Riportata alla
luce una città del VII-VI secolo a. C., nel territorio di Cavallino
- Per la prima volta è a disposizione degli studiosi una struttura
urbana, pressoché intatta, del più antico popolo della Puglia
storica.
Non è che
si sapesse molto sulla civiltà messapica, anche se è ritenuta
senza dubbio la più antica della Puglia storica. Civiltà
misteriosa, dunque, che ci aveva lasciato trapelare solo poche notizie
da parte degli storici classici, e qualche sparso documento archeologico,
gelosamente custodito nei musei. Forse il più, o il meglio, si
contrabbanda, e i reperti, da quel che ci risulta, hanno prezzi "sostenuti"
nel mercato nero dei "cocci".
Il nostro primo impatto con i monumenti messapici fu fortunoso quanto
singolare: lo avemmo il giorno in cui, nel giardino di un nostro collega,
Gigi De Mitri, in pieno centro di Alezio, emersero due tombe messapiche,
poi impacchettate di peso e trasferite nel vicino museo di Gallipoli.
Poco o niente era venuto alla luce, almeno di importante, o di rilevante
dal punto di vista dei documenti storico-archeologici, da allora. Così,
i Messapi avevano conservato. quasi intatto il fascino di popolo avvolto
nella leggenda. Fino a che, dopo una serie di lavori di scavo, condotti
tra i mesi di luglio e agosto di quest'anno, non si è riusciti
a localizzare un'intera città messapica, la prima del genere,
ma certamente di estremo interesse per quel che vi si può "leggere",
osservando le strutture urbane, abitative, difensive. L'antico mistero
ha perduto una parte del suo alone, la civiltà indigena salentina
si è improvvisamente illuminata di una nuova e vivissima luce.
Le scoperte archeologiche si sono verificate intorno a Cavallino, cinque
chilometri e mezzo a sud di Lecce. Da profondi strati del terreno sono
riemerse case, strade, botteghe, le officine di una città fiorita
intorno al VII-VI secolo prima di Cristo. Da quel che si può
arguire a prima vista, si tratta di un centro abitato tra i maggiori
protagonisti delle vicende storiche di cui ci è tramandato il
racconto: i Messapi, che già si trovavano in Puglia quando giunsero
i colonizzatori greci, resistettero lungamente ad essi. Poi, entrarono
nell'orbita di Roma; infine, dopo vari tentativi di rivolta, si dissolsero
nel grande fenomeno della romanizzazione della penisola italiana.
Gli scavi nel territorio di Cavallino sono stati. condotti a termine
per iniziativa dell'Istituto di Archeologia dell'Università di
Lecce, sotto la direzione del professor Attilio Scazio; e si è
trattato di scavi inquadrati in un vasto programma di esplorazione degli
antichi centri della penisola salentina, esplorazione che si svolge
a collaborazione nazionale e internazionale: vi prendono parte., infatti,
studiosi della Scuola Normale Superiore di Pisa e un' équipe
della Scuola Francese di Roma.
Ma torniamo nei recinti archeologici cavallinesi. I nuovi scavi, come
ha sottolineato il professor Sabatino Moscati, illuminano le strutture
interne della città: caso unico più che raro per la conoscenza
dell'"Italia indigena", antagonista certamente accanita della
colonizzazione greca e poi del successivo dominio romano. In corrispondenza
di una enorme "specchi,,", (cumulo di pietre, sulle cui funzioni
e destinazioni si discute ancora oggi, con varie ipotesi, tutte altamente
suggestive: piccole alture artificiali di avvistamento e segnalazione;
o cimiteri, forse destinati a singoli personaggi d'un certo rilievo),
è stata identificata una vasta piazza, pavimentata con pietre
e tegole pressate, e cinta intorno da un muro a blocchi, che la separano
dalle case e dalle botteghe.
Gli edifici che si allineano lungo questo muro forniscono preziosi elementi
per ricostruire la vita di un centro salentino, italico, del settimo-sesto
secolo prima dell'era cristiana, negli aspetti inediti dei suoi traffici,
e soprattutto in quelli della sua vita quotidiana.
E' stata localizzata, innanzitutto, una bottega di generi alimentari:
si tratta di un ambiente di forma rettangolare, preceduto da un piccolo
portico, e dotato di un vano annesso, senza alcun dubbio destinato al
deposito delle merci. Lungo le pareti di questa bottega, vivacemente
dipinte a due colori con riquadri e cerchi che recano il motivo della
"Croce di Malta", sono rimasti allineati i grandi recipienti
che contenevano il grano, l'olio e le altre mercanzie.
C'è poi l'officina di un labbro: lo rivela la colorazione rossastra
del terreno bruciato, e lo ribadiscono la presenza di mattoni di fornace,
e l'abbondanza di scorie derivanti dalla fusione del ferro. La stessa
posizione dell'officina sulla piazza è emblematica di una concezione
urbanistica ben diversa da quella delle "poleis" della Grecia,
dove i "quartieri industriali" erano abitualmente relegati
alla periferia, e vicino alle porte.
Appunto dalle porte si dirama il sistema stradale, che converge da più
punti verso la piazza. Queste strade, incrociandosi a tratti secondo
un sistema di sorprendente regolarità, finiscono con il delimitare
gli isolati, quasi tutti piuttosto lunghi e stretti. Come in certi centri
storici dei nostri paesi d'oggi, insomma.
Tra i ritrovamenti effettuati negli interni delle case, vi è
una enorme abbondanza di ceramiche, in parte di produzione locale, e
in parte di provenienza greca. Si tratta in modo particolare di anfore
commerciali. che testimoniano delle relazioni dirette tra Salento e
Grecia, senza cioè la mediazione dei colonizzatori che sbarcavano
di volta in volta sulle coste salentine e pugliesi.
Eccezionale importanza ha infine la scoperta di una stele di pietra,
del tipo già reso celebre dai ritrovamenti nell'area del promontorio
e dell'entroterra garganico: su questa stele è raffigurata, a
rilievo bassissimo, una biga, condotta da una coppia di cavalli. A questo
punto, un dubbio: se questa stele non è frutto di una importazione
sporadica, o l'opera occasionale di un visitatore venuto qui dalla remota
(per i tempi che correvano) Puglia settentrionale, si ha qui una testimonianza
rivelatrice dell'amplissima diffusione dell'antica civiltà garganica.
Oltre al lascino della scoperta, dunque, che ci pone di fronte a un
centro abitato messapico abbastanza completo e complesso, restano due
"frontiere", diremmo complementari, di ricerca: questa cui
abbiamo accennato, della presenza della stele "garganica"
in pieno baricentro della penisola salentina; e un'altra, di cui non
è possibile non tener conto: alludiamo alla "Croce di Malta",
analoga a quelle già rilevate nei cunicoli sotterranei di Porto
Badisco. Un raffronto più accurato, dopo l'approssimazione con
cui - a caldo, e con il comprensibile entusiasmo dei primi momenti -
si è proceduto nei primi giorni successivi alle scoperte, potrà
dare risultati sorprendenti.
Un'ultima considerazione, poi, riguarda i tempi di ricerca archeologica
nella penisola salentina. Che dovrebbero essere tempi assai accelerati.
La lodevole iniziativa dell'università di Lecce, e la stretta
collaborazione degli studiosi di Pisa e dei colleghi della Scuola Francese
di Roma non deve restare un fatto isolato; soprattutto, lo slancio non
dev'essere frenato da inceppi burocratici, o peggio, da problemi di
ordine finanziario. C'è voluto, di tempo, Perché nella
nostra provincia, (con la Pazienza, la fortuna anche - come nel caso
di Badisco - e la Perseveranza) si creasse un itinerario archeologico
in nuce; che può diventare non solo motivo di richiamo per gli
studiosi e gli esperti, (si tratta di ritrovamenti eccezionali a livello
mondiale), ma anche di turisti, di studenti, di semplici appassionati.
E' tutto un mondo che si apre alla scoperta, alla sana curiosità
intellettuale; è la nostra storia civile che ci propone alcune
delle sue pagine, tanto più valide in quanto sono tra le prime,
e quasi si perdono nell'ombra delle vicende umane, dei rapporti, dei
comportamenti delle popolazioni autoctone della penisola salentina.
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