Come
si distrugge una rilevante risorsa nazionale - Le Belle Arti in appalto?
- Il disinteresse della Comunità Economica Europea - Gli interventi
straordinari nel settore.
Un'inchiesta del
ministero dei Lavori Pubblici ha messo in rilievo che nella zona della
Valle dei Templi, nel territorio di Agrigento, sono state realizzate
senza licenza almeno 485 costruzioni, per oltre centomila metri cubi.
Le ville vesuviane, irripetibili testimonianze dell'architettura campana,
continuano a cadere a pezzi. Una testarda decisione clientelare ha
riconsiderato come attuabile, tra le foci dei fiumi Crati e Coscile,
il più fantomatico dei porti meridionali, quello di Sibari,
un cui molo foraneo, costruito pochi anni fa, è stato quasi
interamente ingoiato dalle sabbie mobili del fondo marino: era costato
qualcosa come cinque miliardi di lire (del tempo). La costa garganica
si va progressivamente degradando, con costruzioni faraoniche e con
l'inquinamento dei laghi di Lesina e Varano. Assistiamo all'estinzione
dell'orso marsicano recintato nel Parco d'Abruzzo, mentre i tentativi
di speculazione edilizia si moltiplicano a vista d'occhio anche qui,
con una dichiarazione di guerra a Italia Nostra e alcune marce su
Roma.
Questi, alcuni esempi, e neanche dei più clamorosi, di quel
che accade nel settore del patrimonio naturale e artistico meridionale.
Potremmo dire anche dello stato di abbandono di migliaia di gruppi
monumentali, di musei, molti dei quali sconosciuti, o chiusi, o saccheggiati.
Ma la lista sarebbe interminabile, e il discorso ci porterebbe assai
lontano. Oltre tutto, dovremmo entrare nel merito delle manovre delle
Belle Arti, passate un pò sottobanco, poco tempo fa, ma abbastanza
gravi per essere taciute in questa sede: esistenza di manovre avvalorata
dalla circolazione di alcune fotocopie di una singolare corrispondenza
fra la Direzione Centrale delle Belle Arti e la Fondazione Agnelli
di Torino: dalle lettere si evince la proposta che la centrale del
patrimonio artistico !italiano ha avanzato per avviare, è detto
testualmente, "una stretta collaborazione per la messa a punto
di un progetto di aggiornamento del personale", per impostare
in modo nuovo il problema stesso della conoscenza, della protezione
e dell'utilizzazione del patrimonio artistico ed ambientale del nostro
Paese. Risulta che dopo un mese la fondazione torinese ha risposto,
accludendo un preventivo di 34 milioni di lire. Cioé: le Belle
Arti si danno in appalto. Cosa ci si può aspettare a livello
territoriale e locale, a meno che non ci siano decisivi interventi
delle regioni, quando gli strumenti centrali preposti dallo Stato
alla tutela di delicati settori non sono in grado di svolgere le loro
elementari mansioni? E che cosa può accadere nelle aree meridionali,
tradizionalmente arretrate' quando lo Stato è assente, quando
le deleghe alle regioni sono o limitate o ambigue, e quando gli strumenti
tecnico-finanziari sono pressoché inesistenti?
Come componente socio-economica del reddito globale meridionale, il
turismo è entrato in scena solo da pochi anni. Eppure, la rottura
di antichi schemi civili ed economici è stata quasi immediata.
Più che al passo, i meridionali hanno cercato di mettersi al
trotto con i tempi. La ricettività alberghiera ed extra,alberghiera
ha registrato una crescita vertiginosa, come ha messo in evidenza
un'indagine della Svimez, coordinata dal professor Tagliacarne. Di
pari passo, un moderno turismo di scoperta di comprensori nuovi, sconosciuti,
ha diretto verso il Sud continentale ed insulare masse crescenti di
turisti, sia italiani che stranieri.
Particolari condizioni di privilegio, come le acque pulite, la vicinanza
mare-montagna, immensi entroterra liberi dalle nebbie dei complessi
industriali, il clima favorevole per molta parte dell'anno, le tradizioni
folkloristiche sconosciute, il senso dell'ospitalità, fanno
di queste regioni altrettanti punti nodali di un'economia turistica
adatta a quello che gli esperti definiscono il "decollo immediato".
Eppure, malgrado questi fattori positivi, il volo è ancora
oggi una barba al tetto. Perché?
Ci sono, irrisolti, come abbiamo già detto, i problemi dell'organizzazione
e della funzionalità degli organi dello Stato, e la storica
diffidenza, tanto per usare un eufemismo anche logorato, del potere
centrale nei confronti delle regioni. Ma c'è anche dell'altro.
Innanzitutto, a livello italiano, persiste la politica del doppio
intervento, determinata dall'ampliamento crescente delle attività
della Cassa per il Mezzogiorno, inizialmente integratrice dell'azione
statale, e successivamente trasformatasi in quella che può
essere ormai definita la condotta di un governo-ombra del Sud.
Col passare degli anni, infatti, è accaduto che questo organo
straordinario dello Stato, passando dall'agricoltura all'industria,
alle strade, alle irrigazioni, alle reti idrico-fognanti, ai porti,
agli aeroporti, ai disinquinamenti marini, al riordinamento idraulico
e alle sistemazioni montane, agli ospedali, agli ambulatori medici,
agli asili infantili, agli scavi archeologici, più che integrare
l'azione dello Stato, si e vista costretta a sostituirla, a tutti
gli effetti. Conseguenze immediate: una incredibile complicazione
delle normative ordinarie e straordinarie, con competenze incrociate
che non hanno giovato a una snella opera di riequilibrio delle "due
Italie" che inizialmente ci si proponeva; lo scadimento delle
capacità o potenzialità imprenditoriali dei meridionali,
irretiti ancora una volta, come ai tempi di Giolitti, da una politica
dei lavori pubblici attuati secondo strategie corrispondenti più
a disegni politici clientelari che ad esigenze e vocazioni territoriali
e sociali.
Non è che la Cassa non abbia inciso nel campo delle infrastrutture,
sarebbe infantile negarlo. E' che, a conti fatti, se non la si sottrae
alle pressioni di parte, e se non si limitano i suoi compiti ai progetti
speciali rivisti e corretti, coordinati con le regioni, non sarà
uno strumento adeguato alle necessità storiche dell'Italia.
A parte il fatto che l'intervento straordinario contribuisce a perpetuare
l'immagine di un'Italia settentrionale come locomotiva, di un Sud
a rimorchio, e di una Terza Italia, che include fra le altre regioni
l'Umbria, le Marche, la Toscana e l'Emilia-Romagna, che subisce strattoni,
scarti, strappi cardiaci e fulminee frenate per un'incolpevole posizione
geografica; a parte questo, disperdendo fondi a prima vista cospicui,
(ma in realtà soggetti a svalutazioni ricorrenti, negli anni
previsti dai piani di intervento: di norma, cinque per volta), offre
gli alibi per l'assenza dello Stato e per il disimpegno in settori
di sicuro avvenire. E' appena il caso di ricordare, infatti, che nel
campo delle opere strettamente turistiche, quali i restauri, gli scavi
archeologici e le ricerche a terra e aerofotogrammetriche, dall'inizio
della sua attività ad oggi, cioè in un quarto di secolo,
la Cassa ha potuto spendere poco meno di ventidue miliardi e mezzo
di lire. La cifra sale a 77 miliardi e mezzo, se si considerano però
le costruzioni di strade, fognature e acquedotti ugualmente definiti
"di interesse turistico". Si tratta sempre di una goccia
d'acqua. Per la costruzione di alberghi, sempre nello stesso arco
di tempo, i mutui erogati ammontano a 156 miliardi di lire. Tutto
qui.
A livello europeo. La Comunità Economica Europea non vuol sentir
parlare di turismo. Come forse pochi sanno, i trattati di Roma non
contemplano in alcun modo la problematica del settore: l'unica menzione
del termine "turismo" si trova nell'elenco delle "transazioni
invisibili", contenuto nell'allegato III dei trattati, in applicazione
dell'articolo 106 che riguarda l'impegno degli Stati ad autorizzare
l'effettuazione, nella valuta dello Stato membro in cui risiede il
creditore o il beneficiario, dei pagamenti relativi fra l'altro agli
"scambi di servizi", e dei trasferimenti di capitali e di
salari.
Inutilmente nel 1958, nel 1970 e nel 1972 sono stati rivolti pressanti
appelli agli organi della Comunità per l'inserimento del turismo
nel sistema comunitario. La CEE recepisce, ma non agisce, e in questo
modo resta lettera morta anche ogni possibilità di tradurre
in termini operativi una politica comunitaria del territorio e dell'ambiente.
Proprio alcuni giorni fa, un collega scriveva testualmente: "Se
oggi il movimento turistico ha bisogno di una ristrutturazione e di
una rivitalizzazione, è perché troppi errori in questi
ultimi anni sono stati commessi con una leggerezza che rasenta addirittura
la colpa grave". L'accusa è realistica. Come fonte di
reddito, il turismo è una voce di bilancio che si esprime in
termini di valuta pregiata. E' quella che serve per pagare i debiti,
o gli interessi sui debiti, o una parte degli uni e degli altri, in
attesa che l'economia italiana venga fuori dal tunnel. Come mezzo
per la creazione di nuovi posti di lavoro, soprattutto in aree di
inesistente congestione, quali le meridionali, ci sembra appena il
caso di confermarlo. Come possibilità di sviluppo civile e
sociale, punto d'incontro di uomini e di idee, è dato di fatto
di una chiarezza solare. Non tener conto di tutto questo, delle implicazioni
etiche, degli sviluppi di civiltà, oltre che degli aspetti
puramente economici e monetari, è qualcosa di più di
una colpa grave.