese di Roma.
Ma torniamo nei recinti archeologici cavallinesi. I nuovi scavi, come ha sottolineato il professor Sabatino Moscati, illuminano le strutture interne della città: caso unico più che raro per la conoscenza dell'"Italia indigena", antagonista certamente accanita della colonizzazione greca e poi del successivo dominio romano. In corrispondenza di una enorme "specchi,,", (cumulo di pietre, sulle cui funzioni e destinazioni si discute ancora oggi, con varie ipotesi, tutte altamente suggestive: piccole alture artificiali di avvistamento e segnalazione; o cimiteri, forse destinati a singoli personaggi d'un certo rilievo), è stata identificata una vasta piazza, pavimentata con pietre e tegole pressate, e cinta intorno da un muro a blocchi, che la separano dalle case e dalle botteghe.
Gli edifici che si allineano lungo questo muro forniscono preziosi elementi per ricostruire la vita di un centro salentino, italico, del settimo-sesto secolo prima dell'era cristiana, negli aspetti inediti dei suoi traffici, e soprattutto in quelli della sua vita quotidiana.
E' stata localizzata, innanzitutto, una bottega di generi alimentari: si tratta di un ambiente di forma rettangolare, preceduto da un piccolo portico, e dotato di un vano annesso, senza alcun dubbio destinato al deposito delle merci. Lungo le pareti di questa bottega, vivacemente dipinte a due colori con riquadri e cerchi che recano il motivo della "Croce di Malta", sono rimasti allineati i grandi recipienti che contenevano il grano, l'olio e le altre mercanzie.
C'è poi l'officina di un labbro: lo rivela la colorazione rossastra del terreno bruciato, e lo ribadiscono la presenza di mattoni di fornace, e l'abbondanza di scorie derivanti dalla fusione del ferro. La stessa posizione dell'officina sulla piazza è emblematica di una concezione urbanistica ben diversa da quella delle "poleis" della Grecia, dove i "quartieri industriali" erano abitualmente relegati alla periferia, e vicino alle porte.
Appunto dalle porte si dirama il sistema stradale, che converge da più punti verso la piazza. Queste strade, incrociandosi a tratti secondo un sistema di sorprendente regolarità, finiscono con il delimitare gli isolati, quasi tutti piuttosto lunghi e stretti. Come in certi centri storici dei nostri paesi d'oggi, insomma.
Tra i ritrovamenti effettuati negli interni delle case, vi è una enorme abbondanza di ceramiche, in parte di produzione locale, e in parte di provenienza greca. Si tratta in modo particolare di anfore commerciali. che testimoniano delle relazioni dirette tra Salento e Grecia, senza cioè la mediazione dei colonizzatori che sbarcavano di volta in volta sulle coste salentine e pugliesi.
Eccezionale importanza ha infine la scoperta di una stele di pietra, del tipo già reso celebre dai ritrovamenti nell'area del promontorio e dell'entroterra garganico: su questa stele è raffigurata, a rilievo bassissimo, una biga, condotta da una coppia di cavalli. A questo punto, un dubbio: se questa stele non è frutto di una importazione sporadica, o l'opera occasionale di un visitatore venuto qui dalla remota (per i tempi che correvano) Puglia settentrionale, si ha qui una testimonianza rivelatrice dell'amplissima diffusione dell'antica civiltà garganica.
Oltre al lascino della scoperta, dunque, che ci pone di fronte a un centro abitato messapico abbastanza completo e complesso, restano due "frontiere", diremmo complementari, di ricerca: questa cui abbiamo accennato, della presenza della stele "garganica" in pieno baricentro della penisola salentina; e un'altra, di cui non è possibile non tener conto: alludiamo alla "Croce di Malta", analoga a quelle già rilevate nei cunicoli sotterranei di Porto Badisco. Un raffronto più accurato, dopo l'approssimazione con cui - a caldo, e con il comprensibile entusiasmo dei primi momenti - si è proceduto nei primi giorni successivi alle scoperte, potrà dare risultati sorprendenti.
Un'ultima considerazione, poi, riguarda i tempi di ricerca archeologica nella penisola salentina. Che dovrebbero essere tempi assai accelerati. La lodevole iniziativa dell'università di Lecce, e la stretta collaborazione degli studiosi di Pisa e dei colleghi della Scuola Francese di Roma non deve restare un fatto isolato; soprattutto, lo slancio non dev'essere frenato da inceppi burocratici, o peggio, da problemi di ordine finanziario. C'è voluto, di tempo, Perché nella nostra provincia, (con la Pazienza, la fortuna anche - come nel caso di Badisco - e la Perseveranza) si creasse un itinerario archeologico in nuce; che può diventare non solo motivo di richiamo per gli studiosi e gli esperti, (si tratta di ritrovamenti eccezionali a livello mondiale), ma anche di turisti, di studenti, di semplici appassionati.
E' tutto un mondo che si apre alla scoperta, alla sana curiosità intellettuale; è la nostra storia civile che ci propone alcune delle sue pagine, tanto più valide in quanto sono tra le prime, e quasi si perdono nell'ombra delle vicende umane, dei rapporti, dei comportamenti delle popolazioni autoctone della penisola salentina.


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