Aprire le frontiere
del Mezzogiorno alla scoperta di visitatori italiani e stranieri è
una necessità più attuale che mai, oggi che sono stati ampiamente
verificati i limiti della capacità di investimento imprenditoriale
e che è stata accertata per molte zone del meridione, sotto il
profilo economico, l'impossibilità di ricevere insediamenti industriali.
L'augurio che ha
sempre accompagnato il nostro turismo - tanto nella sua componente estera,
che in quella interna - è ben noto: speriamo che i visitatori
"scendano in fondo al sacco", non si fermino cioè solo
nell'Italia Settentrionale o Centrale, ma trascorrano le loro vacanze
anche nell'Italia Meridionale. Aprire il Sud al turismo è d'altro
canto una necessità più attuale che mai oggi che sono
stati ampiamente verificati i limiti della capacità di investimento
imprenditoriale e che è stata accertata per molte zone del meridione,
sotto il profilo economico, l'impossibilità di ricevere insediamenti
industriali.
Qual'è infatti la situazione del turismo nel Sud? Che progressi
si sono potuti realizzare? Quanto ancora vi è da fare? Abbiamo
voluto effettuare nostre specifiche elaborazioni, che riflettono la
posizione delle regioni in cui ha operato e opera la Cassa del Mezzogiorno
(escluse ben s'intende Lazio, Umbria e Marche, anche se parzialmente
rientrano nella giurisdizione della Cassa) raffrontata con la posizione
del turismo sull'intero territorio nazionale. I dati si riferiscono
all'inizio e al termine del decennio tra il 1965 e il 1974.
Mentre i 14.406.449 di presenze di turisti di ogni nazionalità
anche italiani, nel Sud, nel 1965, rappresentavano il 14,77% del totale
(97.535.149) di quell'anno, i 45.522.740 del 1974 sono il 16,39% del
totale di 277.711.855.
Il Sud non ha guadagnato molto in proporzione, tuttavia l'1,62% di aumento
ha pur sempre un valido significato se si pensa che, al ritmo attuale
(del 1974), ogni punto (1%) significa circa 2.800.000 presenze.
Che il Sud non abbia guadagnato di più, deriva:
a) dalla diversità dei punti di partenza rispetto al Nord; b)
dalla vicinanza geografica del Nord alle regioni europee che formano
la parte preponderante del flusso turistico estero in Italia; c) dalla
larga parte di turismo interno effettuato da località viciniori,
di cui possono godere le regioni del Nord e del Centro, caratterizzate
tutte da una densità di popolazione molto più forte di
quella del Sud.
I 7.329.481 di presenze di stranieri nelle regioni del Sud, nel 1974,
costituiscono il 10,4% del totale di presenze straniere, in Italia nello
stesso 1974 (70.235.782).
Per contro nel 1965 le presenze straniere erano state nel Sud 4.734.900
e cioè solo l'8,5% del totale di quell'anno in tutte le regioni
(55.079.317).
La componente estera cioè ha registrato al Sud, in presenze,
un aumento di quasi 2 punti, esattamente l'1,9%. Un punto, per intenderci,
al ritmo attuale (1974), significa oltre 450.000 presenze.
Allora per deduzione come si è comportata la componente interna?
I 38.193.259 di presenze di italiani nelle regioni del Sud nel 1974,
costituiscono il 18,4% del totale di presenze di turismo interno in
tutta Italia nello stesso anno (107.476.073).
Per contro nel 1965 le presenze italiane erano state nel Sud 9.671.549
e cioè il 22,7% del totale di quell'anno in tutte le regioni
(42.455.832). Quindi la componente italiana ha segnato al Sud una diminuzione
percentuale di 4,3 punti pur essendo imponente il passaggio da 42 a
207 milioni di presenze di turismo italiano nel Sud.
In definitiva gli elementi statistici ci dicono in sintesi che si è
operato con dei buoni risultati per espandere il turismo del Sud, ma
molto, tanto ancora vi è da fare. Non è quindi certo il
caso di allentare questa operosità e meno che mai deporre quegli
strumenti che si sono rilevati efficienti ed utili.
Buona parte delle attrezzature alberghiere e turistiche in genere, sono
state realizzate in questi anni nel Sud, attraverso gli interventi straordinari
della Cassa per il Mezzogiorno. Vengono alla mente tanti nuovi alberghi
ben collocati, efficienti ed anche eleganti certamente al di là
della burocratica classificazione di Il categoria, ad essi imposta per
evitare al pubblico tariffe elevate e garantire all'imprenditore le
agevolazioni previste. Questo sistema di incentivi a favore del turismo
è regolarmente consacrato nel testo unico sugli interventi per
il Mezzogiorno, agli artt. 125, 126 e 127, che appunto contemplano le
agevolazioni per le iniziative alberghiere, la maggiorazione dei contributi
sui mutui per iniziative alberghiere ed infine la partecipazione della
Cassa in enti per lo sviluppo turistico o la costituzione da sua parte
di nuovi enti.
Ora sta però per verificarsi la soppressione, attraverso provvedimenti
di legge, di tali artt. 125, 126 e 127 e quindi degli incentivi che
essi rendono possibili. Con una proposta di origine governativa, non
ancora ufficializzata ma di cui la stampa ha già dato largamente
notizia, si riordinano in base a nuovi criteri gli interventi per il
Mezzogiorno ed in pari tempo si depennano le agevolazioni turistiche.
La ragione che viene addotta per giustificarne la soppressione a prima
vista appare del tutto logica e puntuale. Le competenze sul turismo
sono passate dallo Stato alle Regioni, secondo il dettato dell'art.
117 della Costituzione. Sono quindi competenti le Regioni meridionali
a stimolare e sorreggere il turismo sul proprio territorio.
Ma chi si soffermi a riflettere sulla disposizione che sopprime gli
incentivi dal centro, ne avverte senza molto sforzo tutte le conseguenze
negative. E' pacifico che le Regioni meridionali dispongono di mezzi
finanziari sensibilmente inferiori a quelli delle altre, e quindi non
potranno destinare alle agevolazioni per il turismo che fondi molto
limitati. Di qui un'ulteriore divaricarsi di possibilità e di
risultati del turismo meridionale rispetto a quello settentrionale e
centrale.
Mancherà poi un valido, coordinamento e contemperamento delle
iniziative che saranno prese dalle singole Regioni per proprio conto.
Infatti, anche se lodevolmente si sta affermando la prassi di una frequente
consultazione degli esponenti degli Enti Regione fra loro, non sembra
davvero facile la volontaria rinunzia, in nome del bene comune, ad appoggiare
determinate zone e comprensori, tutti certamente presenti nell'animo
degli amministratori regionali come parte viva di se stessi.
Vi è da aggiungere che il turismo non potrà neppure valersi
delle nuove disposizioni recate dal disegno di legge che abbiamo citato,
perché non si ritiene che alberghi ed altri esercizi turistici
possano essere qualificati come industrie, tali dovendo necessariamente
essere le aziende cui sono rivolte le incentivazioni. Si tratta di una
discriminazione discutibile, specie per gli esercizi alberghieri che
autorevoli sentenze, anche della Cassazione, hanno riconosciuto - quando
provveduti di una vera e propria organizzazione - come "stabilimenti
industriali".
Tanto più grave appare l'assenza di un coordinamento non solo
tra le iniziative turistiche regionali, ma anche tra queste e quelle
a carattere industriale che potranno essere assunte sul piano della
programmazione economica nazionale. Come dire che nella nostra Italia,
non è possibile o non mette conto armonizzare tra loro i moderni
fenomeni dello sviluppo industriale in senso stretto e dello sviluppo
turistico! Mentre invece prendono sempre più risalto, il valore
sostitutivo del turismo là dove l'industria non può penetrare,
l'effetto moltiplicatore del turismo e cioè la sua propensione
a indurre la nascita di industrie, così come, inversamente, la
messa in valore di zone turistiche viciniori a insediamenti e stabilimenti
industriali "compatibili". E al di sopra di tutto questo sta
l'esigenza di una concertazione appropriata per definire le vocazioni
dei vari comprensori e varare programmi validi ed integrati di crescita
industriale e turistica.
Come risolvere allora la questione?
Le categorie degli operatori turistici si sono già pronunziate
per l'esigenza di uno studio approfondito del problema, senza frette
nocive, in sede idonea. Per l'aprile 1976 è annunziata la Conferenza
Nazionale del Turismo che riunirà uomini di Governo centrale
e regionale, alti funzionari ministeriali e degli enti pubblici, e operatori
economici del turismo. Si decida questo problema di stanziamento e -
prima ancora - di coordinamento e di programmazione sulla base degli
indirizzi che adotterà la Conferenza Nazionale; frattanto, però
nulla venga innovato circa la possibilità di stabilire dal centro
idonei incentivi per il turismo meridionale.
La Conferenza - è chiaro - potrà risolvere non solo e
non tanto la questione di specie sollevata dalla proposta di soppressione
degli artt. 125, 126 e 127 del testo unico, quanto il più generale
problema del coordinamento delle competenze regionali sull'intero turismo.
A nostro avviso i principi ai quali ci si dovrà attenere - nell'interesse
del Meridione e del turismo meridionale, oltre che del turismo "tout
court" - sono i seguenti:
1) Riconoscimento della competenza piena, in campo strettamente regionale,
degli Enti Regione. Indipendentemente dal dettato costituzionale, siamo
convinti che le Regioni possono dare al turismo un apporto fatto di
fantasia e di conoscenza più avvertita delle possibilità
di sviluppo di zone nuove (che nel Sud sono tante e corrispondono egregiamente
all'odierna tipologia della domanda turistica, orientata in prevalenza
verso vacanze identificantisi con il godimento dell'ambiente naturale).
2) Sottoposizione della competenza degli Enti Regione ad indispensabili
forme di coordinamento interno. Si tratta di istituzionalizzare le consultazioni
ora volontariamente praticate dalle Regioni.
3) Stanziamenti specifici per erogazioni dal centro di fondi da destinarsi
al turismo meridionale.
4) Emanazione della legge quadro sui principi ai quali gli Enti Regione
dovranno ispirarsi nell'esplicazione delle loro competenze turistiche,
e secondo i quali dovranno coordinare la propria attività. E'
questo un coordinamento esterno e generale di grado superiore a quello
interno di cui prima si è parlato, e a cui anche le Regioni non
possono non sottoporsi in quanto parte integrante dello Stato italiano.
E' evidente che la legge quadro - di cui sentito da tempo il bisogno
- potrà dissipare le incertezze e riempire i vuoti oggi esistenti
in tema di organico funzionamento delle attività e delle competenze
turistiche della Pubblica Amministrazione (Ministero del Turismo, Comitato
Interministeriale per la Programmazione Economica-CIPE, Ente Nazionale
Industrie Turistiche - ENIT, Enti Regione e altri enti locali). I dubbi
e le incertezze, suscitati dalla questione degli interventi nel Mezzogiorno,
assumono quindi un valore emblematico sia perché propongono il
più generale problema del coordinamento di tutte le attività
turistiche, sia perché a nostro avviso debbono essere risolti
come indicato sub 3) e cioè sul piano dello stesso coordinamento
generale.
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