§ Le inchieste della Rassegna

SICILIA un altro continente




Realizzazione
ALDO BELLO
Testi e statistiche
GUGLIELMO TAGLIACARNE
Hanno collaborato
Ricerche letterarie
Ada Provenzano
Ricerche storiche
Pino Orefice
Ricerche economiche
Claudio Alemanno
Sezione grafica
Sandro Gattei
Sezione fotografica
Folco Quilici
Giuliana Calabrese




Terra di violenti contrasti, di fortissima identitá, isola di isole ricche e povere, frutto di culture, dominazioni, esperienze diverse e complementari, grande nel bene e nel male, madre di geniali scrittori e di sanguinari mafiosi, baricentro di un lago mediterraneo abbandonato dalla storia, divisa fra due poli, uno europeo e uno afro-asiatico, resta un mondo a sé, splendida matrice di poesia. campo di ricerca della sociologia, della storia del costume, della cronaca, dell'inquietudine, della rabbia, del dolore del profondo Sud.


Maggiore isola del Mediterraneo, ha uno sviluppo costiero di 1.039 Km. E' terra relativamente giovane, oggetto di svariate e grandiose vicende geologiche. Rilievi interni emergenti da pianure. Massimo vulcano europeo, l'Etna. Poverissima di laghi, l'isola ha pochi fiumi a regime costante, e abbonda di torrenti e fiumare. Scarse le acque interne; indiscriminate le bonifiche delle paludi, soprattutto costiere, tradizionale tappa degli uccelli da passo, migranti verso l'Europa. Clima e flora tipici dell'area mediterranea.
Il 20 per cento dell'isola è pianeggiante, il 50 per cento collinare. I tre mari che la bagnano sono ricchi di pesci, e la pesca rappresenta una delle attività economiche e di spicco,, soprattutto nella fascia costiera sud-occidentale e intorno allo Stretto di Messina.

Sicilitude

Aldo Bello

Un giorno una sonda piantata nel cuore dell'isola perforò una vena più gonfia delle altre, e dai meandri del sottosuolo zampillò il primo petrolio italiano. Mancando i quattrini, si ricorse ai debiti: si affittò una Liberty quasi in disarmo, la si spedì nel Texas, si acquistò una raffineria vecchia di mezzo secolo, si smontò pezzo per pezzo, la si portò in Sicilia, si rimontò, si stabilirono i contatti elettrici, si premette un bottone, si attese un tempo più breve di un attimo e più lungo di un'eternità: gli ingranaggi scricchiolarono sinistramente, dapprima, poi trovarono un accordo, si misero al passo, accelerarono. In quel preciso momento la Sicilia apriva una breccia nel muro del suo medioevo, ed entrava nel futuro. Non tutta intera, solo una piccola parte: ma in qualche modo, e da qualche punto, si doveva pure incominciare. Erano secoli che quest'isola aspettava il momento buono. Il suo primo futuro lo aveva predisposto uno svevo immigrato, il secondo Federico. tiranno liberale del ramo Hohenstaufen, nella cui corte palermitana nacquero lingua e letteratura italiana. Poi fu la decadenza, e furono la povertà e l' isolamento, le fulminee invasioni e le sanguinose rapine. Chiuse a riccio, la Sicilia inventò allora l'arma dell'autodifesa: un fucile a canne mozze, che esplodeva solo cartucce con quattordici pallettoni da sedici millimetri ciascuno. Intorno a questa cartuccia-simbolo, (la lupara), si raccolse l'onorata società. Quando l'onore decadde, e la società si trasformò in cosca, la mafia cambiò faccia, passando dal mutuo soccorso al delitto.
Le grandi terre della mafia sono le stesse in cui, dal 1868 ad oggi, si sono verificati i più tremendi terremoti. Sono le aree della Sicilia occidentale, e hanno itinerari precisi: Mazzarino, Agrigento, Raffadali, Mussomeli, Menfi, Corleone. Castelvetrano, Partanna, Marsala. Trapani, Castellammare, Alcamo, Palermo, Termini Imerese, Montelepre, Misilmeri, Enna, Partinico, Monreale. Il cuore della Sicilia mafiosa è Corleone. Il cuore dell'organizzazione è Palermo. Un pugno di banditi tiene in scacco l'isola, ed è l'asse portante di una catena di montaggio che va dalle colture di droga nel medio ed estremo Oriente all'apparato "produttivo" della prostituzione, del taglieggiamento, del gioco d'azzardo, del contrabbando, negli Stati Uniti, per un giro annuo di alcune decine di miliardi di dollari. Un pugno di banditi: con un capo dei capi, rispettato quanto temuto. Anche da morto. Sulla tomba di don Calò Vizzini, pezzo da novanta per oltre mezzo secolo, una lapide nel cimitero di Villalba dice: "Comm. Calogero Vizzini / precorse ed attuò la riforma agraria / sollevò le sorti di tutte le ingiustizie / fu difensore del diritto dei deboli / raggiungendo altezze mai toccate". E costui fu imputato, in vita, quale mandante di omicidio, e di una lunga serie di delitti, dalla rapina all'abigeato, dalla truffa aggravata all'estorsione, dalla corruzione di pubblici funzionari alla bancarotta fraudolenta. Fu un magistrato a tesserne l'elogio funebre in un commosso articolo.
La mafia tradizionale, quella dei feudi, l'organizzazione che si incentrava sui gabellotti e sui campieri, sopravvive assai ridotta solo in alcuni centri minori dell'interno. Il colpo mortale lo ebbe nel 1950, con la legge di riforma agraria che limitò in Sicilia il diritto di proprietà terriera a duecento ettari, e con un'altra legge, che proibì la subconcessione delle affittanze. Da allora, altre cose sono accadute: l'arresto di numerosi mafiosi, il domicilio coatto di altre centinaia di sospetti, la sorveglianza dei conniventi. Ma si può parlare di fine della mafia? Virgilio Titone, dell'università di Palermo scrive: "La mafia come vera organizzazione non esiste. Essa è un'espressione dell'anima siciliana. E' una mentalità ( ... )". Nella sua "Storia della mafia e del costume", Titone espone la teoria dell'intrastoria: "Tutta la vita che un popolo ha vissuto dai tempi più remoti non si è cancellata. Vive ancora e contribuisce al determinarsi dell'azione nel presente. Siamo quelli che vogliamo essere, ma anche quello che furono i nostri avi". La causa comune del fenomeno, conclude, è l'inerzia morale di un popolo. Dunque: abbattuta, o quasi, quella che era un'organizzazione con leggi particolari e con riti primordiali, ma che esercitava un potere effettivo, resta un modo di essere e di agire. L'intrastoria, (vale a dire. le stratificazioni inconsapevoli che determinano un modo di pensare), non si liquida comminando qualche anno di confino, né nello spazio di una o due generazioni. Occorre tener conto dell'evoluzione del fenomeno: oggi resta qualcosa della mafia tradizionale; ma c'è anche la giovane mafia, che si è spostata nella città, o che è addirittura emigrata, in Italia e oltreoceano; che ha aperto nuovi "mercati", sconosciuti mezzo secolo fa (prostituzione organizzata, tabacco. droga), e ha travalicato anche i confini della politica, scalando per tempo i gradini della media e dell'alta burocrazia. La mafia ha adeguato i propri metodi ai tempi. Infatti, scrive Michele Pantaleone, "dallo sfruttamento dell'agricoltura e della pastorizia si è passati agli appalti, agli uffici dell'Ente Regione, al contrabbando internazionale, alla conquista del mercato delle grandi città, alla conquista, infine, del potere politico". Ma come mai i "vecchi" sono sopravvissuti? Perché in Sicilia famiglia e amico sono una religione. Dice Titone: "Da qui nasce la negazione dello Stato. Così si esprime la delinquenza". Che si aggiorna: accostando al fucile a carne mozze il mitra a tiro rapido.
Dunque, tutta la Sicilia va alla deriva? Sarebbe ingeneroso affermarlo. Scandali e corruzioni; economia squilibrata; mondo politico instabile: la Sicilia dei poveri fa, sgomenta, il conto delle occasioni mancate, delle omertà, delle frane che hanno cancellato mezza Agrigento, delle speculazioni che hanno deturpato l'inimitabile barocco di Noto e cancellato la vista del mare a Palermo; dei fantasmi di avveniristiche città rurali in cui non circolano né gli uomini né il benessere; delle città industriali in cui la vita è rimasta la stessa di decine di anni fa; dei paesi arroccati in cima ai colli, svigoriti dalle massicce emigrazioni. Di questa Sicilia dolente si parla solo per i delitti clamorosi. Ma c'è un'altra Sicilia. Ci sono delle isole nell'isola. Quelle che sono l'altra faccia di questo Pianeta triangolare.
Siracusa, anzi "le Siracuse", vanno guardate dall'alto del castello Eurialo, la fortezza più poderosa dell'antichità, costruita in sei anni, dal 402 al 397, da Dionigi il Vecchio, l'astuto tiranno che dominava su quei centri (Epipoli, Neapoli, Tiche, Acradina, Ortigia) che poi hanno dato un nome alla città, e che allora avevano sconfitto Atene, scuola del mondo, e non temevano Cartagine, terrore di Roma. Il concetto della pluralità di Siracusa riecheggia ai nostri tempi. A nord si prolunga lo sperone di Augusta, con il settore di rada noto come porto megarese. Al tempo di Dionigi si chiamava Xifonia, e i siracusani l'avevano rasa al suolo. Ora è il vero porto siracusano, l'unico ad avere pontili metallici, senza moli. L'altra Siracusa è a sud, è più importante di tutte, è quella che ha miracolato la città-madre: è Priolo, la più grossa concentrazione industriale dell'isola.
Operosa, fervida, realistica, Catania è una città travolgente, unica in Occidente per la voracità aggressiva del successo. in commercio n nell'imbroglio, dotata di erompenti energie, instancabile nella corsa a creare. a costruire, a inventarsi ogni giorno attività nuove, a investire in imprese sempre più imponenti per dimensioni e reddito. Alcuni dicono che Catania è la Milano del Sud. Il raffronto è restrittivo. Catania è quel che è San Paolo per il Brasile, anche per il disordine edilizio e la trasandatezza di certi suoi quartieri. I suoi mezzi grattacieli camminano prodigiosamente, divorando la montagna più bella del mondo.
Ragusa passeggia sul petrolio, dorme sul petrolio, ma non mangia col petrolio. Ne sente l'acre odore proveniente dai pennelli di fuoco delle ciminiere petrolchimiche. L'oro nero scorre sotto i piedi dei ragusani, convogliato nei pipelines, i grossi serpenti che si snodano da qui alla zona industriale siracusana. Lungo questi serpenti non fugge solo il petrolio, ma anche la grande speranza sorta allorché nel sottosuolo furono scoperte le prime falde. I ragusani si sono così rifugiati nell'agricoltura. Un fatto non comune: qui non si ha ricordo del latifondo. I contadini sono coltivatori diretti in virtù di una distribuzione delle terre attuata nel Sei e Settecento.
Città nobile, Palermo, per arte e cultura. Ma l'aristocrazia dell'antica capitale è da tempo una potenza finita. I nuovi ricchi sono gli appaltatori. La borghesia, dal canto suo, cela il bubbone della burocrazia. L'industria non è grama. Tranne che per la chimica, questa città è in testa in ogni settore.
Dalle alture precipiti di Caltagirone, l'orizzonte verso Gela si infittisce di ciminiere, comignoli, tubi verticali, serpentine, sfere d'acciaio, e il cielo ha già sapore d'Africa: il panorama è avveniristico, la tecnologia ha raggiunto vertici alti. Il complesso petrolchimico è un prodigio di tecnica in un mondo che per troppi secoli ha conservato un'immobilità medioevale.
Fiorente è Messina, colta e civile. Qui il corno isolano si protende nel mare dei pescispada verso il continente, su uno Stretto che atterrì generazioni di ulissidi. All'interno, Enna è un'oasi nel deserto delle pietre accartocciate dal sole, Caltanissetta è, la città più verticale d'Italia. Poi si scende verso Mazara, primo porto peschereccio della penisola. Dalla lontana Pantelleria il vento porta il profumo dello zibibbo. Le altre isole sono a nord, si specchiano in un mare che è un pò anche calabrese: le Eolie, equidistanti da Capo Vaticano e Capo d'Orlando.
Un'altra isola, quella culturale, che dalla Scuola Siciliana al Meli, al Verga e al Capuana fu una lunga nilizia intellettuale e civile, e da Quasimodo a Pirandello, da Brancati a Tomasi di Lampedusa, a Vittorini, a Sciascia, ha dato al nostro Paese un'impronta originale, ha tratto dal porto delle nebbie della letteratura provinciale e strapaesana, orientandolo su rotte europee e planetarie.
Sicilitude, dunque: Sicilianità. Sicilia grande nel bene e nel male, da sempre, con le inquietudini, gli slanci, le improvvise cadute, le rabbiose risalite. Sicilitude: amore per una terra che si ha nella pelle.

Letteratura di Sicilia

Ada Provenzano

E' in Sicilia che, tra il quarto e il settimo decennio del secolo XIII, si elaborarono i primi esemplari autorevoli di una letteratura colta: istituti, forme, metri, temi e per molta parte lo stesso materiale linguistico, che poi emigreranno in Toscana. Merito di Federico di Svevia e del figlio Manfredi, ma anche della favorevole posizione geografica, del peso e della qualità di una lunga tradizione culturale (cresciuta con bizantini, arabi, normanni), e poi di una politica liberale e tollerante che vide, se non fusi, certamente giustapposti gli apporti di diverse civiltà, tutte di alto livello. La Scuola Siciliana fu dunque una specie di "Tavola rotonda", e all'ombra della Cancelleria sveva si elaborarono i modelli più originali e nobili e preziosi di uno stile che avrebbe dominato a lungo nella nascente letteratura nazionale. Lo stesso Federico II, il figlio Enzo, e poi Pier delle Vigne, Jacopo da Lentini Giacomino Pugliese, Giodo e Odo delle Colonne, Percivalle Doria, Rinaldo d'Aquino, Cielo d'Alcamo, e tutta una schiera di rimatori e letterati, provenienti da diverse parti d'Italia, trovò presso la Curia sveva un clima e un terreno fertilissimi. La fine degli Hohenstaufen segnò anche il tramonto di questa tradizione. Ci fu poi un lungo periodo di quasi-silenzio, anche se gli scambi intellettuali con il continente non si interruppero mai del tutto e le voci, pur modeste, della cuitura siciliana, mostrano quanto essa fosse aperta agli influssi delle nuove idee e delle nuove forme d'arte. Così, nel Trecento fiorirono codici e parafrasi di laude, sonetti giocosi e gnomici, e una cospicua storiografia (con Bartolomeo da Neocastro, Niccolò Speciale, Angelo di Capua, Giovanni Campolo, Simone da Lentini, Niccolò Casucchi), mentre nel Quattrocento filologia e letteratura umanistica trovarono nell'isola numerosi e importanti cultori, che estesero la loro operosità anche fuori dell'Isola. In questo secolo, e in tutto il Cinquecento, si registrarono vari riflessi del gusto petrarchesco; il Seicento ebbe esempi numerosi e non trascurabili di marinismo, (Scipione Errico, Giuseppe Artale e il Perrucci); nel Settecento succedette il momento arcadico: tutta una letteratura minore, ripeto, che rimase sempre ai 'margini delle grandi correnti di sviluppo della cultura nazionale e, in nessun momento si inserì con opere di primo piano. Maggior fortuna ebbe la poesia popolare e in vernacolo. Già nel Cinquecento, con coscienza chiara e risoluta, Antonio Veneziano da Monreale fondò una tradizione di letteratura schiettamente dialettale. Sulla sua scia operarono numerosi rimatori, (Galeani, Sanclemente, Maura), che si prolungarono per tutto il Settecento (Gambino, Vitali, Gangi, Scimonelli), e nell'Ottocento, (con il Tempio, e soprattutto con Giovanni Meli, di Palermo). Gli estremi rappresentanti della letteratura accademica e colta saranno, nel XIX secolo, lo storiografo Emiliani-Giudici, i poeti Mario Rapisardi e G. A. Costanzo. Solo con Verga, dopo le prime, dispersive esperienze, riemerse la memoria di una realtà radicata in un paesaggio desolato, popolata di cose e figure intatte ed elementari, calata in un linguaggio vergine e senza tempo, in un patrimonio ricchissimo di riti e costumi e proverbi e melopee, popolari. Così la Sicilia trovò veramente il suo poeta, riecheggiato, nel verismo, da Luigi Capuana, dal napoletano di nascita ma siciliano di adozione Federico de Roberto, da Nino Martoglio, da Vincenzo Di Giovanni. Per opera di questi scrittori, l'Italia ebbe dall'isola tutto lo stimolo di una letteratura nuova, più moderna, nazionale e al tempo stesso europea.
Da questo momento in poi, la cultura siciliana, pur senza rinunciare alla tradizione di poesia dialettale, che anzi si aggiorna e si affina (Francesco Guglielmino, Vann'Antò), si inserisce con una continuità mai verificata nel passato nel quadro della vita e della letteratura italiana. Luigi Pirandello accoglie i temi di una sensibilità modernissima e attinge a risonanza mondiale; Salvatore Quasimodo, G. A. Borgese, Luigi Russo, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, Tomasi di Lampedusa, creano matrici narrative, poetiche e critiche di assoluta originalità. Giovanni Gentile, filosofo e organizzatore della cultura, esercitò un potente influsso sugli svolgimenti della cultura italiana in senso antipositivistico, e fu dapprima parallelo, poi antitetico a Croce. E poi una schiera di contemporanei, da Longo a Marrone, a Villaroel, a Bartolo Cattafi, a Stefano Landi (figlio di Pirandello, Landi è pseudonimo), al Nicastro, al Fiorentino, al Guarnaccia, al Gori, al De Maria, al Comes, che si confondono nell'alveo della comune cuitura nazionale, senza rinnegare il vivente patrimonio di un'esperienza siciliana maturata per secoli in una dura solitudine e in uno scontroso silenzio, in una costante inquietudine e in un macerante amore-odio per tutto ciò che è dentro e fuori Sicilia.

Storia di Sicilia

Pino Orefice

La Sicilia entra nella storia con la colonizzazione greca: Nasso è fondata dai Calcidesi, Siracusa dai Corinzi; Nasso fondò Catania;, Cuma fondò Zancle (Messina). Poco dopo sorsero Selinunte e Agrigento. Nel VI secolo i Fenici fondarono Panormo (Palermo) e Solunto. Nacquero così le "poleis", che non ebbero monarchie: il potere fu tenuto da aristocrazie fondiarie, con le quali gareggiarono più tardi le plutocrazie industriali e commerciali. Intorno al 500 a. C. emersero, tutti siciliani, i "tiranni", conservatori geniali e bellicosi, che tuttavia tennero in gran conto la cultura (Stesicoro, Epicarmo, Sofrone, Gorgia, Empedocle). Con la prima guerra punica, l'isola passò ai Romani. Con l'ordinamento dioclezianeo-costantiniano venne a far parte dell'Italia. Verso la metà del V secolo d.C. i Vandali, stabilitisi in Africa, si impadronirono della Sicilia. Odoacre ne ottenne la restituzione, e Teodorico ne conservò il possesso. Poi passò nelle mani di Belisario. L'isola rimase per tre secoli sotto i Bizantini. Goti e Longobardi non vi misero mai piede. I Musulmani, che avevano flotte potentissime, diedero il via alle incursioni nel VII secolo, poi conquistarono l'isola e la tennero per secoli, finché dovettero cederla ai Normanni. Dagli Altavilla, la Sicilia passò agli Svevi, poi agli Angioini che usarono un pugno così ferreo, da provocare sanguinose rivolte (come quella dei Vespri, del 3 marzo 1282). Nuova guerra, questa volta tra Francia e Spagna: la Sicilia passò agli Aragonesi, poi agli Aragonesi-Castigliani. Unita al Regno di Napoli, fu in seguito sede di un viceré. La politica di rapina degli spagnoli fu tale, da suscitare violentissime rivolte, domate nel sangue.
Con la pace di Utrecht (1713), il regno di Sicilia fu assegnato a Vittorio Amedeo II di Savoia; poi l'isola fu data all'Austria, che la uni a Napoli, finché fu riconquistata dalla nuova dinastia borbonica di Spagna. Nacque così il Regno delle due Sicilie. Gli anni centrali della Restaurazione videro sul trono Federico I, Francesco I, e soprattutto Ferdinando II. Rivolte e moti (in anticipo su analoghi movimenti nei restanti Stati della penisola) non si contarono. Ci fu una breve parentesi sabauda, poi la riconquista borbonica. La coscienza siciliana era però sempre più indirizzata verso l'unità nazionale: da qui, una serie di rivolte, una guerriglia quasi costante, che fu il terreno fertile nel quale crebbe la Carboneria. E da qui, le premesse per la conquista garibaldina, molto più rapida di quel che si poteva pensare. Tuttavia, aristocrazia e borghesia isolane non pensavano a un'annessione vera e propria. Quando questa si verificò, e soprattutto quando i ceti popolari ebbero a soffrire ancor più che nel passato, nacque e si diffuse il brigantaggio, fenomeno sociale di ribellione al nuovo dominio. Dal 1866 al 1894 le condizioni della Sicilia peggiorarono, sicché la coscienza popolare maturò nelle forme organizzative dei Fasci dei lavoratori, poi sciolti con la forza e distrutti con i tribunali militari istituiti da Crispi. Stessa povertà si ebbe nel periodo giolittiano, quando il protezionismo industriale gettò nella fame e nella disperazione I'intero Mezzogiorno, e alimentarono quella "Questione meridionale" che resta il fiore all'occhiello della cultura politica italiana di una lunga età. Dopo il periodo fascista, finito il secondo conflitto mondiale, l'isola fu la prima regione italiana a ottenere l'autonomia, addirittura in anticipo sul varo della Costituzione: il decreto legislativo, del 15 maggio del 1946, concedeva alla Sicilia l'autonomia amministrativa. Nell'aprile del 1947 veniva eletto il primo Parlamento siciliano. L'isola entrava nella storia contemporanea.

PROFILI DELLE REGIONI DEL MEZZOGIORNO

Sicilia

Guglielmo Tagliacarne

L'isola grande con grandi Comuni.
A guardarla su una carta geografica, pare si culli nel vasto mare, a metà distanza fra Gibilterra e Suez, grande ponte fra l'Europa e l'Africa.

Superficie, popolazione e occupazione

La superficie della Sicilia (2.571 mila ettari) è superiore a quella di tutte le regioni italiane. Anche come superficie agraria e forestale, l'Isola (2.386 mila ettari) supera tutte le altre regioni. La densità della popolazione rispetto al territorio (1.891 abitanti per Kmq.) è pari alla media nazionale (185,9).
La Sicilia ha una popolazione di 4.860 mila abitanti al 31 dicembre 1975, superiore a quella del Piemonte (4.542 mila abitanti), ma ha, proporzionalmente, un numero esiguo di comuni: ne ha soltanto 384, mentre il Piemonte ne conta ben 1.209. Una provincia, Ragusa, comprende solo 12 comuni: non v'è nessun'altra provincia con un così piccolo numero di comuni. La provincia di Isernia, che ha una popolazione pari ad un terzo di quella di Ragusa, conta 52 comuni. Questa caratteristica - di comuni molto grandi - non viene generalmente messa in luce, ma va considerata per i suoi riflessi amministrativi e di assetto territoriale.
Un'altra caratteristica da, segnalare è la presenza di due grandi città: Palermo e Catania. Palermo, per numero di abitanti, è al sesto posto fra le città italiane; Catania è al nono. Stiamo parlando di caratteristiche; ve n'è un'altra che merita di essere segnalata; in Sicilia si riscontra il più basso tasso di attività della popolazione. Su 100 abitanti, quelli che figurano attivi (popolazione di oltre 10 anni di età, che esercita una professione, arte o mestiere in proprio o alle dipendenze, ivi compresi i coadiuvanti) sono soltanto 28,2 con una media di 34,7 per il complesso nazionale e contro il massimo di 40,2 nell'Emilia-Romagna, e i valori di 39,4 in Piemonte e 39,0 in Lombardia.

Perdita demografica

Nell'intervallo fra i due censimenti 1951 e 1971 ben 274 su 382 comuni hanno avuto una perdita di popolazione con valori massimi di -52,9 per cento nel comune di Acquaviva Platahìna, -51,2 per cento nel comune di Villalba, -46,7 per cento nel comune di Floresta. Per contro si segnalano forti aumenti di popolazione nei comuni di Gravina di Catania (+234 per cento), Tremestieri Etneo (+240 per cento) e San Giovanni La Punta (+105 per cento).

Movimento naturale e migrazione

La natalità in Sicilia è alta (18,1 per mille abitanti), ma non raggiunge i valori eh altre regioni (Campania, Puglia e Sardegna: la media italiana è15,7 per mille abitanti). La mortalità (8,7 per mille abitanti) è anch'essa piuttosto elevata, essendo superiore a quella di altre cinque regioni del Mezzogiorno, ma è inferiore alla media nazionale (9,5 per mille abitanti). La mortalità infantile è ancora molto elevata (26,4 per mille nati vivi contro 22,6 per mille nella media nazionale). Infine è da segnalare un numero di figli illegittimi relativamente basso, sensibilmente inferiore alla media nazionale (2,0 per 100 nati vivi in Sicilia; 2,5 per 100 nati vivi in media per I' Italia).
La Sicilia presenta un'alta emigrazione verso le altre regioni; essa si rivolge prevalentemente verso la Lombardia (circa 16.000 nel 1973), in Piemonte (13.000), Lazio (4.600), Toscana (3.700) e Liguria (3.300). Pure notevole è l'emigrazione verso l'estero, specialmente in Germania (4.759 nel 1975), Svizzera (1.570) e Stati Uniti (1.147).

Analfabetismo e abitazioni

La situazione abitativa non è delle migliori: considerata la media per l'Italia di 0,96 persone per una stanza occupata, la Sicilia presenta un rapporto di 1,2; quindi meno di una stanza per persona. E' inoltre da notare che in Sicilia si ha il massimo numero di alloggi, se così si possono chiamare, costituiti di cantine, soffitte e altri simili. Il 40 per cento di detti alloggi di tutta Italia sono stati censiti in questa Isola.
L'analfabetismo è ancora elevato: 10,7 analfabeti su cento persone di oltre sei anni di età: circa il doppio della percentuale della media nazionale (5,2 per cento). E' però da avvertire che la maggior parte (7,7 per cento) di detti analfabeti è costituita da persone di oltre 45 anni di età.

Divorzi

Il numero dei divorzi in Sicilia è sensibilmente più elevato rispetto alla media nazionale: 138,2 su 100.000 coniugati e separati contro una media nazionale di 124,8. La cifra della Sicilia è la più alta fra le regioni del Mezzogiorno, ed è superata solo dal Lazio e dalla Lombardia. Anche per le domande di scioglimento del matrimonio la Sicilia presenta una cifra molto elevata.

Attività economiche. Turismo

La Sicilia ha il maggior numero di aziende agricole in confronto a tutte le altre regioni (il 13 per cento dell'intero Paese). I prodotti agricoli più importanti sono gli agrumi, le Olive, l'uva e il grano. Notevole è il numero degli ovini e caprini.
Assume una certa importanza la produzione di energia elettrica (termoelettrica), circa un decimo della produzione nazionale, impiegata specialmente in agricoltura.
L'attività turistica è rilevante, ma assai inferiore a quella che potrebbe essere in relazione alla bellezza dei luoghi, al dolce clima e alle attrattive artistiche e storiche. L'attrezzatura alberghiera ed extra alberghiera non è adeguata al potenziale turistico: essa è costituita da 81 mila posti letto, solo il due per cento del totale dell'Italia.

Turisti stranieri (specialmente tedeschi)

Nel 1975 sono stati ospitati negli esercizi alberghieri ed extralberghieri della Sicilia 1.648.000 clienti con 6.056.000 giornate di presenza, pari al 4 per cento dei clienti di tutta Italia e appena il due per cento delle giornate di presenza. Gli stranieri sono stati 427.000 con 1.949.000 giornate di presenza, pari al 2-3 per cento del totale dell'Italia.
I paesi di provenienza dei turisti stranieri arrivati in Sicilia sono stati specialmente: tedeschi (Germania R. F. 26,4 per cento delle presenze di tutti gli stranieri arrivati nella regione); francesi (19,4 per cento), inglesi (15,0 per cento) e svizzeri (14,3 per cento).
Scarsa è la motorizzazione. Su 100 abitanti si ha, come media italiana, 25,7 autovetture; la media sale a 34 in Piemonte, mentre in Sicilia si riduce a 20,0. Tuttavia questa è la frequenza più elevata in confronto alle altre regioni del Mezzogiorno (solo 14,1 per mille abitanti in Basilicata). A proposito di circolazione automobilistica è da segnalare una cifra interessante: gli incidenti costituiscono in, Sicilia un minimo, 0,7 su 100 veicoli, contro 1,4 nella media. italiana.
Su 100 occupati nelle attività economiche, la Sicilia ne conta 27,3 in agricoltura, 32,2 nell'industria e 40,5 negli altri settori (compresa la pubblica amministrazione).
Il numero dei disoccupati è meno rilevante che in ogni altra regione del Mezzogiorno. Infatti per la Sicilia si hanno 1,2 disoccupati su 100 abitanti, mentre nella media del Mezzogiorno ve ne sono 1,7 per cento.
Un indicatore sintetico di grande significatività è il consumo di prodotti petroliferi, specialmente la benzina per autovetture e l'olio combustibile che riflette l'attività economica (produzione industriale). Nel 1975 il consumo di benzina-auto in Sicilia è stato (835.000 tonnellate) il 7,6 per cento di tutta Italia quello dell'olio combustibile è stato del 6,3 per cento (2.318.000 tonnellate).
Le esportazioni siciliane verso l'estero (movimenti valutari) costituiscono una quota relativamente modesta: circa il 2 per cento di tutta Italia nel 1975 (ma una parte delle esportazioni siciliane si attuano da altre località extra isola).

Elevata la quota di spese per l'alimentazione

Le spese per l'alimentazione assorbono nella nostra Isola il 43,4 per cento di tutte le spese familiari; è una quota sensibilmente più elevata di quella che si riscontra nella media nazionale; segno evidente del livello relativamente basso delle condizioni economiche dei siciliani. Di ciò si ha conferma nella percentuale della spesa per pane e cereali: il 15,4 per cento di tutte le spese alimentari: la più alta rispetto a tutte le altre regioni (media italiana 11,6 per cento).
Le spese per spettacoli (lire 4.707 per abitante nel 1972) sono la metà di quelle del Centro-Nord (lire 8.686) e molto inferiori a quelle della media nazionale (lire 7.183). Tuttavia si rileva una elevata proporzione nei riguardi della spesa per concerti e lirica e di quella per cinematografi.
La distribuzione degli sportelli bancari in Sicilia è abbastanza elevata: è superiore alla media nazionale e ai valori di tutte le altre regioni del Mezzogiorno. Su 10.000 abitanti gli sportelli sono 2,1 in Sicilia, contro una media di 2,0 per l'Italia e di 1,4 per l'area del Mezzogiorno.

Reddito pro capite un milione

Il reddito prodotto netto in Sicilia è stato calcolato complessivamente in 4.827 miliardi di lire, pari a 1.002.355 lire per abitante, contro la media italiana di 1.419.722 lire. Quindi la media siciliana rappresenta il 70,6 per cento di quella dell'Italia., L'agricoltura costituisce ancora una quota notevole in Sicilia. Le quote percentuali di reddito dei vari settori di attività economica rispetto alla media italiana e alla media del Mezzogiorno sono riportate nel seguente prospetto (dati del 1974).

Il tenore di vita

Considerando un gruppo di consumi e spese non alimentari, troviamo che la media pro capite per la Sicilia è soltanto il 73 per cento della spesa per il complesso nazionale. Ma il livello di consumi è sensibilmente diverso da una provincia all'altra. Fra le nove province siciliane si riscontra una media di 82 (fatto =100 la media italiana) nella provincia di Catania, di 81 in quella di Siracusa: sono queste le due province relativamente più ricche. Il valore minimo si riscontra nella provincia di Enna, il cui indice (49) è al di sotto della metà della media nazionale.

Siciliani all'estero: quasi un milione

Fra le collettività italiane residenti all'estero, una delle più numerose è quella dei siciliani, che ammontano a 846.807 persone, così ripartite nei vari paesi.
Essi rappresentano il 18 per cento della popolazione della Sicilia. La collettività più numerosa si trova in Argentina con 217.286 siciliani.

Progressi notevoli negli ultimi anni. Al primo posto Siracusa

Prima di terminare desideriamo confrontare i dati del 1974 con quelli del 1951. Per la media nazionale si è registrato fra il 1951 e il 1974 un aumento del reddito pro capite del 676,8 per cento; in Sicilia l'aumento è stato sensibilmente superiore, 714,1 per cento. Notevoli differenze si notano da una provincia all'altra: l'incremento più importante è stato registrato nella provincia di Siracusa (833,1 per cento) e in quella di Caltanissetta (806,6 per cento). Gli incrementi minori si sono riscontrati nelle province più avanzate: Palermo (673,5 per cento) e Catania (647,8 per cento).
Se si considera il reddito complessivo (anziché quello pro capite), si ha perla Sicilia un aumento del reddito prodotto dal 1951 al 1974 lievemente inferiore a quello medio nazionale: Sicilia 773,8 per cento; Italia 809,7 per cento. La provincia di Siracusa è quella che ha registrato l'incremento complessivo più elevato (999,3 per cento).

Sicilia 2000

Ornello Vitali in un pregevole studio sulle prospettive dell'andamento della popolazione nei prossimi decenni, ha calcolato che la Sicilia dovrebbe contare nel 2.001 una popolazione di 6.636 mila abitanti contro 4.989 mila nel 1971. Con ciò la popolazione dell'Isola, che nel 1971 costituiva il 9,2 per cento della popolazione italiana, salirebbe al 10,3 per cento nel 2.001. A quest'ultima data la Sicilia verrebbe al terzo posto come forza demografica, dopo la Lombardia (14,0 per cento della popolazione italiana) e la Campania (12,1 per cento).
Dette previsioni fanno astrazione dai movimenti migratori: esse assumono un valore abbastanza credibile, in quanto l'emigrazione dell'Isola è in continua diminuzione. Ad ogni modo si riportano le cifre previste anche sulla base di un'emigrazione nella misura constatata negli ultimi due anni.

La densità della popolazione (numero di abitanti per Kmq), passerebbe da 194 nel 1791 a 258 nel 2001 (proiezione del solo movimento naturale, nascite e morti). Resterebbe immutata se si considerasse anche il movimento migratorio.

Le carenze

La Guida statistica dei consumi e delle aree del Mezzogiorno, recentemente pubblicata dalla SVIMEZ ci offre in questo specchietto una situazione dei comuni della Sicilia rispetto alla presenza o assenza di alcuni servizi essenziali.

Aree socio-economiche

Sono state individuate in Sicilia (Unione Italiana delle Camere di Commercio) 32 aree socio-economiche, che rappresentano circoscrizioni subprovinciali caratterizzate da elementi di gravitazione e complementarietà. Di ognuna di esse diamo il numero di comuni e il numero di abitanti.

Sicilia in sintesi

La Sicilia è la regione più estesa d'Italia con una densità di popolazione pari a quella media nazionale. Lo sviluppo industriale è stato importante, ma l'attività agricola costituisce tuttora una risorsa notevole specialmente per i ricchi agrumeti, che rappresentano un primato non solo per l'Italia, ma per tutta l'Europa. Il progresso conseguito negli ultimi anni è stato cospicuo, ma ciò non di meno il valore economico dell'Isola è rimasto arretrato rispetto alla media nazionale, all'incirca, in senso relativo, come venti anni addietro.
La Sicilia conta tre città importanti: Palermo, Catania, Messina; esse concentrano una quota rilevante dei redditi e dei consumi della regione: nelle tre rispettive province si concentra più della metà del reddito complessivo prodotto dalle nove province siciliane; un quarto del totale regionale è rappresentato dalla provincia di Palermo.
Come elementi negativi segnaliamo l'alta quota di analfabeti, l'elevato indice di affollamento nelle abitazioni e il gran numero, di pseudo abitazioni (cantine, soffitte, ecc.), la mancanza in molte abitazioni di adeguati servizi igienici e di acqua potabile, la carenza di aule scolastiche e di mezzi di trasporto, l'insufficienza della ricettività alberghiera, la scarsità di istituti di cura, e infine la bassa quota di popolazione attiva (la più bassa di tutte le regioni italiane).
Nel complesso la Sicilia è povera; i progressi conseguiti da un decennio all'altro sono modesti, specialmente riguardo allo sviluppo industriale; più soddisfacente è il miglioramento del tenore di vita, ma molto si deve ancora fare per portare l'Isola ai livelli di elevata civiltà e prosperità come merita la sua popolazione intelligente e attiva.
Poche promesse sono state mantenute dai pubblici poteri; le delusioni non mancano, fra le quali non si può dimenticare il ponte di Messina, che potrebbe portare all'Isola un grande beneficio economico e sociale.

 


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