§ Attraverso il Salento

Le vie del Romanico




Eloisa Malagoli, Luciano Milo, Romana Turchini



Un suggestivo itinerario storico-artistico ci fa scoprire quel che sopravvive di un'architettura che ha visto la Puglia Marittima primeggiare in Italia.

Fu A. K. Porter il primo storico dell'arte a ipotizzare che non fu la Lombardia la culla del romanico, bensì la Puglia, anzi quell'area della nostra regione, nota come "Puglia Marittima", che si estendeva da Bari a Ruvo, a Trani, a Bitonto, con ampie direttrici interne, soprattutto nella zona compresa fra il Barese e la Capitanata, (da Barletta a Canosa, a Troia, a Manfredonia, a Siponto). Certo è che l'ipotesi di un flusso di idee artistico-architettoniche, avvalorata dalla presenza di lombardi in pellegrinaggio al Santuario di San Michele, nel Gargano, è suggestiva; come affascinante è la constatazione della sostanziale diversità dei caratteri e stili architettonici pugliese e lombardo: più slanciato il nostro (quasi preludente al gotico), con le navate più larghe, e a capriata, con linee di slancio e torri quadrate che, con le absidi, formano un unico blocco, alto nel cielo.
Se dalle fasce della Puglia Marittima scendiamo verso sud, i caratteri e gli stili mutano. Nel Salento, in particolare. Anche qui, come nel resto della regione, i Normanni avevano cacciato i Bizantini; ma qui, a differenza del resto della Puglia, e solo insieme con poche altre zone del Mezzogiorno, (come in Calabria, ad esempio), il fervore religioso e le tradizioni dell'ascetismo basiliano avevano messo radici più profonde. I monaci trovarono diffusa ospitalità, e vi restarono più a lungo, come del resto testimonia la diffusione del greco-bizantino come lingua comune a numerosi centri abitati salentini, e la sua lunga sopravvivenza a successive conquiste e sovrapposizioni lessicali e culturali.
Certo, l'influenza dei nuovi avvenimenti storici si fece sentire, e ne è prova, appunto, la nuova architettura, che fiori in breve tempo. Ma si trattò di un romanico assai personale, tipico della nostra penisola, pur se considerato "minore" nell'ambito più ampio del romanico pugliese e italiano: fu, insomma, quello salentino, un romanico che non riuscì, o non volle liberarsi degli elementi bizantini, orientali, arabi. Ne scaturì un'arte che oggi testimonia della fusione straordinaria di tutti gli elementi, passati e presenti, delle culture e civiltà presenti nella penisola salentina a cavallo dell'anno Mille.
Non resta molto, di quest'arte. I monumenti sono sparsi e quasi dispersi, alcuni per le distruzioni sopravvenute con le invasioni (soprattutto quelle saracene), altri per l'incuria degli uomini e del tempo. Tuttavia, quel che rimane consente di compiere un itinerario che si snoda da Lecce ai territori del Sud, passando per il cuore della penisola salentina.
Lecce. E parlare del capoluogo e delle testimonianze che vi hanno lasciato i Normanni, significa innanzitutto ricollegarsi a Tancredi d'Altavilla e alla stupenda chiesa dei Santi Nicolò e Cataldo, che, secondo le ipotesi di numerosi studiosi, sorse sui resti del più antico edificio sacro di San Nicolò dei Greci, appena fuori la cinta muraria leccese, e che, attualmente, si è venuta a trovare all'interno del cimitero. Possiamo ammirare ancora, delle superstiti linee normanne, la stupenda struttura interna, a tre navate con otto colonne, (i cui capitelli sono in stile bizantino); il bel portale la cupola esterna, a pianta ottagonale, il campanile, sopravvissuti affreschi.
Il chiostro, invece, è del secolo decimottavo. Una severa e composita armonia di linee, romaniche, moresche, bizantine, emerge sulla luce meridiana del grande portale quasi trapunto, e l'incanto cresce col variare delle tonalità del tramonto, che muta dall'azzurro al violetto al cobalto, contro il vivido rosso del sole che, sull'altro orizzonte, lentamente muore.
Alcuni chilometri: la strada è costeggiata da bassi vigneti dalle uve nere, interrotti da "chiuse" a ulivi laminati dal sole. Le case coloniche, quando non sono bianche, hanno colori quasi impossibili: celesti, rosa carico, gialle, verdi. Sui campi, le piccole case a tronco di cono, costruite da mani sapienti, pietra su pietra, mezzi trulli vestiti del grigio della pietra leccese, disseppellita dalla terra. Sono campi lindi, ben pettinati, dai confini nitidi, tirati con muri a secco, sotto i quali, da poco, corrono i tubi in cemento delle irrigazioni. Pochi chilometri, e si preannunciano in fondo le prime case di Squinzano. Una via stretta, ancora bianca. Poi, improvvisamente, un altro miracolo architettonico: Santa Maria delle Cerrate, dodicesimo secolo, romanica. A Santa Maria era annesso il celebre cenobio basiliano, di cui ci ha testimoniato il Galateo.
Chiesa benedettina, prospetto a capanna, facciata con rosone, divisa poi in tre parti, archivolto romanico-bizantino. L'architettura è indecisa, la tecnica non proprio raffinata: ma èesattamente qui l'enorme importanza di questo complesso, che anticipa di vari decenni le tecniche romaniche di altre aree regionali italiane. Gli affreschi murali, restaurati e visibili in un ambiente attiguo, dopo che sono stati staccati dai muri interni, risalgono all'alba del 1300; soluzioni tecnico-prospettiche e colore ne rivelano l'impronta di scuola e ideologia giottesca.
Da qui l'itinerario si biforca. Da una parte si può percorrere la direttrice per Copertino, Leverano e Nardò; dall'altra quella per San Cesario, Galatina, Soleto. I due itinerari, però, finiscono per ricongiungersi ancora più a sud-ovest, verso Ugento, e verso sud-est, a Otranto.
Copertino ha una chiesa nel cuore, e più che una chiesa, una basilica, quella di Santa Maria ad Nives, voluta da Manfredi di Svevia, (1235). La facciata romanica di questo monumento ha subìto successive modifiche, mentre conservano i caratteri originali il portale sulla destra, le due finestrelle e lo stemma svevo; romanico è l'interno, originale nelle strutture, con sovrapposti elementi barocchi. Una Madonna con Bambino è tra i più squisiti affreschi bizantini del Salento. Altri dipinti sono di epoca successiva.
Nardò è feudo vastissimo, e nobili tradizioni storico-religiose conserva questa città che resta, dopo Lecce, il centro più fittamente abitato della penisola salentina. Ubertose campagne, (a colture secche, come nel resto dell'intera provincia: uva, ulivi, mandorle, con vaste superfici a tabacco; poi, le più recenti colture irrigue, che hanno fatto esplodere il verde), da qui si indovina il colore del mare che si apre verso Porto Cesareo, dalle bianche dune. A Nardò è la romanica cattedrale, dedicata a Santa Maria: a tre navate, archi a tutto sesto da una parte, a sesto acuto sul fronte opposto. Fu, in realtà, chiesa basiliana, edificata prima dell'anno Mille. Poi, intorno al 1090, passata all'ordine benedettino, fu rifatta da cima a fondo, e assunse linee e caratteri del tutto diversi. Strutture successive ne hanno modificato quelle originarie. Sono del 1800 grandi affreschi, nell'abside e nel presbiterio, del maestro Cesare Maccari.
Meno nota è la torre di Leverano. Che tuttavia è tipico esempio di costruzione romanica in campo militare. Abbandonata, o quasi: mentre, proprio perché unica, andrebbe protetta e restaurata, per non restar vittima di quel sistema di sperperi che sembra assurto, ormai, da noi, a norma di legge.
Forse possiamo affermare che il lastricato delle strade galatinesi è assai più tipico di quanto sia dato credere. L'asfalto è un'abiura dei nostri anni più recenti. Il meglio di questa città, infatti, sorge proprio dai bianchi mattoni, alcuni dei quali (nelle aree del centro storico) risalgono al 1700. Al centro della grande piazza San Pietro è un monumento eccezionale, la Matrice, dedicata a San Pietro, (con la "Irene", la campana più antica del Sud), da cui dipende la stupenda chiesa di San Paolo, dirimpettaia e quasi appartata, ove ogni anno si rinnova il mistero delle "tarantolate". Più giù, (ed è sempre protagonista il lastricato), una curva a destra, e un altro lungo corso, questo più angusto. Poi si allarga una breve piazza, e dirimpettai sono due complessi, vanto di questa città: la casa in cui nacque un pittore che rivelò al mondo il nome del Salento, Gioacchino Toma; e, di fronte, il più classico esempio di romanico salentino, la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria, voluta da Raimondello del Balzo Orsini, intorno alla fine del XIV secolo.
Il complesso è a tre cuspidi, con altrettanti portali (luminosissimo quello centrale, istoriato, sotto il grande rosone della cuspide maggiore). La pianta interna si allarga in cinque navate a luci tramontanti a mano a mano che, da quella centrale. si trascorre alle navate laterali: un clima raccolto nasce dalle penombre, dalle quali emergono gli stupendi affreschi cateriniani, in massima parte restaurati, dono lo scempio incivile degli uomini. Centro monumentale notevolissimo, e anche fonte di tantissima parte della storia galatinese, Santa Caterina d'Alessandria ha ancora bisogno di interventi risanatori.
La chiesa di San Giovanni Battista è a un tiro di fucile, a San Cesario di Lecce. Un tempo arricchita da bellissimi affreschi interni, all'ombra di capriate di legno, è stata seriamente danneggiata dall'umido e da rozzi restauri. Oggi è nel più completo abbandono.
Miglior sorte è toccata alla chiesetta soletana di Santo Stefano, con gli interni affrescati in stile bizantino. Romanica la struttura sovrapposta alla primitiva costruzione, (che risaliva al 1200); sempre suggestivo il gioco ombra-luce; preziose anche le strutture successive. Alla metà del secolo XIV risale anche la Guglia di Soleto, il campanile romanico realizzato su commessa di Raimondello del Balzo Orsini, completato in stile gotico fiorito solo nel 1406.
Al dodicesimo secolo risale la piccola chiesa romanica dell'Itria, al centro di Galatone, che è in ottimo stato di conservazione.
Più a sud, poco prima di Casarano, nell'area di Casaranello, è la più antica chiesa della provincia
di Lecce. Secondo gli studiosi, risalirebbe al quinto secolo, tra il 400 e il 430 dopo Cristo. Fu interamente rifatta tra il 1200 e il 1300. Appartengono al quinto secolo la cupola, il capocroce, il presbiterio e l'abside, con altre strutture minori. Cupola e volta del presbiterio conservano mosaici di rivestimento originari, bizantini. Proto-romaniche sono le tre navate, con robuste colonne a pilastro. Notevoli gli affreschi rimasti: risalgono ai primi decenni del 1200.
Taurisano è già nell'area più interna, prelude al colore del cielo che va illimpidendosi sempre più' man mano che si scende verso il triangolo mediterraneo Otranto-Santa Maria di Leuca-Ugento. A Taurisano è la chiesa di Santa Maria della Strada, costruita intorno al 1200, con numerosi elementi bizantini e affreschi interni dello stesso periodo. Bella la facciata, con rosone e un pregevole portale. Complesso bizantino, dunque, con quel tanto di carattere preludente, che può darci l'idea di una transizione verso il romanico. Allo stesso modo della chiesa di Santa Maria del Casale, di Ugento, che come quella di Casaranello sorge su un'altura (questa, meno pronunciata). Basiliana anche questa, con rimaneggiamenti romanici, e interessanti affreschi.
Dalla costiera jonica, a quella adriatica, da una luce a un'altra luce, tutt'e due di timbro greco, sopra le selve della pietra serena, delle case di campagna, dei giganteschi pini che svettano d'improvviso all'orizzonte, su e giù per le serre, dalla cima delle quali si dominano panorami distesissimi, con i paesi abbaglianti che si stagliano a vista, collegati da sottilissime file di case di periferia. E' necessario scavalcare le serre, (dove c'è tutto un mondo da scoprire: masserie, torrioni, casali fortificati, campi recinti con alti muri a secco, cinte di difesa intorno a grandi case rurali), occorre seguire un'ideale via istmica, da occidente verso oriente, per andare a finire sulla breve piazza a conchiglia all'estremità della quale sorge il monumento più caro al cuore dei salentini: il duomo di Otranto, sintesi di arte normanno-sveva, fusa con elementi classici e bizantini.
Tre navate, divise a dieci archi, con quattordici colonne sormontate da capitelli. La Cripta richiama alla mente il duomo di San Nicola, di Bari. Unico al mondo, il mosaico del pavimento, che non si abbraccia con un solo sguardo. Il duomo otrantino sorge su uno sperone a due dorsali, addolcito dalle costruzioni contigue, raccolto là dove si apre la parte elevata della vecchia città. Sotto, di fronte al mare, i massicci bastioni e le robuste torri di difesa. Il mare, chiaro, trasparente, quando il Canale cui la città dà nome non si rabbuia con i suoi improvvisi scatti d'ira, ricorda che qui approdarono spesso i Turchi iconoclasti, e nei centri più a nord e più a sud le torri costiere di avvistamento e di difesa non bastarono a impedire rapine, saccheggi, schiavitù.
Tutt'intorno, protagonista è ancora una volta la campagna, con i suoi ordinamenti perfetti, con i suoi cieli coordinati. San Nicola di Casole rammenta che la storia, qui, fu d'altissimo valore civile, religioso, culturale. Che le rovine siano grandi, purtroppo, è storia della decadenza del nostro secolo, dell'incuria che ha condannato monumenti di eccezionale interesse, dell'abbandono, delle indiscriminate trasformazioni che hanno fatto sparire, tranne la memoria, tutto quel che riguarda una ricchissima geografia di cappelle e cripte e chiese agresti, in prevalenza basiliane, poi romaniche. Una storia che si è ripetuta (restano solo metà dei menhir, tra quelli di cui ci è stata tramandata testimonianza; gli altri sono stati distrutti), che ha riscritto con incredibile costanza pagine su pagine di demolizioni, di furti, di crolli. Un notevole patrimonio d'arte e di cultura è andato disperso. Quel che resta, dunque, va protetto a qualunque costo.
Per il romanico della penisola salentina il discorso forse è meno complicato che per altre forme ed espressioni d'arte: Otranto, Galatina, Squinzano, Soleto, Casaranello, hanno monumenti romanici che sono stati restituiti all'antica dignità, anche se non è pensabile che possano essere trascurati aspetti minori o complementari di restauro; gli altri monumenti, quelli che hanno bisogno di interventi più o meno urgenti, proprio perché fanno parte di un itinerario d'alto valore, e proprio in virtù della loro funzione di centri connettivi tra gli altri maggiori, vanno presi in considerazione a breve termine, prima che, se non tutti, parte di essi diventino definitivamente irrecuperabili.
Pare ormai stabilito che la perifericità della provincia salentina non giochi più sfavorevolmente anche perché il turismo cerca di scoprire vie nuove, climi e paesaggi sconosciuti.
Anche in funzione di una scoperta del Salento, o di un Salento "diverso", forse il meno appariscente, eppure in grado di offrire elementi di attrazione storica, artistica e civile autonomi e suggestivi, il recupero e il rilancio dei nostri beni culturali è un imperativo che ci coinvolge tutti, a tutti i livelli, ovunque, nel Leccese o altrove, operiamo.


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