§ Sviluppo industriale della Puglia

Triangolo industriale in ascesa Foggia e Lecce perdono terreno




Cosimo Prete



Permane il dualismo fra industria e artigianato. Capitanata e Penisola Salentina accusano perdite nette in aziende e in occupazione: questi, i risultati di un'indagine del Centro Studi Aziendali "Cenzato", di Napoli.

"L'industria manifatturiera della Puglia": questo, il titolo di un'indagine promossa dal Cesan, (Centro Studi Aziendali "Giuseppe Cenzato", di Napoli); indagine che si inquadra nel programma di ricerche monografiche regionali avviate dal Centro fin dal 1974, e che ha già portato alla realizzazione di analoghi volumi sull'industria manifatturiera della Campania, della Calabria e della Basilicata.
Come per i testi su indicati, anche in quello dedicato alla nostra regione riporta un elenco di tutte le imprese, (che sono circa 1.400), di dieci e più addetti, con i rispettivi stabilimenti operanti in terra pugliese; per ciascuna impresa, inoltre, sono riportati l'ubicazione, la classe di addetti e i tipi di prodotti realizzati. Ne vien fuori una chiara radiografia del settore manifatturiero, quello che produce redditi più alti, e che destina la massima parte delle produzioni, oltre che al collocamento interno, all'esportazione sui mercati, siano delle regioni vicine, che dell'estero.

Lo sviluppo nel 1951-71

L'industria manifatturiera pugliese rappresentava nel 1971 poco meno di un quarto dell'industria meridionale: in Puglia sono ubicati il 23 per cento degli stabilimenti presenti nel Mezzogiorno, con un'occupazione complessiva che raggiunge la stessa percentuale, il 23 per cento del totale. Tra le regioni meridionali, la nostra, quanto a potenzialità produttiva, è seconda solo alla Campania.
Il numero di unità produttive nella regione pugliese è rimasto press'a poco immutato in questi ultimi venti anni. Tra il 1951 e il 1971 infatti, esso è aumentato di poco meno del tre per cento. Riguardo all'occupazione, sempre nello stesso periodo, gli addetti all'industria sono cresciuti di circa 56 mila unità, con un aumento di circa il 54 per cento.
Meccanica, metallurgia, tessile, abbigliamento e chimica sono i settori che hanno maggiormente contribuito alla crescita industriale della regione: il loro sviluppo, tuttavia, come ha rilevato il Cesan, ha consentito di dissimulare, sia pure in parte, le conseguenze della crisi che ha colpito i settori più tradizionali: industria alimentare, tabacco, legno e mobili, calzature, pelli e cuoio, ecc. Dagli inizi del 1974, risultano notevolmente mutati i caratteri della struttura industriale pugliese, e modificato l'assetto territoriale. E' sorta una serie di dualismi nella struttura produttiva. che in pratica ha spaccato il sistema industriale pugliese in subsistemi scarsamente integrati fra loro.

Il triangolo industriale Bari - Brindisi -Taranto

Le aree maggiormente favorite dallo sviluppo industriale sono state, sempre nel periodo preso in considerazione, quelle delle tre province centrali. Il grado di concentrazione della potenzialità produttiva è stato favorito in modo particolare dalla localizzazione di iniziative di grandi e grandissime dimensioni (Montedison, Italsider) a Brindisi e Taranto, mentre Bari disponeva già di un tessuto produttivo considerevole, e da tempo il suo porto era diventato uno dei maggiori empori marittimi europei.
Nello stesso tempo, anche in considerazione della dimensione assunta dagli investimenti che si riversavano, lo sviluppo dell'industria manifatturiera si è localizzato esclusivamente nei comuni più importanti, (capoluoghi di provincia e località costiere), ai quali si deve attribuire per intero sia l'incremento di unità produttive che la crescita dell'occupazione. i centri minori, (in genere ubicati nelle zone interne della regione, e con economia prevalentemente agricola), hanno, invece, perduto stabilimenti (meno 12,3 per cento) e addetti (meno 11,2 per cento).

Il dualismo piccola-grande industria

Fino al 1960, l'industria pugliese si presentava con U12 sistema "unipolare" incentrato sull'artigianato e la piccola industria, prevalentemente impegnati in settori tradizionali, e interessati alla fabbricazione di prodotti finiti per il mercato finale. Dal '60 in poi, si assiste e una contrapposizione tra artigianato e grande industria, tra settori industriali moderni e settori' tradizionali, che sfociano nel dualismo tra due forme imprenditoriali: l'iniziativa locale e l'imprenditoria esterna alla regione. Quest'ultima, rappresentata in gran parte dalle Partecipazioni Statali, (Iri, Efim, Egam), e dalla Fiat e Montedison, ha contribuito in misura massiccia allo sviluppo dell'occupazione, ma sembra tuttavia rimasta estranea al resto del tessuto industriale della regione.
Altro dualismo verificatosi: quello della decadenza industriale di due province. La Capitanata produce in massima parte redditi agricoli, anche se di un'agricoltura che, grazie alle grandi aziende presenti, è entrata in una
dimensione moderna. Il Salento, invece, ha pagato per tutti lo scotto di un'agricoltura arretrata, senza che ci sia stata la contropartita di uno sviluppo industriale diffuso. Ciò spiega il basso livello dei redditi e chiarisce l'alto indice di emigrazione verso le regioni del triangolo industriale del Nord e verso i paesi europei. E spiega anche l'elevatissimo indice di frequenza universitaria: piuttosto che stare con le mani in mano, si studia: per essere poi, disoccupati in ritardo.


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