Un suggestivo
itinerario storico-artistico ci fa scoprire quel che sopravvive di un'architettura
che ha visto la Puglia Marittima primeggiare in Italia.
Fu A. K. Porter
il primo storico dell'arte a ipotizzare che non fu la Lombardia la culla
del romanico, bensì la Puglia, anzi quell'area della nostra regione,
nota come "Puglia Marittima", che si estendeva da Bari a Ruvo,
a Trani, a Bitonto, con ampie direttrici interne, soprattutto nella
zona compresa fra il Barese e la Capitanata, (da Barletta a Canosa,
a Troia, a Manfredonia, a Siponto). Certo è che l'ipotesi di
un flusso di idee artistico-architettoniche, avvalorata dalla presenza
di lombardi in pellegrinaggio al Santuario di San Michele, nel Gargano,
è suggestiva; come affascinante è la constatazione della
sostanziale diversità dei caratteri e stili architettonici pugliese
e lombardo: più slanciato il nostro (quasi preludente al gotico),
con le navate più larghe, e a capriata, con linee di slancio
e torri quadrate che, con le absidi, formano un unico blocco, alto nel
cielo.
Se dalle fasce della Puglia Marittima scendiamo verso sud, i caratteri
e gli stili mutano. Nel Salento, in particolare. Anche qui, come nel
resto della regione, i Normanni avevano cacciato i Bizantini; ma qui,
a differenza del resto della Puglia, e solo insieme con poche altre
zone del Mezzogiorno, (come in Calabria, ad esempio), il fervore religioso
e le tradizioni dell'ascetismo basiliano avevano messo radici più
profonde. I monaci trovarono diffusa ospitalità, e vi restarono
più a lungo, come del resto testimonia la diffusione del greco-bizantino
come lingua comune a numerosi centri abitati salentini, e la sua lunga
sopravvivenza a successive conquiste e sovrapposizioni lessicali e culturali.
Certo, l'influenza dei nuovi avvenimenti storici si fece sentire, e
ne è prova, appunto, la nuova architettura, che fiori in breve
tempo. Ma si trattò di un romanico assai personale, tipico della
nostra penisola, pur se considerato "minore" nell'ambito più
ampio del romanico pugliese e italiano: fu, insomma, quello salentino,
un romanico che non riuscì, o non volle liberarsi degli elementi
bizantini, orientali, arabi. Ne scaturì un'arte che oggi testimonia
della fusione straordinaria di tutti gli elementi, passati e presenti,
delle culture e civiltà presenti nella penisola salentina a cavallo
dell'anno Mille.
Non resta molto, di quest'arte. I monumenti sono sparsi e quasi dispersi,
alcuni per le distruzioni sopravvenute con le invasioni (soprattutto
quelle saracene), altri per l'incuria degli uomini e del tempo. Tuttavia,
quel che rimane consente di compiere un itinerario che si snoda da Lecce
ai territori del Sud, passando per il cuore della penisola salentina.
Lecce. E parlare del capoluogo e delle testimonianze che vi hanno lasciato
i Normanni, significa innanzitutto ricollegarsi a Tancredi d'Altavilla
e alla stupenda chiesa dei Santi Nicolò e Cataldo, che, secondo
le ipotesi di numerosi studiosi, sorse sui resti del più antico
edificio sacro di San Nicolò dei Greci, appena fuori la cinta
muraria leccese, e che, attualmente, si è venuta a trovare all'interno
del cimitero. Possiamo ammirare ancora, delle superstiti linee normanne,
la stupenda struttura interna, a tre navate con otto colonne, (i cui
capitelli sono in stile bizantino); il bel portale la cupola esterna,
a pianta ottagonale, il campanile, sopravvissuti affreschi.
Il chiostro, invece, è del secolo decimottavo. Una severa e composita
armonia di linee, romaniche, moresche, bizantine, emerge sulla luce
meridiana del grande portale quasi trapunto, e l'incanto cresce col
variare delle tonalità del tramonto, che muta dall'azzurro al
violetto al cobalto, contro il vivido rosso del sole che, sull'altro
orizzonte, lentamente muore.
Alcuni chilometri: la strada è costeggiata da bassi vigneti dalle
uve nere, interrotti da "chiuse" a ulivi laminati dal sole.
Le case coloniche, quando non sono bianche, hanno colori quasi impossibili:
celesti, rosa carico, gialle, verdi. Sui campi, le piccole case a tronco
di cono, costruite da mani sapienti, pietra su pietra, mezzi trulli
vestiti del grigio della pietra leccese, disseppellita dalla terra.
Sono campi lindi, ben pettinati, dai confini nitidi, tirati con muri
a secco, sotto i quali, da poco, corrono i tubi in cemento delle irrigazioni.
Pochi chilometri, e si preannunciano in fondo le prime case di Squinzano.
Una via stretta, ancora bianca. Poi, improvvisamente, un altro miracolo
architettonico: Santa Maria delle Cerrate, dodicesimo secolo, romanica.
A Santa Maria era annesso il celebre cenobio basiliano, di cui ci ha
testimoniato il Galateo.
Chiesa benedettina, prospetto a capanna, facciata con rosone, divisa
poi in tre parti, archivolto romanico-bizantino. L'architettura è
indecisa, la tecnica non proprio raffinata: ma èesattamente qui
l'enorme importanza di questo complesso, che anticipa di vari decenni
le tecniche romaniche di altre aree regionali italiane. Gli affreschi
murali, restaurati e visibili in un ambiente attiguo, dopo che sono
stati staccati dai muri interni, risalgono all'alba del 1300; soluzioni
tecnico-prospettiche e colore ne rivelano l'impronta di scuola e ideologia
giottesca.
Da qui l'itinerario si biforca. Da una parte si può percorrere
la direttrice per Copertino, Leverano e Nardò; dall'altra quella
per San Cesario, Galatina, Soleto. I due itinerari, però, finiscono
per ricongiungersi ancora più a sud-ovest, verso Ugento, e verso
sud-est, a Otranto.
Copertino ha una chiesa nel cuore, e più che una chiesa, una
basilica, quella di Santa Maria ad Nives, voluta da Manfredi di Svevia,
(1235). La facciata romanica di questo monumento ha subìto successive
modifiche, mentre conservano i caratteri originali il portale sulla
destra, le due finestrelle e lo stemma svevo; romanico è l'interno,
originale nelle strutture, con sovrapposti elementi barocchi. Una Madonna
con Bambino è tra i più squisiti affreschi bizantini del
Salento. Altri dipinti sono di epoca successiva.
Nardò è feudo vastissimo, e nobili tradizioni storico-religiose
conserva questa città che resta, dopo Lecce, il centro più
fittamente abitato della penisola salentina. Ubertose campagne, (a colture
secche, come nel resto dell'intera provincia: uva, ulivi, mandorle,
con vaste superfici a tabacco; poi, le più recenti colture irrigue,
che hanno fatto esplodere il verde), da qui si indovina il colore del
mare che si apre verso Porto Cesareo, dalle bianche dune. A Nardò
è la romanica cattedrale, dedicata a Santa Maria: a tre navate,
archi a tutto sesto da una parte, a sesto acuto sul fronte opposto.
Fu, in realtà, chiesa basiliana, edificata prima dell'anno Mille.
Poi, intorno al 1090, passata all'ordine benedettino, fu rifatta da
cima a fondo, e assunse linee e caratteri del tutto diversi. Strutture
successive ne hanno modificato quelle originarie. Sono del 1800 grandi
affreschi, nell'abside e nel presbiterio, del maestro Cesare Maccari.
Meno nota è la torre di Leverano. Che tuttavia è tipico
esempio di costruzione romanica in campo militare. Abbandonata, o quasi:
mentre, proprio perché unica, andrebbe protetta e restaurata,
per non restar vittima di quel sistema di sperperi che sembra assurto,
ormai, da noi, a norma di legge.
Forse possiamo affermare che il lastricato delle strade galatinesi è
assai più tipico di quanto sia dato credere. L'asfalto è
un'abiura dei nostri anni più recenti. Il meglio di questa città,
infatti, sorge proprio dai bianchi mattoni, alcuni dei quali (nelle
aree del centro storico) risalgono al 1700. Al centro della grande piazza
San Pietro è un monumento eccezionale, la Matrice, dedicata a
San Pietro, (con la "Irene", la campana più antica
del Sud), da cui dipende la stupenda chiesa di San Paolo, dirimpettaia
e quasi appartata, ove ogni anno si rinnova il mistero delle "tarantolate".
Più giù, (ed è sempre protagonista il lastricato),
una curva a destra, e un altro lungo corso, questo più angusto.
Poi si allarga una breve piazza, e dirimpettai sono due complessi, vanto
di questa città: la casa in cui nacque un pittore che rivelò
al mondo il nome del Salento, Gioacchino Toma; e, di fronte, il più
classico esempio di romanico salentino, la chiesa di Santa Caterina
d'Alessandria, voluta da Raimondello del Balzo Orsini, intorno alla
fine del XIV secolo.
Il complesso è a tre cuspidi, con altrettanti portali (luminosissimo
quello centrale, istoriato, sotto il grande rosone della cuspide maggiore).
La pianta interna si allarga in cinque navate a luci tramontanti a mano
a mano che, da quella centrale. si trascorre alle navate laterali: un
clima raccolto nasce dalle penombre, dalle quali emergono gli stupendi
affreschi cateriniani, in massima parte restaurati, dono lo scempio
incivile degli uomini. Centro monumentale notevolissimo, e anche fonte
di tantissima parte della storia galatinese, Santa Caterina d'Alessandria
ha ancora bisogno di interventi risanatori.
La chiesa di San Giovanni Battista è a un tiro di fucile, a San
Cesario di Lecce. Un tempo arricchita da bellissimi affreschi interni,
all'ombra di capriate di legno, è stata seriamente danneggiata
dall'umido e da rozzi restauri. Oggi è nel più completo
abbandono.
Miglior sorte è toccata alla chiesetta soletana di Santo Stefano,
con gli interni affrescati in stile bizantino. Romanica la struttura
sovrapposta alla primitiva costruzione, (che risaliva al 1200); sempre
suggestivo il gioco ombra-luce; preziose anche le strutture successive.
Alla metà del secolo XIV risale anche la Guglia di Soleto, il
campanile romanico realizzato su commessa di Raimondello del Balzo Orsini,
completato in stile gotico fiorito solo nel 1406.
Al dodicesimo secolo risale la piccola chiesa romanica dell'Itria, al
centro di Galatone, che è in ottimo stato di conservazione.
Più a sud, poco prima di Casarano, nell'area di Casaranello,
è la più antica chiesa della provincia
di Lecce. Secondo gli studiosi, risalirebbe al quinto secolo, tra il
400 e il 430 dopo Cristo. Fu interamente rifatta tra il 1200 e il 1300.
Appartengono al quinto secolo la cupola, il capocroce, il presbiterio
e l'abside, con altre strutture minori. Cupola e volta del presbiterio
conservano mosaici di rivestimento originari, bizantini. Proto-romaniche
sono le tre navate, con robuste colonne a pilastro. Notevoli gli affreschi
rimasti: risalgono ai primi decenni del 1200.
Taurisano è già nell'area più interna, prelude
al colore del cielo che va illimpidendosi sempre più' man mano
che si scende verso il triangolo mediterraneo Otranto-Santa Maria di
Leuca-Ugento. A Taurisano è la chiesa di Santa Maria della Strada,
costruita intorno al 1200, con numerosi elementi bizantini e affreschi
interni dello stesso periodo. Bella la facciata, con rosone e un pregevole
portale. Complesso bizantino, dunque, con quel tanto di carattere preludente,
che può darci l'idea di una transizione verso il romanico. Allo
stesso modo della chiesa di Santa Maria del Casale, di Ugento, che come
quella di Casaranello sorge su un'altura (questa, meno pronunciata).
Basiliana anche questa, con rimaneggiamenti romanici, e interessanti
affreschi.
Dalla costiera jonica, a quella adriatica, da una luce a un'altra luce,
tutt'e due di timbro greco, sopra le selve della pietra serena, delle
case di campagna, dei giganteschi pini che svettano d'improvviso all'orizzonte,
su e giù per le serre, dalla cima delle quali si dominano panorami
distesissimi, con i paesi abbaglianti che si stagliano a vista, collegati
da sottilissime file di case di periferia. E' necessario scavalcare
le serre, (dove c'è tutto un mondo da scoprire: masserie, torrioni,
casali fortificati, campi recinti con alti muri a secco, cinte di difesa
intorno a grandi case rurali), occorre seguire un'ideale via istmica,
da occidente verso oriente, per andare a finire sulla breve piazza a
conchiglia all'estremità della quale sorge il monumento più
caro al cuore dei salentini: il duomo di Otranto, sintesi di arte normanno-sveva,
fusa con elementi classici e bizantini.
Tre navate, divise a dieci archi, con quattordici colonne sormontate
da capitelli. La Cripta richiama alla mente il duomo di San Nicola,
di Bari. Unico al mondo, il mosaico del pavimento, che non si abbraccia
con un solo sguardo. Il duomo otrantino sorge su uno sperone a due dorsali,
addolcito dalle costruzioni contigue, raccolto là dove si apre
la parte elevata della vecchia città. Sotto, di fronte al mare,
i massicci bastioni e le robuste torri di difesa. Il mare, chiaro, trasparente,
quando il Canale cui la città dà nome non si rabbuia con
i suoi improvvisi scatti d'ira, ricorda che qui approdarono spesso i
Turchi iconoclasti, e nei centri più a nord e più a sud
le torri costiere di avvistamento e di difesa non bastarono a impedire
rapine, saccheggi, schiavitù.
Tutt'intorno, protagonista è ancora una volta la campagna, con
i suoi ordinamenti perfetti, con i suoi cieli coordinati. San Nicola
di Casole rammenta che la storia, qui, fu d'altissimo valore civile,
religioso, culturale. Che le rovine siano grandi, purtroppo, è
storia della decadenza del nostro secolo, dell'incuria che ha condannato
monumenti di eccezionale interesse, dell'abbandono, delle indiscriminate
trasformazioni che hanno fatto sparire, tranne la memoria, tutto quel
che riguarda una ricchissima geografia di cappelle e cripte e chiese
agresti, in prevalenza basiliane, poi romaniche. Una storia che si è
ripetuta (restano solo metà dei menhir, tra quelli di cui ci
è stata tramandata testimonianza; gli altri sono stati distrutti),
che ha riscritto con incredibile costanza pagine su pagine di demolizioni,
di furti, di crolli. Un notevole patrimonio d'arte e di cultura è
andato disperso. Quel che resta, dunque, va protetto a qualunque costo.
Per il romanico della penisola salentina il discorso forse è
meno complicato che per altre forme ed espressioni d'arte: Otranto,
Galatina, Squinzano, Soleto, Casaranello, hanno monumenti romanici che
sono stati restituiti all'antica dignità, anche se non è
pensabile che possano essere trascurati aspetti minori o complementari
di restauro; gli altri monumenti, quelli che hanno bisogno di interventi
più o meno urgenti, proprio perché fanno parte di un itinerario
d'alto valore, e proprio in virtù della loro funzione di centri
connettivi tra gli altri maggiori, vanno presi in considerazione a breve
termine, prima che, se non tutti, parte di essi diventino definitivamente
irrecuperabili.
Pare ormai stabilito che la perifericità della provincia salentina
non giochi più sfavorevolmente anche perché il turismo
cerca di scoprire vie nuove, climi e paesaggi sconosciuti.
Anche in funzione di una scoperta del Salento, o di un Salento "diverso",
forse il meno appariscente, eppure in grado di offrire elementi di attrazione
storica, artistica e civile autonomi e suggestivi, il recupero e il
rilancio dei nostri beni culturali è un imperativo che ci coinvolge
tutti, a tutti i livelli, ovunque, nel Leccese o altrove, operiamo.
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