§ Panorami della "Rassegna"

L'ultimo quarto di secolo dell'economia Salentina




Fioravante Laudisa



1. Prima di approfondire la problematica relativa alla dinamica economica del Salento, è opportuno fare una premessa di ordine territoriale.
Quando si parla di Salento ci si riferisce, ormai, alla sola provincia di Lecce e non già alla regione meridionale della Puglia che sino ad alcuni anni fa si identificava con quasi tutto il territorio delle attuali tre province (Lecce, Brindisi e Taranto). Ciò perché sono ormai avvenuti in seno alle singole province tali e tanti mutamenti dovuti a fattori di natura politico-amministrativa economica sociale e culturale, che hanno fatto perdere gran parte del carattere unitario che la vecchia regione salentina possedeva. Tali mutamenti hanno avuto inizio con la elevazione a province autonome, prima di Taranto nel 1926 e poi di Brindisi nel 1927, e sono continuati con una serie di successive decisioni di autonome gestioni di Enti territoriali, e con fatti economici e sociali i quali hanno finito col produrre significative caratterizzazioni anche sul costume delle diverse società provinciali. Taranto, ad esempio, va sempre più caratterizzandosi come un'area di sviluppo industriale concentrata; Lecce, a differenza, conserva la sua caratteristica di centro di cultura e di professionalità.
Non si può, pertanto, non prendere atto della continua evoluzione dell'ambiente e registrarne conseguentemente i mutamenti avvenuti. Nel caso specifico non si può non prendere atto, sia pure con una punta di amarezza, che il Salento si è col tempo ristretto alla sola provincia di Lecce, che, quale epicentro storico-culturale della antica regione, ha saputo conservare i caratteri peculiari che hanno sempre distinto, questo estremo lembo della penisola italiana, diverso dal resto della Puglia e dall'intero Mezzogiorno.


2. Fatta questa necessaria premessa di ordine territoriale, se ne impone un'altra di natura temporale.
Perché un quarto di secolo, e perché l'ultimo?
Un quarto di secolo, perché trattasi di un arco di tempo, sufficiente per consentire la rilevazione di tendenze evolutive decisamente qualificanti di profondi mutamenti di natura economica.
Infatti, un arco di tempo più breve, per esempio dieci, quindici anni, è piuttosto limitato per poter individuare eventuali tendenze evolutive che hanno un carattere costante e quindi una decisa efficacia di ristrutturazione profonda dell'economia, e pertanto l'indagine, limitata ad un periodo breve, potrebbe indurre a valutazioni errate o quanto meno imprecise. Un arco di tempo maggiore, esempio 25/30 anni, è senza dubbio più idoneo a rilevare i vari fenomeni più o meno costanti che caratterizzano le tendenze innovatrici, che sono poi quelle che provocano una profonda modificazione della struttura economica di una zona. Una simile rilevazione consente altresì di esprimere un giudizio di merito anche sulla politica economica attuata durante gli anni compresi nell'arco di tempo preso a base dell'analisi.
Per tali sostanziali e chiari motivi si è stabilito di prendere in esame un quarto di secolo. Perché l'ultimo quarto di secolo? E' presto detto. Per tre ragioni fondamentali che permettono una corretta indagine valida per esprimere un giudizio sulla azione politicoamministrativa di sviluppo economico attuata nel Salento.
Il primo motivo è che nell'ultimo quarto di secolo non vi sono stati accadimenti di natura eccezionale, quali conflitti armati o gravi calamità naturali. Di ciò bisogna essere più che contenti perché finalmente il nostro Paese ha goduto di un lungo (anzi il più lungo) periodo di pace dal conseguimento dell'unità. Lo stesso dicasi per il fatto che non si sono abbattuti, nel Salento, come a Firenze in Sicilia ed altrove, gravi calamità che provocano profondi guasti alle economie locali.
Il secondo motivo è di carattere tecnico, in quanto l'arco di tempo considerato comprende una serie periodica di rilevazioni statistiche e di censimenti ufficiali generali, per cui è possibile effettuare una analisi su dati assai vicini al vero, e comunque ufficializzati.
In fine vi è il terzo motivo che è di carattere più generale, in quanto consente di trarre da una indagine sul periodo più recente una utilità pratica ed immediata ai fini di orientamenti futuri ed inoltre suscita un più largo interesse sull'ambiente (classe dirigente ed operatori economici in particolare); mentre una indagine sulla evoluzione economica della provincia di Lecce riferita ad epoche più remote, pur essendo valida sotto il profilo tecnico-teorico, non suscita un diretto interesse in tutti coloro che partecipano alla dinamica economica del Salento, in quanto estranea alla loro esistenza.


3. Entrando nel vivo della indagine, è necessario aggiungere che sarebbe estremamente interessante allargare l'analisi sullo intero habitat, in modo che lo studio risulti completo e preciso nella individuazione e valutazione di ogni fenomeno, sì da consentire chiari suggerimenti.
Un tale studio, però, richiede un tempo piuttosto lungo per essere compiutamente elaborato e non può essere svolto adeguatamente da una sola persona, in quanto richiede l'impegno di un gruppo di lavoro numeroso e qualificato nei singoli settori oggetto della ricerca, nonché una larghezza di mezzi finanziari per poter affrontare le non poche spese di rilevazione e di indagine. Purtuttavia, stante lo scopo che si prefigge il presente studio, quello cioè di individuare le principali e più macroscopiche trasformazioni avvenute sulla economia salentina durante l'ultimo quarto di secolo, è sufficiente limitare la analisi alla dinamica demografica, dei redditi e delle forze di lavoro, salvo poi ad estendere l'analisi anche agli investimenti, ai consumi ed alle principali strutture produttive.


4. Il primo esame è quello relativo alla dinamica demografica, la quale può essere rilevata, per l'arco di tempo considerato (1951/74), attraverso i risultati accertati dai tre censimenti generali eseguiti rispettivamente il 4/11/1951 (il IX dall'unità d'Italia), il 5/10/1961 (il X) e il 24/10/1971 (XI). Dai dati accertati con i censimenti innanzi specificati risultano evidenti alcune tendenze che vanno sufficientemente valutate sia per gli effetti positivi che esse arrecano all'economia della provincia di Lecce e sia per quelli negativi.
La tavola seguente riporta i dati globali sulla popolazione residente e presente, risultati ai tre censimenti generali (IX-X- e XI).


Al 31/12/1974 la popolazione residente nella provincia è risultata di 720.000 abitanti (il dato è provvisorio, per cui è arrotondato).
Per la città di Lecce, unico comune della provincia la cui classe di ampiezza supera i 50 mila abitanti, i censimenti generali hanno registrato la seguente popolazione.


Al 31/12/1974 la popolazione residente nella città di Lecce è risultata di 86.375 abitanti. Se confrontiamo l'incremento complessivo registratosi nel capoluogo durante il quarto di secolo considerato con quello accertato per l'intera provincia, rileviamo una sostanziale differenza. Infatti la popolazione residente nel capoluogo è passata da 63.831 abitanti. del 1951 a 86.375 nel 1974, con un aumento complessivo di 22.544, pari a circa il 35%, mentre la popolazione dell'intera provincia è passata da 623.905 abitanti residenti nel 1951 a 720.000 nel 1974, con un aumento complessivo di 96.095 abitanti, pari al 15,5% circa., Sostanziale differenza nel tasso di incremento che induce ad approfondire l'analisi della dinamica demografica per scoprire le cause che hanno prodotto tale fenomeno. Ma per far ciò i soli dati sulla popolazione residente e presente non sono sufficienti; necessita almeno integrarli con quel li relativi all'accrescimento naturale della popolazione ed al movimento anagrafico o movimento emigratorio.
Per brevità di trattazione, imposta anche dalla natura del presente lavoro, si indicano di entrambi gli elementi solo i saldi e non 1 già i dati relativi alle singole componenti (nati vivi e morti, cancellati ed iscritti).

Dai dati fin qui riportati è possibile rilevare le seguenti tendenze:
a) il tasso di accrescimento naturale della popolazione, pur manifestando negli ultimi anni qualche lieve riduzione nelle nascite, rimane ancora assai elevato, attestandosi su valori superiori a quelli medi nazionali, e risulta tra i più elevati del Mezzogiorno, dopo quelli registrati in Campania
b) il tasso di accrescimento naturale della popolazione registratosi nel capoluogo è inferiore a quello medio accertato nella provincia, a conferma che il contenimento delle nascite e tanto maggiore quanto più alto è il grado di civiltà raggiunto; ciò non spiega però la notevole differenza accertata nell'incremento globale della popolazione residente, registratosi durante l'arco di tempo considerato (1974/'51), tra il capoluogo (il 35%) e la provincia (il 15,5%). Tale differenza la si spiega chiaramente attraverso l'esame del movimento anagrafico, caratterizzato da forti flussi emigratori
C) nei comuni della provincia la popolazione residente risulta sempre maggiore di quella presente, segno evidente che è in atto un continuo flusso emigratorio che solo in parte è registrato all'anagrafe dei comuni, in quanto molti emigranti o non si fanno cancellare per non perdere alcuni diritti (assistenza, assegni familiari, ecc.) oppure sperano di poter rientrare piuttosto rapidamente ai propri paesi di origine e quindi ritardano a darne comunicazione agli uffici competenti. Nel capoluogo invece si registra una tendenza all'immigrazione anche se in un quarto di secolo il movimento anagrafico annota un saldo attivo di appena 1.900 cittadini immigrati, il che non può essere interpretato come espressione di una tendenza verso l'urbanesimo, fatto questo che potrà forse verificarsi in futuro a seguito dell'insediamento su Lecce della FIAT-ALLIS e di altre industrie sebbene va tenuto presente a tale proposito che il capoluogo salentino è al centro di un "circondario" di comuni i cui abitati sono distanti dalla città soltanto pochi chilometri (4/6), anzi vi è un rione di Lecce, il rione "Castromediano", nel quale risiedono oltre 1.500 abitanti, che è territorio del Comune di Cavallino
d) il movimento anagrafico presenta, per la provincia di Lecce, un saldo negativo veramente notevole, in quanto denunzia l'espatrio di ben 147.217 salentini che sono emigrati durante il periodo considerato (1974/1951) con un flusso medio annuo di oltre seimila emigranti.
Una tendenza che sarebbe più corretto, nel caso in esame, indicare col termine di via obbligata la quale è l'effetto primo e più grave dello stato di sottosviluppo della economia salentina che ancora stenta a decollare.
5. La conferma che la forte emigrazione registrata nell'ultimo quarto di secolo è l'effetto diretto della condizione di sottosviluppo economico della provincia di Lecce la si riscontra esaminando i redditi accertati durante tale periodo.
Per brevità di trattazione si ritiene sufficiente riportare soltanto i dati sui redditi riferiti all'inizio di ogni lustro compreso nell'ultimo quarto di secolo.


I risultati conseguiti negli anni 1972 e 1973 (i dati relativi al 1974 non sono stati ancora determinati) non presentano sensibili variazioni nella partecipazione dei vari settori alla formazione del reddito globale.
In sostanza, dall'esame dei dati riportati nella precedente tavola, si può rilevare una chiara tendenza della economia del Salento verso una ristrutturazione settoriale. Infatti da una economia fondamentalmente agricola, quale era quella degli anni cinquanta, si è gradatamente passati ad una economia prevalentemente agricola negli anni sessanta, durante i quali si è accentuato lo sviluppo dell'industria e più ancora dei servizi, fino a giungere verso gli anni settanta ad una economia mista, là dove cioè partecipano in maniera determinante, alla formazione del reddito globale, tutti i settori produttivi. Tendenza senza dubbio positiva, ma che presenta alcuni aspetti chiaramente anormali, ai fini di un armonico sviluppo della intera economia.
L'aspetto che più richiama l'attenzione di chi si accinge all'esame dei redditi conseguiti durante l'arco di tempo considerato è il repentino e sproporzionato sviluppo che ha registrato il settore dei servizi soprattutto negli anni sessanta. Non v'è dubbio che tale tumultuosa espansione non è frutto di una crescita fisiologica del settore, ma è un fatto anormale che nasconde certamente disfunzioni e squilibri. Che tale giudizio risponda alla realtà, lo si rileva chiaramente osservando, ad esempio, la struttura commerciale della provincia di Lecce, la quale manifesta evidenti scompensi e gravi disfunzioni dovute appunto alla anormale ed irrazionale crescita di tale attività. Un simile approfondimento dell'indagine particolarmente incentrato sulle strutture produttive è certamente interessante, e può essere oggetto di altro saggio. Ora è sufficiente annotare che il settore dei servizi manifesta anche nel Salento aspetti preoccupanti.
Altra considerazione che emerge dall'esame sui redditi di settore è il generale incremento delle attivitá produttive, compresa l'agricoltura, con una maggiore accentuazione della espansione dell'industria, oltre, come si è detto dei servizi.
Da uno studio del prof. G. Tagliacarne "Radiografia Socio-economica del Mezzogiorno" si rileva che l'indice complessivo dell'incremento del reddito globale per la provincia di Lecce nel periodo 1971/'51 è stato del 511,5%; mentre per la sola industria è stato del 631,6%. Anche questo rapporto conferma il progresso realizzato dalla economia del Salento verso una maggiore espansione del secondario.
Infatti un altro studio più recente del prof. G. Tagliacarne pubblicato sul n. 20-21 di "Mondo Economico" (maggio 1975) riporta la variazione percentuale dell'industria nel periodo 1951-73 che sale allo 884,2% e la quota percentuale del reddito industriale sul reddito complessivo provinciale che passa dal 18,7 del 1951 al 22,9% nel 1973.
Per completare il quadro panoramico sui redditi conseguiti nel Salento, durante l'arco di tempo considerato, è necessario riportare i redditi medi per abitante, limitatamente, anche in questo caso, all'inizio di ogni lustro.


Per meglio valutare i risultati si è ritenuto utile riportare, nel precedente prospetto, sia il numero indice con il reddito medio nazionale, e sia il posto occupato dal Salento nella graduatoria decrescente delle province italiane, formulata annualmente dal Ch/mo prof. Tagliacarne.
In tal modo è posta, con estremo, evidenza, la grave condizione di sottosviluppo della provincia di Lecce, la quale purtroppo non riesce a staccarsi dagli ultimi posti della graduatoria, ne riesce a realizzare un sostanziale incremento del reddito medio per abitante, il quale ancora sì attesta su valori così bassi in confronto alla media nazionale (appena al di sopra della metà) sebbene, durante l'arco di tempo' considerato si è guadagnato faticosamente qualche punto.
6. La condizione di sottosviluppo economico della provincia di Lecce causa prima del forte flusso emigratorio accertato con l'esame della dinamica anagrafica produce contemporaneamente altri effetti di ordine sociale sulle popolazioni salentine. Effetti che si manifestano con intensità diverse nelle varie zone della provincia, ma che sono ugualmente negativi per l'intero Salento. La parte della provincia salentina che subisce i maggiori effetti negativi di ordine sociale è senza dubbio quella più a Sud, comunemente indicata come Capo di Leuca o Basso Salento.
Uno studio di questa zona più povera della provincia dì Lecce è stato già compiuto, ma sarebbe interessante un ulteriore approfondimento che meglio evidenzi la gravità di certi fenomeni in atto, quali ad esempio lo spopolamento progressivo di alcuni comuni a causa della crescente emigrazione.
Ma indipendentemente dalla diversa intensità di effetti negativi che lo stato di depressione della economia arreca alle singole zone, è ugualmente interessante ed utile riportare i dati globali riferiti alle forze di lavoro. E' sufficiente per un giudizio generale sugli effetti sociali che la condizione di sottosviluppo economico arreca al Salento riportare i bilanci occupazionali riferiti agli anni:

Come si rileva dai bilanci occupazionali riportati la situazione sociale, riferita alle sole forze di lavoro, presenta una pesantezza notevole sia per quanto attiene alla disoccupazione e sia per quanto si riferisce alla sottoccupazione.
La disoccupazione che nel 1951 risultava agli uffici di collocamento di 40 mila unità, anziché diminuire, è salita a 61 mila nel 1961 per scendere a 45 mila nel 1971. Così pure per quanto si riferisce ai sottoccupati, i quali passano da 19 mila del 1951 a 31 mila del 1961 per giungere a 78 mila nel 1971.
In sostanza la situazione occupazionale delle forze di lavoro è andata peggiorando. Nè i dati relativi al 1974 manifestano qualche miglioramento; anzi in questi ultimi anni si è aggiunta alla normale disoccupazione di lavoratori manuali, una crescente disoccupazione di giovani in possesso di titoli di studio, compreso anche diplomi e lauree, che danno diritto ad aspirare a ricoprire un impiego pubblico o privato. E' questa una nuova piaga che viene ad aggiungersi alle altre tre (emigrazione, disoccupazione e sottoccupazione) che caratterizzano dall'unità d'Italia, ed anche prima, le regioni depresse del Mezzogiorno.
L'unico aspetto positivo che si rileva dall'esame dei bilanci occupazionali innanzi riportati è la tendenza alla ristrutturazione delle forze di lavoro. Infatti, alla riduzione dei lavoratori occupati m agricoltura (sono scesi da 171 mila del 1951 ad 85 mila, il che è positivo a tutti gli effetti per il settore primario) ha fatto riscontro l'aumento delle forze di lavoro assorbite dai settori extragricoli, compreso l'industria, che ha registrato un aumento di occupati del 55%. Tendenza alla ristrutturazione che è confermata anche dall'andamento della occupazione negli anni 1972/'74.
Comunque non è certo sufficiente tale, tendenza favorevole per esprimere un giudizio positivo sulla condizione sociale del Salento, la quale invece è piuttosto grave, e rispecchia lo stato di sottosviluppo dell'intera economia salentina.
La grave crisi della economia italiana ha sicuramente toccato il fondo, e già si intravedono alcuni squarci di cielo azzurro, per cui la speranza di una ripresa appare vicina. E' in tale prospettiva che necessita prepararsi per meglio e più decisamente inserire l'economia salentina nella dinamica di ascesa della economia del Paese.


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